Il cammino per seguire il Vangelo non porta a un’acquisizione stabile, ma ricomincia sempre
di Carlo Molari
Il processo per cui si decide di seguire la via di Cristo (cf At 9,2; 22,4 ecc.), si sceglie cioè il Vangelo come criterio di vita, è molto vario e complesso, vario perché le condizioni delle singole persone sono molto diverse e complesso perché le dinamiche che si intrecciano sono sottili e mutevoli.
Vi sono però alcuni elementi essenziali, presenti in tutti i percorsi. Tento di indicarne i principali. Il primo è la testimonianza necessaria per iniziare il cammino, il secondo è l’esperienza costitutiva dell’esistenza cristiana, il terzo è la dottrina che costituisce l’interpretazione dell’esperienza salvifica; il quarto infine è la fedeltà nel proseguire il cammino fino al compimento. Il cammino è lungo, il traguardo lontano. Diventare cristiani significa pervenire al compimento della maturazione personale, raggiungere l’identità di figli di Dio, acquisire «il nome scritto nei cieli» (cf Lc 10,20). Diventare figli di Dio è un impegno che attraversa tutta l’esistenza.
L’errore spesso compiuto è la presunzione di poter saltare uno/o l’altro dei passi necessari e illudersi, ad esempio, che sia sufficiente insegnare la dottrina cristiana per introdurre alla fede. Un altro errore frequente è l’illusione che sia sufficiente una prima entusiasta adesione a Cristo per garantire la continuità del cammino. Analizziamo brevemente i singoli elementi.
Testimonianza necessaria.
II primo passo per il cammino di fede lo compiono gli altri a nostro favore. Per intraprendere la via della sequela di Cristo, occorre incontrare testimoni. Ciò corrisponde a una legge fondamentale della condizione creaturale. La vita è continuamente alimentata e non diventa mai autosufficiente. Tutto ci è donato e per certi aspetti sempre ci deve essere offerto. Quando un’offerta viene a mancare, dobbiamo trovare altre risorse perché il processo continui.
Anche la fede cristiana soggiace a questa necessità. La testimonianza è estensione concreta del traguardo a cui noi stessi tendiamo ed è insieme trasmissione di forza amorevole che orienta il cammino. La testimonianza della fede cristiana implica la capacità di mostrare con la propria presenza a quali forme di umanità può condurre la fedeltà al Vangelo. Nel clima di fiducia che il rapporto crea, le indicazioni offerte dal testimone mettono in azione i meccanismi interiori della fede.
L’attuale presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, il 17 maggio scorso nel discorso tenuto nell’università cattolica Notre Dame dell’Indiana, in occasione del conferimento della laurea honorìs causa, ha rievocato in modo dettagliato un’incisiva testimonianza cristiana ricevuta nella sua giovinezza. Ha ricordato quando da giovane fu coinvolto in un progetto di assistenza sociale promosso da alcune parrocchie cattoliche di Chicago, al quale partecipavano anche volontari ebrei, protestanti e agnostici. Egli ha dichiarato di essere stato positivamente colpito dalle enormi energie benefiche contenute nel Vangelo di Cristo e di essere stato condotto a Cristo attraverso quella esperienza.
In particolare ha rievocato con evidente simpatia la figura del cardinale Giuseppe Bernardin, arcivescovo di quella diocesi, per la sua capacità di accostare le persone e di trovare un terreno comune di azione con tutti, lo ha definito «un santo» che per molti giovani è stato «un faro e un crocevia». Le metafore usate si richiamano al cammino e ricordano l’espressione «chi segue la via di Cristo» (cf At 9,2) con cui in un primo tempo venivano designati i discepoli di Gesù.
In quello stesso discorso Obama ha ricordato anche la testimonianza del pastore battista Martin Luther King che fu ucciso per la sua lotta decisa contro la discriminazione razziale e di cui egli stesso si considera discepolo. Il fatto che appena 41 anni dopo il suo martirio, il figlio di un afro americano sia stato eletto presidente degli Stati Uniti, mostra quale incidenza abbia avuto la forza evangelica dell’amore e della non violenza testimoniata con coerenza dal pastore nero.
