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Quando il magistero cambia

Matrimonio – it

© Philippe NOISETTE / CIRIC

Celebración de una boda en Savigny (Francia)

Vinonuovo.it - pubblicato il 17/03/14

Le idee della fede non vengono prima, una volta per tutte come elenco di verità da credere, ma in corso d'opera come conseguenza della fede vissuta dalla Chiesa

di Gilberto Borghi

La discussione sul caso Kasper, sollevata dai post degli amici Roberto Beretta e Moreno Migliorati, mi ha spinto a qualche considerazione ulteriore. Come ho già detto in un commento, a me la soluzione di Kasper non piace. Ma il problema che mi ha colpito è un altro. Che in questa vicenda, come in altre, ci sia poco chiaro come si arriva alle idee della verità di fede e che valore hanno.

Parto da qui. Il commento di Blas al post di Beretta si chiedeva se il magistero cambi o no nel corso della storia. A non cambiare è la fede, non il magistero. Il magistero cambia eccome. E se volete vi porto le prove. Ma soprattutto, se non cambia, cosa ci starebbe a fare in ogni epoca un magistero? Bastava la "magisterialità" degli apostoli, che avrebbero potuto definire tutto subito e per sempre. Ma non è andata così. "Io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli". Quindi la possibilità che ci sia un ravvedimento del magistero, sta nella radice stessa del ruolo di Pietro.

Se no bastava un elenco chiaro e distinto di cosa va creduto e non creduto, una volta per tutte. Se tale elenco definitivo nel cristianesimo non esiste (e fino a prova contraria non esiste!) ci sarà un motivo. Dio di solito non fa cose a caso! E perché non l’ha fatto? Forse che Dio gioca al gatto col topo con l’uomo su ciò che va creduto? Quasi che l’insieme delle verità di fede sia già definita e conclusa, conservata da qualche parte nell’iperuranio, e che l’uomo debba scoprirle un poco alla volta?

Dio non lo ha fatto, invece, perché la verità di fede è la conseguenza del nocciolo della fede, cioè la relazione con Cristo, non la sua causa. Perciò le idee della fede non vengono prima, una volta per tutte come elenco di verità da credere, ma in corso d’opera come conseguenza della fede vissuta dalla Chiesa. Se scambiamo le due cose perdiamo il centro, cioè la relazione con Cristo. Nel cristianesimo capire e vivere sono due verbi assolutamente correlati, di cui però il secondo è la causa del primo e non viceversa, come invece la modernità ci ha convinto a pensare. I primi cristiani hanno vissuto senza la chiarezza dei dogmi eppure la loro fede era vissuta fino alla santità, anche più della nostra. I primi cristiani non spiegavano ai catecumeni i sacramenti prima di averli celebrati, ma solo dopo. Con la modernità, invece, la Chiesa ha rovesciato le cose e così ha rischiato davvero di perdere la centralità della relazione con Cristo. Che è ciò che ora, la post-modernità ci mostra che dobbiamo recuperare, per essere fedeli al vangelo, non alla cultura attuale.

Il magistero quindi esiste non solo perché la realtà continua a progredire e pone domande non esistenti ai tempi di Gesù. Questo sarebbe solo un adeguamento storico. Ma soprattutto perché lo Spirito continua a soffiare nella Chiesa e nella storia per introdurci alla "verità tutta intera". Cioè, esiste un approfondimento, un chiarimento, una riconsiderazione necessaria delle verità, perché la fede, da cui esse derivano, vivendola si approfondisce, si chiarisce e viene riconsiderata.

E poi ci si dovrebbe capire sulla parola magistero. Ne esistono almeno tre livelli, codificati dal magistero stesso. Quello solenne, infallibile e irreformabile, che non cambia, ma che è usato con molta parsimonia nella Chiesa, a cui si deve obbedienza, se no non si è nella Chiesa. Per intenderci quello dei dogmi definiti dal papa ex cathedra o dai concili con dichiarazione solenne. Poi c’è il magistero ordinario, che invece è fallibile e riformabile, quindi può cambiare. Ad esso si presta assenso di fede, quindi va creduto, ma è passibile di messa in discussione. Per intenderci è quello delle encicliche, dei documenti dei concili e dei catechismi generali della Chiesa. Poi c’è il magistero di singoli autorevoli vescovi della Chiesa, sul quale non è però chiesto l’assenso di fede, perciò può cambiare anche radicalmente, e al quale si deve solo un religioso ascolto e la possibilità di messa in discussione.

Allora, l’indissolubilità del matrimonio cristiano è parte del magistero solenne? No. Non ha mai ricevuto definizione dogmatica. Fa parte invece del magistero ordinario, perciò da credere, ma che può essere messo in discussione. Anche perché su questo la bibbia, come su molto altro, offre sia l’indissolubilità assoluta, (Mc 10,9 e Lc 16,18), come pure le eccezioni all’indissolubilità (Mt 5,32 e 19,9; 1 Cor 7,15). Il magistero perciò non ne ha dato una definizione solenne, ma, dalla lettura complessiva della Bibbia, trae quello che è l’insegnamento più certo possibile, cioè l’indissolubilità. Kasper, quindi, ha tutta la libertà di fare ricerca teologica su questo. Personalmente resto convinto che il matrimonio cristiano sia indissolubile, e che la strada non sia quella del perdono dopo "un tempo di nuovo orientamento e conversione", bensì un’altra fatta di due livelli diversi.

Da una parte il recupero del valore della formazione al matrimonio, essenziale alla Chiesa tanto quanto il sacerdozio, in vista di una maggiore verifica delle condizioni minime di accesso al sacramento. Non è pensabile che per formare un prete ci mettiamo 5 anni (con quali esiti poi?) e per una coppia cristiana tre sere o poco più e poi li mandiamo all’altare. E va detto che ci sono in giro già molte "buone pratiche" diverse, su questo. Secondo. Riprendere la giusta domanda che pone Kasper: in quale luogo si deve pronunciare una sentenza di annullamento? E’ Dio che unisce i due sposi, certo, ma sono loro i ministri del loro stesso sacramento. Entrambe le frasi sono vere, perciò vanno tenute insieme. E allora non è possibile che solo la gerarchia, o solo la coscienza dei due, possa decidere sull’annullamento del sacramento. Fin’ora, invece, nel protocollo sull’annullamento, la coscienza dei due sposi non è mai stata considerata luogo di tale decisione. E attenzione: che la coscienza sia il luogo delle decisioni morali, è sicuramente magistero ordinario, anche prima del Vaticano II, non semplice teologia. Perciò se ne può discutere, ma per ora va creduto e applicato.

Qui l’originale

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