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Siate uomini (ma anche donne)

frame da “a qualcuno piace caldo”

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don Fabio Bartoli - La Fontana del Villaggio - pubblicato il 13/03/14

Esiste un modo maschile ed uno femminile di vivere la fede?

Esiste un modo maschile ed uno femminile di vivere la fede?

Sembrerebbe di poter dire senz’altro di sì. In fondo è del tutto logico aspettarsi che la polarità maschile/femminile, che si articola in diversi modi di vedere il mondo, diversi modi di pensare, diversi modi di agire etc. porti con sé un diverso modo di rapportarsi con Dio.

Ed in fondo ogni educatore di oratorio lo sa, vedendo i diversi modi di pregare che sviluppano ragazzi e ragazze. L’associazione scout che ho frequentato per tanto tempo, la FSE, pur di difendere il punto, e mantenere separato il corpo femminile delle Guide da quello maschile degli Scout, è arrivata ad una dolorosa scissione con l’AGESCI.

E però al tempo stesso se guardo la storia della Chiesa la materia si fa scivolosa: non è forse vero che S. Teresa di Avila apostrofava le sue suore dicendo loro “siate uomini”? E di contro poche donne hanno avuto una sensibilità più “femminile” di S. Giovanni della Croce. La risolutezza e la forza d’animo di una Santa Caterina è più maschile o femminile? E la dolcezza e la cura universale di S. Francesco di Assisi o di Charles De Foucauld sono più femminili o maschili?

Nel libro dell’Apocalisse S. Giovanni, quando deve parlare del figlio della Donna-vestita-di-sole, cioè noi, tutta la Chiesa, non si fa scrupolo di violentare la grammatica pur di sottolineare che il figlio è maschio, e al tempo stesso però quando deve descrivere in un immagine il rapporto d’amore che unisce l’Agnello e la Chiesa, la sola immagine che gli viene in mente è quella nuziale, in cui la Chiesa è inevitabilmente femmina.

Mi sono laureato in Teologia Morale fondamentale con una tesi che analizzava il concetto di empfangen nella teologia dell’allora card. J. Ratzinger. Questo concetto è il vero architrave del suo pensiero e lo si ritrova in tutte le salse e in tutte le declinazioni, applicato a qualsiasi argomento. Empfangen in tedesco vuol dire accogliere, essere aperto, ma è anche il verbo che si usa per essere incinta, sottolinenando implicitamente, già a partire dal linguaggio, che la dimensione dell’accoglienza è prettamente femminile. Ora nella struttura del suo pensiero, e studiandolo mi sono convinto che sia così anche nella struttura stessa del Cristianesimo, all’inizio di tutto c’è un gesto di accoglienza, un empfangen.

La storia umana inizia quando Adamo riceve in sé l’alito di Dio, la storia della Salvezza inizia quando Abramo riceve da Dio la promessa di una discendenza che lo mette in movimento, la nostra storia inizia quando Maria riceve in sé il Figlio stesso di Dio. E in fondo nel mistero della Trinità l’essenza stessa del Figlio è il riceversi dal Padre.

Davanti a Dio quindi siamo tutti donne, non c’è dubbio. Il solo atteggiamento corretto verso il nostro Creatore è riconoscere che riceviamo tutto da Lui ed è quindi farsi terra feconda che riceve il seme (come Romano Guardini definisce Maria in una bellissima meditazione), aprirsi interamente ed offrirsi in piena disponibilità alla sua azione.
Però al tempo stesso verso il mondo dobbiamo essere forti, assertivi, capaci di lottare contro il male e sconfiggerlo, non aver paura dei conflitti, che sono inevitabili ed anzi a volte auspicabili. Certo, sempre ricordando che la forza non è violenza, ma al contrario, manifestazione di una fermezza, di una stabilità incrollabile che per prevalere non ha bisogno di imporsi, ma le è sufficiente essere.

Dunque gli uomini devono farsi donne verso Dio, le donne devono farsi uomini verso il mondo. È un buon esempio di come il genio maschile e quello femminile che sono presenti in ciascuno devono lavorare in sinergia. In fondo un uomo che non avesse in sé alcuna traccia di femminilità, come una donna che non avesse in sé alcuna traccia di maschilità sarebbero dei nevrotici.

Mi viene in mente un saggio degli anni ottanta di una psicologa tedesca, di scuola Junghiana, che si intitolava “Gesù: la maschilità esemplare” (Hanna Wolf, mi sembra che fosse il nome dell’autrice). Questa psicologa sviluppava la teoria che in Gesù la componente maschile, “animus” secondo la terminologia Junghiana, e quella femminile, che Jung definisce “anima”, raggiungevano un equilibrio unico ed irripetibile, tanto da farne, secondo lei una prova della divinità di Gesù.
Già perché secondo Jung l’uomo non può raggiungere questo equilibrio da solo, ma lo trova nel matrimonio, dove la sposa diventa l’”anima” dello sposo e questi l”animus” della donna. Questo è talmente vero che anche in una coppia omosessuale si realizza un “gioco delle parti” in cui uno dei due fa la donna e l’altro l’uomo.

Vi confesso che questa teoria mi ha lungamente affascinato, anche perché ne sperimento la verità nella preghiera, nei miei più profondi scambi con il Signore, dove il celibato mi consente di pensarmi facilmente come sua sposa e quindi di ricevere da Lui la mia maschilità.

Quello che voglio dire comunque è che questo modello di integrazione psichica che è Gesù, questa maschilità esemplare, questo maschio “non animoso” è un modello di vita per tutti, uomini e donne. Da lui possiamo imparare una maschilità serena ed equilibrata ed una femminilità “eroica”, capace cioè della assertività maschile.

Qui l’originale

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