Il cardinale Walter Kasper nel maggio scorso ha ricordato ai vescovi e responsabili della catechesi in Europa, riuniti per il loro Congresso, che «il mandato missionario parla di testimoni pieni di Spirito Santo [martyres] (Lc 24,48s.; At 1,8)». Ha poi specificato: «II testimone ripieno dello Spirito di Dio non parla solo con la bocca ma con tutta la vita, rischiando persino la sua esistenza terrena. Perciò la nuova evangelizzazione è soprattutto un compito e una sfida spirituale; è un compito di cristiani che perseguono la santità. Le ricette liberali sono controproducenti… Dobbiamo impossessarci nuovamente del fuoco e dell’entusiasmo della Pentecoste. Una volta ripieni di questo fuoco, esso si propagherà irresistibilmente quasi da sé come un incendio nella boscaglia. Allora si realizzerà ciò che dice Paolo: "La parola di Dio corre" (2Ts 3,1). La nuova evangelizzazione dell’Europa comincia con una nuova Pentecoste; comincia con noi stessi»[1].
Anche la Lettera ai cercatori di Dio pubblicata nello stesso mese di maggio dalla Commissione per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della Cei, nella seconda parte (La speranza che è in noi) richiama la lunga serie delle testimonianze che hanno alimentato lungo i secoli il cammino di fede cristiana con il desiderio di «suscitare interesse, o almeno curiosità, in ogni persona che è alla ricerca di Dio, perché possa ripensare la figura e il messaggio di Gesù e approfondirli nell’ascolto delle testimonianze che ne parlano»[2]. Ma tale interesse o curiosità non può essere suscitato che dall’amore con cui si trasmette la forza di vita. «In questa impresa siamo rassicurati dalla presenza di tanti testimoni nella storia della Chiesa. Essi, condotti dallo Spirito di Gesù […] ci aiutano a cogliere e interpretare la verità nella vita quotidiana e ad aprirci al dono di Dio»[3]. La carenza di testimonianze efficaci è una delle ragioni per cui la fede in Dio e l’adesione al Vangelo incontrano difficoltà oggi nel mondo occidentale.
Esperienze costitutive
La testimonianza è necessaria ma non è sufficiente per iniziare il cammino di fede e soprattutto per continuarlo nelle numerose contro testimonianze che si incontrano. L’avvio richiede un minimo di esperienza il cui contenuto sta nella possibilità di vivere in modo autentico le diverse situazioni dell’esistenza e nel ricupero del passato con la possibilità di riprendere da capo il cammino.
La testimonianza quindi è efficace solo quando induce un minimo di esperienza, mette cioè in moto le dinamiche stesse della fede attraverso la quale si accoglie l’energia che alimenta la vita. Per questo la terza parte della Lettera della Cei citata «cerca di aiutare il "cercatore di Dio" a pensare, progettare e vivere esperienze concrete per giungere all’incontro con il Dio vivente, così come Gesù lo ha reso per noi possibile». A questo scopo essa tenta «di proporre la "mappa" di un’esistenza vissuta secondo lo Spirito di Gesù, per restituire fiducia alla vita quotidiana e ricordare le condizioni per la sua autenticità»[4].
Per ridurre le dinamiche agli elementi essenziali potremmo dire che l’esperienza fondamentale consiste nella scoperta che abbandonandosi con fiducia a Dio «per cui tutti vivono» (cf Lc 20,38), il credente può pervenire a forme nuove di umanità, a modalità nuove di amore, di fraternità,
di giustizia, di pace, e quando ha peccato può essere perdonato e riprendere da capo il cammino. Queste esperienze costituiscono la verifica che una forza più grande è in gioco nella nostra storia e che l’avventura terrena è sostenuta da un’energia con risorse ancora inespresse. Ma nello stesso tempo occorre scoprire che la forza vitale non può esprimersi compiutamente in nessuna creatura. Per cui il rapporto con le persone e le cose, in quanto tali, non può essere mai pienamente soddisfacente.
Potremmo quindi dire che l’esperienza fondamentale della fede indotta dai testimoni ha tre momenti. Il primo è la percezione di una forza alimentatrice che può condurre al traguardo del compimento personale: è la scoperta di Dio nel mondo. Il secondo è la constatazione che nessuna creatura risponde in modo pieno alle tensioni profonde della vita: la scoperta dei limiti e delle insufficienze delle creature. Il terzo è la sorpresa che il peccato può essere perdonato: la scoperta che la parola definitiva non appartiene al male, bensì alla misericordia. I tre momenti si intrecciano e si richiamano a vicenda. Essi hanno modalità e forme diverse secondo le culture, le età dei soggetti coinvolti e le stagioni della storia.
