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L’uomo, la trascendenza, il lavoro: la poesia di Karol Wojtyla

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 02/04/14
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È in libreria il nuovo volume curato da don Santino Spartà contenente le poesie composte fino ad un mese prima dell’elezione a pontefice
Karol Wojtyla compose poesie fin da giovane. Nella letteratura egli cominciò assai presto ad esplorare le dimensioni che contano per l’uomo, e a cercare risposte e significati. In L’opera poetica completa di Karol Wojtyla (Lev, 2014), tra i temi più cari che identificano le sezioni in cui sono raccolte tutte le poesie scritte dagli ultimi anni Trenta al 1978 (l’ultima è composta poche settimane prima di entrare nel Conclave che lo avrebbe eletto pontefice), c’è ad esempio la patria (“Quando penso ‘patria’ – esprimo me stesso, affondo le mie radici, è voce del cuore, frontiera segreta che da me si dirama verso gli altri, per abbracciare tutti, fino al passato più antico di ognuno”), ma anche la meditazione sulla morte (“…ed in noi che guardiamo verso la riva d’autunno / si scatena la lotta lungo la spaccatura / che ogni uomo porta in sé / quando il corpo è in lui ancora il passato del suo domani”).

Don Santino Spartà, giornalista e consulente cinematografico, ha curato il volume, commentando ogni poesia e contribuendo con un saggio finale sull’opera poetica di Wojtyla. Noi di Aleteia lo abbiamo raggiunto.

Che cos’era la poesia per Karol Wojtyla?

Don Spartà: Era una missione apostolica oltre ad un intrattenimento stilistico. I motivi più toccati sono l’umanità, la trascendenza, il lavoro e il senso della morte. Questi sono i temi preferiti di Karol Wojyla: temi teologici, temi letterari e temi morali.

Ha scritto poesie tutta la vita, non è vero?

Don Spartà: Tutte le poesie di Karol Wojtyla sono 105. Io le ho commentate tutte, rifacendomi anche alle sue origini. Poiché ha scritto una tesi di laurea su Giovanni della Croce, sono andato a cercare i parallelismi su queste tematiche che ci sono in questo punto di vista estetico.

Qual era lo stile che utilizzava?

Don Spartà: Lui si rifa alla poesia contemporanea. Ma nell’andamento, nello svolgimento, ha il sapore anche liturgico e salmodiale, e usa molto lo stile dei Salmi.

Nel commentare queste poesie ha scoperto un Wojtyla che non conosceva?

Don Spartà: Io prima non conoscevo il Karol Wojtyla poeta. L’ho conosciuto per caso. La prima poesia che ha scritto era dedicata alla madre, che ha perduto quando aveva nove anni. L’ultima poesia che ha scritto è stata dedicata a san Stanislao, scritta un mese prima di diventare pontefice. Anche dopo ha scritto: negli anni in cui era papa ha pubblicato il Trittico romano.

Anche nelle poesie c’è quella forza comunicativa che abbiamo imparato a conoscere in Giovanni Paolo II?

Don Spartà: Sì, senz’altro. In tutte le sue poesie c’è un substrato teologico-filosofico e letterario, soprattutto sul lavoro. Per me le poesie più belle sono quelle sul lavoro. Perché lui ha sperimentato il lavoro, dal punto di vista umano. Lui è andato a spaccare le pietre, come tutti gli altri. Da queste emerge l’importanza del lavoro, il sacrificio, anche la moralità del lavoro. Il lavoro non è solo il martello che spacca le pietre, ma è l’uomo che attraverso il martello e la scarica elettrica trova dignità e vantaggio economico.

Ne La cava di pietra Wojtyla scriveva: “Ascolta, il ritmo uguale dei martelli, così noto, io lo proietto negli uomini, per saggiare la forza d’ogni colpo. Ascolta, una scarica elettrica taglia il fiume di pietra, e in me cresce un pensiero, di giorno in giorno: che tutta la grandezza del lavoro è dentro l’uomo”.