Il dirigente dell’UNAR contro la raccolta firme promossa dalle famiglie cattolichedi Gianfranco Amato
Prove tecniche di arroganza burocratica tipica dei regimi totalitari. Questa volta è toccato all’ineffabile Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale (UNAR). Il suo solerte direttore, Marco De Giorgi, non ha evidentemente gradito – e lo si può umanamente comprendere – l’appello lanciato dalla Manif pour Tous Italia e pubblicato da CitizenGo, per chiedere le sue dimissioni, a seguito della pasticciata e ben nota vicenda dei libretti “Educare alla Diversità” commissionati all’Istituto A.T. Beck dallo stesso UNAR (vicenda fatta conoscere proprio da La Nuova BQ).
De Giorgi, personalmente risentito per l’iniziativa a suo danno, ha pensato bene di impegnare il proprio Ufficio inoltrando a CitizenGo una missiva avente per oggetto «Comunicazione urgente ai sensi della direttiva 31/2000». Questo il testo (gli errori e i refusi sono nell’originale):
«Gentili Responsabile, Ho letto il testo della petizione su ‘direttore U.N.A.R.’ che contiene molte notizie erronee e infondate che riguardano il lavoro del mio Ufficio la cui missione consiste nel contrasto alla violenza e alle discriminazioni. Le affermaziono sono ai limiti della diffamazione e rigaurdano fatti che sono stati già oggetto di esame e di archiviazione da parte dei competenti uffici amministrativi. Essendo aberranti le notizie riportate, ne chiedo la immediata cancellazione ai sensi della normativa comunitaria e di recepimento della direttiva 31/2000 sulla responsabilita dei provider e di chi ospita le sezioni sul web Tale normativa prevede infatti che una responsabilità di codesta società scatti una volta pervenuta la presente segnalazione. Tanto si rappresenta ai conseguenti effetti di legge, con ogni riserva di azione legale».
Lo stile tradisce il coinvolgimento emotivo personale del direttore, ma non attenua la gravità dei toni. Stupisce, infatti, la genericità e l’indeterminatezza dei rilievi sollevati, anche perché lanciare imprecisati avvertimenti e vaghe allusioni minatorie non meglio specificate, appartiene ad un modus operandi di altro livello, che nulla ha a che vedere con il profilo istituzionale cui dovrebbe essere tenuto un ente governativo.
Visto che non ha voluto essere chiaro, proviamo noi a porre sette domande a Marco De Giorgi.
1. Forse il direttore dell’UNAR considera falsa, diffamante ed aberrante la notizia riportata – e non smentita – da diversi quotidiani il 15 febbraio 2014, secondo cui il Sottosegretario per le Pari Opportunità Maria Cecilia Guerra, sconfessando l’operato dello stesso UNAR, ha affermato: «Di questa ricerca ignoravo addirittura l’esistenza»?
2. Forse il direttore dell’UNAR considera falsa, diffamante ed aberrante la notizia riportata dagli stessi quotidiani, secondo cui il Dipartimento delle Pari opportunità ha emanato «una nota formale di demerito allo stesso direttore dell’UNAR per la diffusione nelle scuole di materiale mai approvato, e addirittura mai conosciuto dagli organi competenti a disporne la relativa autorizzazione»?
3. Forse il direttore dell’UNAR considera falsa, diffamante ed aberrante la notizia riportata sempre dagli stessi quotidiani secondo cui il Viceministro Guerra ha lamentato «l’abusivo utilizzo del logo della Presidenza del Consiglio – Pari Opportunità», e l’assoluta mancanza di una specifica informazione al riguardo?
4. Forse il direttore dell’UNAR considera false, diffamanti ed aberranti le parole pubblicamente espresse dal Sottosegretario Cecilia Guerra, secondo cui «una materia così sensibile richiede particolare attenzione ai contenuti e al linguaggio, poiché questa attenzione, quando si parla a nome delle istituzioni, ricade nella responsabilità delle autorità politiche, che devono però essere messe nella condizione di esercitarla!», non essendo «accettabile che materiale didattico su questi argomenti sia diffuso tra gli insegnanti da un ufficio del Dipartimento Pari opportunità senza alcun confronto con il Ministero dell’Istruzione, della Ricerca e dell’Università»?
5. Forse il direttore dell’UNAR considera falso, diffamante ed aberrante il giudizio pubblico espresso da un altro Sottosegretario, quello all’Istruzione, Gabriele Toccafondi, il quale ha dichiarato grave «Il fatto che gli opuscoli sulla diversità siano stati redatti dall’UNAR e diffusi nelle scuole senza l’approvazione del Dipartimento Pari Opportunità da cui dipende, e senza che il Ministero dell’Istruzione ne sapesse niente», invitando «chi dirige UNAR a trarne le conseguenze»? Se così fosse, De Giorgi avrebbe dovuto rivolgersi direttamente agli onorevoli Cecilia Guerra e Gabriele Toccafondi, e non a CitizenGo e La Manif pour tous, anche se comprendiamo come nei confronti di questi ultimi sia più facile lanciare minacce.
