Là, nel deserto, «mi invocherà, e io gli darò risposta; – presso di lui sarò nella sventura, – lo salverò e lo renderò glorioso. – Lo sazierò di lunghi giorni» (15-16). La melodia è solenne e pacata: esprime la promess del Padre al suo Figlio nella prova. Poi, quasi eco gioiosa e rassicurante, i versetti salmodiati e la ripresa del brano musicale:
Tu che abiti al riparo dell’Altissimo
e dimori all’ombra dell’Onnipotente,
dì al Signore:
mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio, in cui confido (Sal 90, 1-2).Non più le frecce del tentatore, i terrori della notte, lo sterminio meridiano, ma il riposo all’ombra delle ali divine.
Ed ecco, subito il deserto si popola di angeli: Angelis suis mandavit de te, ut custodiant te in omnibus viis tuis: «Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno, perché non inciampi nella pietra il tuo piede» (11-12).
Con diverse melodie gregoriane, questi e altri versetti del salmo 90 sono ripetuti più volte dopo le letture, all’offertorio e alla Comunione.
6. Il deserto condizione del cristiano
Il deserto, campo aperto per la lotta, grazie alla vittoria riportata dal Cristo, è così diventato il tempio della gloria di Dio.
Come luogo di prova e come dimora con Dio, il deserto rimane l’ambito proprio della Chiesa sino alla fine della storia. Essa è la sposa continuamente ricondotta alla giovinezza del suo amore, al tempo felice del fidanzamento:
Ecco, la attirerò a me,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore…
Là canterà come nei giorni della sua giovinezza,
come quando uscì dal paese d’Egitto (Os 2, 16-17).Essa è la Donna sempre perseguitata dal «serpente antico», presentata nel libro dell’Apocalisse:
Furono date alla Donna le due ali della grande aquila, per volare nel deserto verso il rifugio preparato per. lei per esservi nutrita un tempo, due tempi e la metà di un tempo lontano dal serpente (Ap 12,14).
Il deserto è, dunque, la condizione del cristiano. La nostra condizione. Vi siamo entrati con il Cristo; non ne usciremo che con lui.
Vi entriamo ancor più di anno in anno con la grazia sacramentale della Quaresima, spazio di tempo consacrato alla conversione del cuore. Occorre che vi entriamo davvero disposti a lasciarci devastare le nostre umane coltivazioni per diventare terreno vergine, assetato solo di Dio.
C’è una verginità che si riceve proprio mediante il battesimo del deserto. Dalla verginità del deserto, del silenzio, scaturisce la preghiera pura, la contemplazione. Solo il noviziato del deserto porta alla professione solenne della Pasqua. Partiamo senza l’alleluia sulle labbra, ma con l’alleluia in germe dentro il cuore. È la consegna cui bisogna restare fedeli, sapendo che nel cuore del deserto c’è un pozzo profondo, un’acqua viva che il mattino di Pasqua zampillerà irrompente, sprigionando il canto gioioso dell’alleluia della Risurrezione. E sarà un nuovo mattino per tutto il mondo.
«La lode di Dio, che introduce all’Amore – diceva san Gregorio di Nazianzo – è figlia del silenzio e della solitudine». L’esultanza pasquale matura dentro le sabbie roventi del deserto e le trasforma in giardino. Il gemito è mutato in grido di gioia. Sintonizzati con i veri cercatori di Dio di tutti i tempi, Facciamo nostra la preghiera di un monaco del XII secolo:
Signore, tu mi hai sedotto e portato nel deserto,
ora la mia anima desidera stare di fronte a te solo:
questa è la sete del mio cuore!
Ti prego, Misericordioso: imponi pace e silenzio
attorno e dentro di me.
Dammi, per consolare la mia solitudine,
e frequenti intrattenimenti con te.
Nella misura in cui tu sarai con me, io non sarò solo;
conducimi fino al punto più lontano del deserto,
là dove l’anima santa si vede affondata interamente
nel fuoco dello Spirito Santo
e si accende come un serafino ardente.
Nascondimi nel segreto del tuo volto. Amen!
(Guglielmo di S. Thierry, Medit. IV)
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