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Come un melograno

melograno

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L'Osservatore Romano - pubblicato il 12/03/14

Terza giornata di esercizi spirituali della Curia romana ad Ariccia

L’uomo è come un melograno: all’interno ha tanti piccoli semi carnosi, tanti quanti sono gli elementi del creato. Dio li ha messi tutti insieme in un impasto, sul quale ha poi effuso il soffio della vita. Mentre questa mattina, martedì 11 marzo — in apertura della terza giornata di esercizi spirituali per Papa Francesco e la Curia romana nella casa Divin Maestro ad Ariccia — monsignor Angelo De Donatis offriva quest’immagine della creazione dell’uomo, ha mostrato proprio un bel frutto di melograno, maturo e compatto, quasi a rendere l’idea della bellezza della creatura umana.

Una bellezza che però, ha detto, è destinata a disfarsi se si impedisce artificiosamente al soffio di Dio, cioè all’amore misericordioso che egli ci dona, di penetrare in profondità. Accade allora che ognuno di quei piccoli semi, ha spiegato, colto dalla voglia di autoaffermazione, cerca di espandersi in un confronto dispotico con gli altri, sino a provocare l’esplosione e dunque la disintegrazione del frutto.
Una metafora che il predicatore ha usato per spiegare l’effetto del male che si impadronisce dell’uomo. Si è riferito inizialmente al racconto dell’incontro di Gesù con l’indemoniato narrato dall’evangelista Marco (5, 1-20), del quale ha riproposto i momenti salienti: il dialogo, la supplica del demone per non essere scacciato e dunque costretto a girovagare ancora nell’aria; la domanda di Gesù per conoscere quale fosse il suo nome; il definirsi “legione” da parte del demone, a indicare un numero enorme di coloro che avevano preso possesso di quell’uomo e che lo governavano; la loro richiesta di essere almeno trasferiti tutti nel branco di porci che era lì nei pressi e che, una volta ottenuto da Gesù il consenso, hanno fatto impazzire sino a provocarne il suicidio di massa per affogamento nel mare.

Un episodio, ha spiegato, che per la reazione dei proprietari dei maiali ci avvicina a quanto accade oggi nel mondo. Infatti nessuno, narra Marco, si accorse di quel giovane che, liberato dal demone, tornava alla vita, perché erano piuttosto preoccupati del danno economico provocato dalla morte di quei duemila maiali, al punto da cacciare Gesù. Il quale andò via, senza dir nulla. Dunque, ha notato, un’ideologia economica ha impedito a quegli uomini di incontrare Gesù.

Di fronte all’ideologia economica pagana, si pone la religione. Gesù caccia il demone. E l’uomo si ritrova libero, liberato da Cristo. Non ha più paura, è libero dalla paura. Dio l’ha salvato. Lo ha salvato non perché facesse qualcosa di straordinario, ma perché arrivasse all’amore misericordioso di Dio. E per arrivare a questo amore, ha avvertito monsignor De Donatis, abbiamo bisogno dell’aiuto dello Spirito Santo. Senza di lui sarebbe un’impresa impossibile. Non servono infatti le nostre opere per arrivare a Dio, ha spiegato ancora. Quel che è necessario è l’essenzialità dell’amore in Cristo.
Al rapporto tra opere dell’uomo e grazia di Dio il predicatore aveva già dedicato gran parte della meditazione di lunedì pomeriggio. Riferendosi al brano della lettera di san Paolo agli Efesini (2, 1-10), monsignor De Donatis aveva ricordato in particolare che il nostro compito non è far vedere al mondo cosa fa la Chiesa, cosa fanno i preti, cosa fanno i cristiani, ma far vedere che cosa Dio fa attraverso di noi. Quando invece mettiamo in primo piano il nostro impegno, le nostre opere, allora richiamo di diventare mondani.

Dobbiamo perciò impegnarci a riconoscere che siamo tutti semplicemente “peccatori perdonati”. Siamo salvi «per la grazia», come ricorda più volte san Paolo, non per «le opere della legge». Occorre quindi liberarci dalla tentazione di dover sempre fare qualcosa dimenticando che, in realtà, siamo stati salvati gratuitamente. Oggi è molto diffusa questa fame di apparire con le nostre opere. Ma la vera “opera buona” è Cristo.

Da qui l’esame di coscienza al quale il predicatore ha invitato i cattolici, esortandoli a chiedersi: come mai la gente, vedendo la mole di lavoro e di opere che la Chiesa realizza, non dà lode al Padre? Qualcosa evidentemente non va. Dunque non bisogna andare continuamente alla ricerca degli applausi, né alimentare invidie clericali. La pastorale odierna — ha constatato il predicatore — è per buona parte uno sforzo per fare: in realtà tutto dovrebbe scaturire come frutto dello Spirito.

Siamo troppo abituati, insomma, a fare progetti e poi a chiedere al Signore di darsi da fare per non far andare male la missione. Invece è indispensabile cambiare prospettiva: si incomincia a zappare, poi si butta il seme, si innaffia e alla fine arriva il grano. In questo modo, ha concluso monsignor De Donatis, i frutti della fede nascono realmente dall’incontro tra Dio e l'uomo.

Qui l'originale

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