6. Forse il direttore dell’UNAR considera falso, diffamante ed aberrante il contenuto della interpellanza parlamentare inoltrata dai senatori Carlo Giovanardi, Maurizio Sacconi, Roberto Formigoni, Luigi Compagna, Federica Chiavaroli e Laura Bianconi sulla vicenda degli opuscoli “Educare alla diversità”, in cui è stato censurato il fatto che l’UNAR si fosse «avvalso della collaborazione dell’Istituto Beck, il cui sito, nella parte che riguarda l’omofobia, contiene pesanti giudizi sulla religione cattolica e sul ruolo educativo della Chiesa nella società», e il fatto che «tali giudizi o meglio pregiudizi» fossero stati «inseriti nei tre opuscoli con l’ennesima inaccettabile critica al ruolo educativo della famiglia, e della morale cristiana, confondendo la lotta all’omofobia con inaccettabili ed offensivi apprezzamenti negativi sul ruolo di istituti fondamentali nella storia e nella cultura del nostro Paese»?
7. Forse il direttore dell’UNAR considera falso, diffamante ed aberrante il fatto che nella citata interpellanza sia stato richiesto «per quali motivi l’UNAR avesse scelto come consulente proprio l’Istituto Beck la cui scuola di pensiero è clamorosamente di parte», e «quali iniziative intendesse intraprendere per bloccare la distribuzione di questo materiale nelle scuole»? Beh, ma se così fosse, perché De Giorgi non se la prende con i senatori Giovanardi, Sacconi, Formigoni, Compagna, Chiavaroli e Bianconi, anziché minacciare CitizenGo e La Manif pour tous? Domanda ovviamente retorica, la cui risposta non necessita spiegazioni ad una mente di media intelligenza.
Il punto, invece, seriamente inquietante è capire quale idea abbia Marco De Giorgi della libertà, ed in particolare della libertà religiosa. Giacché siamo convinti che egli abbia almeno letto gli opuscoli “Educare alla diversità”, il cui contenuto rivendica con orgoglio, passione e zelo, spieghi a noi profani della discriminazione alcuni passaggi che ci risultano alquanto preoccupanti. Mi riferisco, in particolare, al passo in cui testualmente si afferma che «i tratti caratteriali, sociali e culturali, come il grado di religiosità, costituiscono fattori importanti da tenere in co
nsiderazione nel delineare il ritratto di un individuo omofobo», e che «appare evidente come maggiore risulta il grado di cieca credenza nei precetti religiosi, maggiore sarà la probabilità che un individuo abbia un’attitudine omofoba».
Ci spieghi, poi, cosa significa che «l’omofobia continua a essere rinforzata nell’interazione quotidiana con altri individui omofobi, nella ricezione costante di messaggi omofobi, subliminali o espliciti, da parte di istituzioni o e organizzazioni religiose». Ci spieghi, ancora, il significato di questa precisazione contenuta nei libretti: «Per essere più chiari, vi è un modello omofobo di tipo religioso, che considera l’omosessualità un peccato».
E ci dica se lui è davvero personalmente convinto di dover condannare il catechismo della Chiesa cattolica sostenendo quanto scritto negli opuscoli, ovvero che «un pregiudizio diffuso nei paesi di natura fortemente religiosa secondo cui il sesso vada fatto solo per avere bambini», può determinare la considerazione omofoba per cui «tutte le altre forme di sesso, non finalizzate alla procreazione, sono da ritenersi sbagliate».
Se questa è l’idea di omofobia che ha il direttore dell’UNAR c’è davvero di che essere allarmati. Soprattutto nella malaugurata ipotesi in cui, attraverso l’approvazione del disegno di legge Scalfarotto attualmente in discussione al Senato, si dovesse estendere agli omofobi l’applicazione della Legge Reale Mancino.
Siamo anche molto preoccupati per sua eminenza il cardinale Angelo Bagnasco, reo di aver contestato il lavoro di cui De Giorgi va tanto fiero. Nella sua recentissima e magistrale prolusione, infatti, il porporato ha trovato il coraggio di affermare al punto 6: «In questa logica distorta e ideologica, si innesta la recente iniziativa – variamente attribuita – di tre volumetti dal titolo “Educare alla diversità a scuola”, che sono approdati nelle scuole italiane, destinati alle scuole primarie e alle secondarie di primo e secondo grado. In teoria le tre guide hanno lo scopo di sconfiggere bullismo e discriminazione – cosa giusta –, in realtà mirano a “istillare” (è questo il termine usato) nei bambini preconcetti contro la famiglia, la genitorialità, la fede religiosa, la differenza tra padre e madre… parole dolcissime che sembrano oggi non solo fuori corso, ma persino imbarazzanti, tanto che si tende a eliminarle anche dalle carte. È la lettura ideologica del “genere” – una vera dittatura – che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni. Viene da chiederci con amarezza se si vuol fare della scuola dei “campi di rieducazione”, di “indottrinamento”. Ma i genitori hanno ancora il diritto di educare i propri figli oppure sono stati esautorati? Si è chiesto a loro non solo il parere ma anche l’esplicita autorizzazione? I figli non sono materiale da esperimento in mano di nessuno, neppure di tecnici o di cosiddetti esperti. I genitori non si facciano intimidire, hanno il diritto di reagire con determinazione e chiarezza: non c’è autorità che tenga». Neppure quella dell’UNAR, con buona pace di De Giorgi.
P.S. Un consiglio sincero, anche se non richiesto, al Direttore dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale: sia più prudente, riflessivo e pacato nelle esternazioni ufficiali, soprattutto quando parla a nome dell’ente che rappresenta, altrimenti rischia di confermare lo spietato giudizio che un grande giornalista come Piero Ostellino gli ha affibbiato dalle colonne del Corriere della Sera il 4 gennaio 2014 con il noto editoriale intitolato: “Il burocrate ignora il senso del ridicolo”.