Com’è la famiglia tradizionale africana? Il cristianesimo può cambiare questa cultura millenaria?
Padre Dionisio Ferraro è in Guinea Bissau dal luglio 1973, dopo un anno di studio del portoghese a Lisbona. Ha vissuto sempre immerso nella società africana, come parroco in villaggi e per 26 anni nella più importante parrocchia della capitale, promotore e insegnante nelle scuole, costruttore del liceo cattolico di Bissau. Negli ultimi sei anni è parroco a Bambadinca, una parrocchia rurale vastissima nell’interno del paese (diocesi di Bafatà). Gli ho chiesto com’è la famiglia africana nella religione tradizionale, l’animismo o culto degli spiriti. Ecco la sua esperienza nei villaggi animisti della Guinea Bissau, che è un tipico paese africano ancor poco toccato dalla modernità.
“Nei villaggi pagani c’è ancora il matrimonio tradizionale, con piccole poligamie, un marito con due-tre mogli. Dicono che nell’agricoltura ci vogliono molti figli e una sola moglie non basta, ce ne vogliono almeno due o tre, però c’è qualche caso di poligamia grande, poligami con otto-dieci mogli. E come le mantiene? Non è il marito che mantiene le mogli, ma le mogli che mantengono il marito. L’uomo lavora meno delle donne, si interessa dei rapporti esterni, costruisce e ripara la capanna e fa alcuni lavori in casa, ma la moglie alleva ed educa i figli e produce reddito, con l’agricoltura e piccoli lavoretti di artigianato e poi le galline, le anitre, le uova, i frutti che vende, ecc. Il marito quando è senza soldi e deve partecipare ad una festa, chiede i soldi alle mogli, questa la tradizione nei villaggi non cristiani.
“Il matrimonio è un contratto tra famiglie. Il marito deve avere delle risaie, dimostrare di essere un uomo capace, che ha conoscenze, che sa fare parecchie cose. La ragazza che si sposa sa che va a servire l’uomo, che in casa c’è e non c’è, può andare a trovare parenti o amici o i figli più adulti che sono altrove. Chi segue l’economia della famiglia, chi produce è la moglie. La prima moglie è quella che poi comanda la casa. Quando esco da Bambadinca, a me capita di dare passaggi in auto a qualche giovane moglie che ha due-tre figli e va a cercare un’altra moglie per il marito, perché lei non ce la fa più con i figli e nel lavoro. La poligamia non è perché il marito è viziato, ma perché in casa tutto è centrato sulla prima moglie e lei deve procurare un’altra donna al marito, che la aiuti e produca nuovi figli. E’ lei che organizza la vita di famiglia.
“La vera moglie è la prima. Il dott. padre Alberto Zamberletti, mio confratello del Pime, che ha lavorato molto anche come medico, dice che oggi la malattia che si diffonde in Guinea è l’Aids, ma si trovano più malati di Aids nelle famiglie monogame che nelle poligame, perché le varie mogli controllano di più il marito. L’aids si diffonde soprattutto per contatto sessuale con diverse donne fuori della famiglia. I vizi più diffusi fra gli uomini sono ubriacarsi e andare a donne.
“Quando sono invitato a pranzare in una casa – continua padre Dionisio – mangio col marito e i figli maschi, si mangia con le mani, con un catino in mezzo, nel quale c’è riso e altro; poi c’è il gruppo donne in altra parte della casa in altro cortile e là vanno le mogli e le figlie e i bambini piccoli che sono tanti. Fino a poco tempo fa ogni donna aveva in media sette-otto figli, oggi un po’ meno, ne hanno cinque-sei, perché la vita moderna entra ovunque e si imparano altri costumi. Nelle città è diverso,in genere hanno due o tre figli, ma io parlo delle famiglie tradizionali”.
Chiedo a padre Ferraro se tra quelli che si convertono al cristianesimo, cambia la famiglia. Si vede la differenza con la famiglia pagana tradizionale? Gli uomini hanno maggior rispetto della donna? Dionisio risponde: “Dove c’è il cristianesimo, in genere ci sono cinque anni di catecumenato, preparazione al battesimo. In quegli anni di catechesi, di preghiera e lettra del Vangelo, di contatti quotidiani con famiglie cristiane, i costumi cambiano molto. Il marito rispetta la moglie, lavora con la moglie e la aiuta, mangia con la moglie e i figli. Però anche qui bisogna distinguere. Dove c’è un prete-prete che fa una catechesi autentica e che mira alla conversione a Cristo, le cose cambiano; dove c’è un prete formalista, che fa imparare a memoria le risposte al catechismo, ma si accontenta della frequenza alla chiesa, oppure vuol far vedere al vescovo che lui fa molte conversioni, le cose cambiano poco. Il cambiamento è caratterizzato dalla parola “responsabilità”, perché la catechesi richiama alla responsabilità dell’uomo: nei rapporti con la moglie, con i bambini, col lavoro, col denaro.
“Quindi, dove entra il cristianesimo in un villaggio pagano, porta un miglioramento della vita, però anche qui bisogna distinguere. Dove c’è una “revisione di vita” metodica, a scadenza fissa, i cambiamenti ci sono; ma se il prete e i catechisti trascurano questi impegni, tutto va avanti come prima. A volte il missionario ha la consolazione di vedere autentici miracoli di conversioni. A Bissau sono stato 26 anni in parrocchia, nelle “revisioni di vita” mensili con le famiglie sono stato testimone di conversioni straordinarie, di persone che poi hanno cambiato vita davvero. Lo Spirito Santo c’è davvero, perchè noi preti e missionari facciamo pochissimo, a volte ti sembra di parlare al vento, e poi invece tocchi con mano che la tua parola, quando parli a nome di Gesù Cristo, produce frutti. Se Gesù Cristo non cambia la vita delle persone, delle famiglie e della società, la fede e la vita cristiana sono parole vuote. Ecco perché la revisione di vita, che si può chiamare esame di coscienza. Ti ubriachi ancora? Rispetti tua moglie e le tue figlie? Sai perdonare una offesa? Sei generoso con i poveri? Anche quando parlo ai preti arrivo sempre alla revisione di vita. La conversione di un popolo dipende in buona parte dal prete, se è zelante, se dà buon esempio, ecc. Anche la società africana sta cambiando in meglio”.
Dopo l’intervista vado avanti a chiacchierare e padre Ferraro dice che su 100 matrimoni che celebra in chiesa cinque o sei sono veramente a posto. Quelli che diventano cristiani hanno tutti buona volontà, con tanta fede, preghiera, carità . Ma la cultura cambia con lentezza. Pretendere in Africa un matrimonio come ce ne sono molti in Italia è utopico. “Però, dice padre Dionisio, col passare delle generazioni, anche qui la Chiesa fiorirà. Pochi giorni fa, a Bambadinca, un professionista africano che ha studiato in Italia mi diceva: “Mezzo secolo fa noi siamo venuti non dall’Antico Testamento, ma dalla preistoria e viviamo già nel Nuovo Testamento e nel mondo moderno. Un balzo di millenni in pochi anni non può cambiare costumi millenari, ma il Vangelo in Africa sarà vincente perché è la risposta giusta alle nostre aspirazioni!”