La sapienza di Virgilio oggi è ancora necessaria
“Un giorno ci sarà gradito rievocare, forse, questi travagli".
Così dice il grande Enea ai suoi uomini dopo essere sbarcati nei pressi di Cartagine. Con molti compagni apparentemente dispersi in mare e le navi gravemente danneggiate – dopo innumerevoli peripezie – i superstiti Troiani non hanno molti motivi di conforto, ancor meno di gioia.
Tranne il punto di vista della rivelazione divina che restituisce una prospettiva soprannaturale sulla sofferenza, ci può essere un senso, persino un piacere, nella sofferenza? Parole giustamente immortali di Enea (anche scritte sugli edifici accademici) si ergono ad indicare che sia possibile. Infatti, se al ricordo può essere legato il piacere, ci dovrebbe essere anche la possibilità di trarre piacere dall’esperienza stessa.
E Virgilio ha ragione: può esserci piacere nel ricordare la sofferenza. Spesso ci ricordiamo con orgoglio e soddisfazione la sofferenza di una nascita, che sia la nostra o quella di qualcun altro. L’espressione “con il senno di poi” significa che di solito siamo in grado di vedere una situazione più chiaramente quando non proviamo più pressioni o passioni. Applicando questo principio alla sofferenza, sarebbe bello sapere che cosa, con il senno di poi, si potrebbe vedere più chiaramente riguardo alla sofferenza. E allora forse possiamo coltivare la capacità di scorgere quella stessa verità anche quando si è in mezzo alla sofferenza.
Il contenuto delle grandi parole di Enea nel suo discorso esortativo è molto utile:
Siamo avvezzi da tempo alle sventure
O voi che avete sofferto malanni ben più gravi:
Un Dio metterà fine anche a questi! Con me
Vedeste da vicino il furore di Scilla,
Gli scogli risonanti nel profondo, vedeste
Le rupi dei Ciclopi. Coraggio, allontanate
Ogni triste paura: un giorno ci sarà
Gradito rievocare, forse, questi travagli.
Traverso tante vicende, traverso tanti pericoli
Andiamo verso il Lazio, dove i Fati ci additano
sedi tranquille e dove, per volere dei Fati,
Risorgeranno alfine i domini di Troia.
Tenete duro e serbatevi ad eventi migliori”.
Proseguiamo il nostro cammino verso il Lazio; le stesse parole ci fanno venire i brividi. C’è un uomo che per nessun motivo verrà dissuaso dal viaggio ispirato dagli dèi. Vediamo quello che ha sopportato e ci meravigliamo. La sua incrollabile dedizione è evidente a noi e a lui. In quale altro modo avrebbe potuto conoscere la sua stessa virtù, se non attraverso tali sofferenze? Ma c’è di più: la rabbia di Scilla, i massi dei Ciclopi e innumerevoli altre avversità sono valse non solo a rivelare il suo scopo e la sua determinazione, ma anche a formarli e fortificarli.
La sofferenza ha dato ad Enea la possibilità di fare le scelte che lo hanno reso quello che è. Mentre ora si erge davanti ai suoi uomini, la sua identità e la statura sono state scolpite dalle sue sofferenze. Niente può privarlo di ciò. Lui lo sa, loro lo sanno.
Non che la sofferenza ci ponga al di là della possibilità di fallire o di tornare indietro. Certo, ulteriori sofferenze potrebbero piegarci. Dopo il precedente discorso, Virgilio scrive:
pensieri simula in volto la speranza, nel cuore
soffocando il dolore profondo”.
Sebbene intriso di angoscia, Enea simula speranza per rafforzare gli altri nella sofferenza. Anche se ci meravigliamo ancora una volta, siamo consapevoli che questo è esattamente ciò che un buon uomo dovrebbe fare e che molti uomini non fanno.
Un giorno ci sarà gradito rievocare, forse, questi travagli. La parola “forse” non è un semplice espediente letterario, il dramma della libertà umana di fronte alla sofferenza è reale. Una battaglia infuria all’interno di Enea, che al di là della vittoria nella sofferenza dà a noi, e probabilmente anche a se stesso, fiducia nella sua fedeltà sempre crescente. La sofferenza ci connette a ciò che siamo e a ciò che veramente vogliamo essere.
Alla fine di tutto, c’è qualcosa per cui vale la pena soffrire? Solo attraverso la sofferenza possiamo, e dobbiamo, davvero rispondere a questa domanda.
Sotto la guida degli dèi, Enea ha i suoi occhi puntati sul Lazio – un luogo in cui non è mai stato, di cui conosce poco. La sua volontà di giungervi è forte, ma se vuole realmente realizzarla deve diventare più forte. E così fa, attraverso la sua sofferenza.
C’è quindi importanza – osiamo dire, bontà – nella sofferenza, anche a prescindere dal meraviglioso tema della sofferenza redentrice. Ma è molto difficile godere di questa bontà nel mezzo di tale sofferenza. Forse la cosa migliore è avere fiducia che un giorno, anche il semplice ricordo di questa sofferenza sarà motivo di piacere. Per avere la sicurezza che questo avverrà è necessario almeno un assaggio di piacere già all’inizio, nella sofferenza.
—-
Dr. John Cuddeback , professore di filosofia al Christendom College, è un membro del consiglio di esperti Aleteia ed autore di “Bacon from Acorns”, un blog dedicato alla spesso trascurata "filosofia della famiglia”. E’ anche l’autore della “True Friendship: Where Virtue Becomes Happiness”.