1. L’incontro con il Dio vivente. Nel cammino di fede è urgente giungere alla consapevolezza che una forza più grande è in gioco nella nostra esistenza e che essa può far fiorire forme nuove di umanità. La condizione perché questo avvenga è che l’atteggiamento nei suoi confronti sia di fiducia, di accoglienza e di interiorizzazione. L"’energia arcana", come l’ha definita il Vaticano II (Nostra aetate 2), non ha avuto ancora la possibilità di esprimere tutta la sua potenza sia per mancanza di tempo, perché da poco tempo l’umanità si trova sulla terra, sia per le resistenze profonde che, lungo i millenni, l’umanità con le scelte sbagliate ha opposto all’energia creatrice. In questo senso scoprire Dio nel mondo (qualsiasi nome gli si attribuisca) è assolutamente necessario per capire la nostra condizione e poter quindi realizzare il salto qualitativo alla vita spirituale. Si passa allora dall’essere centrati su di sé e guidati dai meccanismi istintivi, all’essere condotti dallo Spirito, che può far fiorire perfezioni non ancora espresse se trova disposizioni di ascolto, accoglienza e interiorizzazione.
Non si può pretendere che il passaggio dalla predominanza della vita psichica alla vita spirituale avvenga in un istante, non ci può essere conversione così radicale che fissi definitivamente l’orizzonte spirituale. È un passaggio che si realizza nei momenti di lucidità o di illuminazione, ma che non è definitivo, poiché si sviluppa in tappe a volte molto prolungate nel tempo.
Quando questo passaggio è diventato orizzonte stabile, la persona vive con un atteggiamento inedito. Il soggetto non si ritiene più principio e fonte di quello che fa, ma ambito dove qualcosa di più grande si esprime, per cui non dice: io penso, io faccio, io sono buono; ma dice: il bene in me si esprime, la vita in me prende forma. Il cammino non procede sempre in modo ordinato e armonico: a volte subisce sussulti o è soggetto a involuzioni.
2. La liberazione dal male e la redenzione del passato. Un altro aspetto rilevante dell’esperienza di fede è la possibilità di uscire dal male e di ricuperare il bene non accolto o trascurato nel passato. Le formule utilizzate per indicare il peccato, come "offesa di Dio", "trasgressione della legge", hanno significato se vengono ricondotte a significati vitali. Il peccato è la resistenza posta all’azione della Vita in noi. La crescita personale avviene nei rapporti e nelle esperienze, attraverso i quali il flusso creatore ci perviene.
Ogni scelta negativa che compiamo introduce resistenze o inquinamenti, abbassa il tono di vita, ci rende incapaci di consegnare quei frammenti di vita che gli altri attendono da noi, per cui tutto il processo viene ritardato e incide anche nell’ambiente sociale. La Gaudium et spes, per coerenza con il modello dinamico scelto, afferma che il peccato è «una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza» (13). Quando l’impedimento è volontario, cioè è peccato, l’incidenza è molto più profonda perché coinvolge la persona nella sua consapevolezza e libertà.
L’ambito però più ampio del male è quello inconsapevole, dipendente dalla nostra insufficienza e dai nostri limiti. Anch’esso richiede processi di riconciliazione e consente il recupero. In ambito spirituale infatti è sempre possibile il ricupero redentivo del passato sia a livello personale che a livello sociale e umano. Vi sono mali che popoli interi hanno compiuto coinvolti nella stessa avventura della storia. Processi storici con conponenti negative che al momento non possono essere superate, richiedono impegno di riconciliazione nelle generazioni successive. Oggi siamo chiamati a convertirci per i mali delle generazioni precedenti, come dobbiamo convertirci per i mali personali del nostro passato, di cui non eravamo sempre consapevoli e responsabili. La riconciliazione è una delle esperienze più significative del cammino di fede cristiana.
Dottrina conseguente
Un elemento molto significativo è la formulazione della dottrina come interpretazione della fede. Dire la propria esperienza di fede non è solo in funzione della testimonianza bensì anche della stessa vita di fede. Le formule del passato non sono sempre sufficienti per interpretare ed esprimere l’attuale esperienza di fede. Esse infatti sono nate in un orizzonte culturale molto diverso dal nostro. Ora l’esperienza di fede non può essere detta con modelli culturali opposti a quelli della vita quotidiana. L’attuale situazione impone al credente di saper formulare e analizzare criticamente di fronte al mondo la propria esperienza utilizzando i modelli linguistici e i paradigmi di pensiero del suo tempo e immergendosi interamente nella cultura degli uomini ai quali intende parlare.
Questo problema è stato avvertito con chiarezza dal Concilio. Nella Gaudium et spes i Padri conciliari hanno riconosciuto che: «II presente turbamento degli animi e la trasformazione delle condizioni di vita si collegano con una più radicale modificazione che sul piano della formazione intellettuale dà un crescente peso alle scienze matematiche, fisiche e umane, mentre sul piano dell’azione si affida alla tecnica, originata da quelle scienze». Questa caratteristica della nostra cultura avrebbe provocato, a loro giudizio, «un formidabile complesso di problemi» che avrebbero richiesto «analisi e sintesi nuove» (5).
