Né gli “atei devoti”, né gli avversari “laicisti devoti” sembrano aver compreso la lezione profonda di papa Francesco, ovvero la sua scelta di fondamentale normalità.
Qualche giorno fa, sulla prima pagina di Repubblica, occhieggiava un articolo del teologo Vito Mancuso su "Che ne sarebbe della Chiesa se fallisse Francesco": "Il suo fallimento sarebbe la fine della luce che si è accesa nell’esistenza di tutti gli esseri umani non ancora rassegnati al cinismo e alla crudeltà della lotta per l’esistenza, sarebbe la fine per gli ideali della spiritualità in Occidente"… Un tantinello esagerato.
Il medesimo giorno usciva in libreria Questo Papa piace troppo, volume in cui Giuliano Ferrara, Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro raccolgono le paginate della loro critica culturale (per l’ateo devoto Ferrara) e dogmatico-pastorale (per i tradizionalisti Gnocchi e Palmaro) su Papa Bergoglio, la cui propensione a "rendersi amabile" equivarrebbe a un tradimento della fede, a un accodarsi allo spirito del mondo, a un cedimento al sentimentalismo e al relativismo etico, a un credo da abbracciare a basso prezzo. Insomma, un libro che avrebbe potuto anche intitolarsi: "Che ne sarebbe della Chiesa se vincesse Francesco"… Esagerati anche loro.
Ci troviamo dunque nel bel mezzo di due correnti catastrofiste e contrapposte, due ideologie emotive non di pensatori liberi ed equilibrati, ma di tifosi – manichei come tutti i fans (che è diminutivo di "fanatici"…). Siamo nel mezzo e faremo bene a rimanerci, se non vogliamo ricadere in due papolatrie che, pur da versanti opposti, convergono in una visione di Chiesa in fin dei conti umiliante, sfiduciata e sconfortante: dove ogni cosa, di buono o di cattivo, dipende anzitutto dal vertice.
Certo: nell’epoca dei vip e dei leader, nell’era dell’immagine, è ovvio che la testimonianza personale risulti trainante anche sul piano dei risultati concreti. Cos’ha di diverso un Renzi da un Letta, del resto, se non unappeal più entusiasmante e una capacità da simpatico imbonitore? Ma, nella Chiesa ancor più che in politica, l’illusione dell’"uomo della Provvidenza", del singolo capace di risolvere tutti i problemi, è illusoria ed effimera, talvolta pericolosa. Personalmente faccio anch’io il tifo per Papa Francesco, che corrisponde al mio carattere più del predecessore; ma so fin d’ora che pure lui compie e compirà errori, che anche le sue parole, le sue decisioni, le sue soluzioni avranno lati discutibili e persino sbagliati. Come per tutti.
Ritengo infatti che né gli "atei devoti", né gli avversari "laicisti devoti" abbiano compreso la lezione profonda di papa Francesco, ovvero la sua scelta di fondamentale normalità. Né superman – come l’hanno raffigurato sui muri di Roma – né anticristo (come già lo disegna qualcuno, citando le profezie di Nostradamus e Malachia): un uomo normale. Che calza scarpe normali, viaggia su pullman normali con una normale borsa di pelle nera, dice "buonasera" come le persone qualunque, telefona, si stanca di stare seduto in ufficio a leggere scartoffie, e così via.
Lo ha rivendicato lui stesso, nell’intervista a Ferruccio De Bortoli sulCorriere: "Dipingere il Papa come una sorta di superman, una specie di star, mi pare offensivo. Il Papa è un uomo che ride, piange, dorme tranquillo e ha amici come tutti. Una persona normale». Ed è proprio questo – a mio parere – che inconsciamente temono sia i Ferrara, sia i Mancuso: loro proprio non vogliono un papa "normale"! E noi? Siamo pronti ad accettare davvero uno "scandalo" del genere?