Per questo essi hanno inteso «armonizzare la conoscenza delle nuove scienze, delle nuove dottrine e delle più recenti scoperte con la morale e il pensiero cristiani» e hanno invitato i teologi «a sempre ricercare modi più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini della loro epoca» (GS 62). Nello stesso tempo hanno rivolto a tutti i fedeli la raccomandazione a vivere «in strettissima unione con gli uomini del loro tempo» e a «penetrare perfettamente il loro modo di pensare e di sentire, di cui la cultura è l’espressione»(62).
Se le comunità ecclesiali non formulano nuove risposte, se non offrono modelli per inventare nuovi simboli religiosi, esse resteranno ai margini dei processi storici e non sapranno formulare in modo efficace la propria esperienza di fede. Il problema dell’armonizzazione culturale non è
solo una questione ermeneutica; come esprimere la fede nel contesto attuale; bensì anche una questione vitale e pastorale: come vivere e testimoniare l’efficacia salvifica del Vangelo. Non si tratta di assumere tutte le conclusioni della scienza, perché molte sono oggi irrilevanti nei confronti della dottrina della fede, ma si tratta di entrare nello stesso orizzonte culturale, di utilizzare il medesimo linguaggio per capire la propria esperienza, per farsi capire e per capire gli altri.
In questa esigenza sono radicati gli sforzi attuali per rinnovare la razionalità teologica[5]. Nel realizzare l’armonizzazione culturale le comunità ecclesiali debbono evitare la duplice possibile idolatria della tradizione e della scienza. Della tradizione, perché essa non offre criteri adeguati per rispondere in modo efficace ai problemi dell’uomo nell’attuale contesto; e della scienza, perché si presenta provvisoria nelle sue metodologie e incerta nelle sue conclusioni. Ma più radicalmente la teologia è sollecitata a esaminare la sua natura in quanto riflessione sistematica sull’esperienza di fede della comunità ecclesiale, esperienza suscitata e alimentata da quella che nella fede viene percepita come Parola o azione di Dio nella storia degli uomini.
Il cammino ricomincia sempre
Spesso ci si illude di giungere a una condizione stabile nella vita di fede. In realtà il cammino di fede è ricerca che ricomincia sempre da capo. Le acquisizioni di un’età non bastano per la stagione personale successiva, come le acquisizioni di una generazione non sono sufficienti per la generazione che la segue. Gli orizzonti, oggi soprattutto, sono in continuo movimento e gli strumenti culturali si rinnovano velocemente. II passato non è sufficiente. Non si tratta di aggiungere nozioni nuove a quelle antiche o formule attuali a quelle del passato. Si tratta di riprendere tutto da capo e ripensare in modo nuovo gli eventi della salvezza per cogliere quella verità tutta intera verso la quale lo Spirito guida l’umanità.
La storia umana è oggi a una svolta. L’unificazione imposta all’umanità dai nuovi mezzi di comunicazione, di informazione e di organizzazione industriale esige percorsi nuovi di comunione, di distribuzione dei beni e di riconciliazione. La violenza d’altra parte sta assumendo forme distruttrici, spesso mascherate, e provoca frattura tra i popoli, i gruppi sociali e le persone. Sono sempre più urgenti qualità spirituali e dinamiche relazionali corrispondenti ai nuovi problemi. Processi questi che possono essere immessi nella storia umana solo da comunità di vita intensa e fedele.
Comunità che: vivano la consapevolezza che la vita è più grande della nostra piccola storia e che quando si creano le condizioni essa esplode in forme inedite e fiorisce in nuova umanità; vedano con chiarezza i limiti e le insufficienze delle creature per non cadere nelle illusioni idolatriche; e infine siano testimoni della speranza per rendere possibile il cammino di tutti verso i nuovi traguardi della storia.
Diventare cristiani oggi non è quindi un semplice impegno per la salvezza personale, è bensì sentire e assumere la responsabilità del futuro della specie umana.
[1]Tornare al primo annuncio", ne il Regno, 11/2009, pp, 336-343 qui p. 343.
[2] Il Regno 11/09, pp. 344-368 qui p. 352.
[3] Ib., p. 361
[4] Ib., p. 361. La lettera cita come esperienze costitutive: la preghiera, l’ascolto della parola di Dio, i sacramenti, luogo dell’incontro con Dio, il servizio e la vita eterna.
[5] La teologia si è confrontata più facilmente con le scienze umane, più raramente con le scienze della natura, che pure oggi caratterizzano e condizionano tutto il sapere umano.
(tratto da Vita Pastorale, n. 9/2009, pp. 66-69)