Femminicidio, infanticidio...ogni giorno nasce una parola nuova per parlare di violenza. Ma serve davvero?
Femminicidio, infanticidio…ogni giorno nasce una parola nuova per parlare di violenza.
Ma serve davvero? O ci illude soltanto di meglio identificare, categorizzando ogni cosa, senza però mai riversare empatia e umanità nelle tragedie che si susseguono, avidi di dettagli ma poveri di compassione?
Proprio lo scorso 8 marzo, due donne (madre e figlia) hanno ucciso un uomo (marito per la prima e padre per la seconda).
Quello che pare passare ancora una volta in sordina, quasi ne fossimo ormai assuefatti, sono forse le violenze sui minori.
Due storie, su tutte.
Carmine, 11 anni, ucciso in provincia di Cosenza dalla madre con un paio di forbici per vendetta nei confronti del padre (stando alle prime ricostruzioni).
Sidni, Kesi e Simona (3,10 e 13 anni), uccise a Lecco dalla madre di origine albanese.
Nord e Sud, stranieri e italiani, la disperazione non ha ormai più colore né barriere. Si tratta, purtroppo di qualcosa di generalizzato.
Un malessere, diffuso e strisciante, che mina le famiglie sin dalle loro fondamenta.
Difficile stabilire se il non esserlo sia dovuto a buona volontà, grazia ricevuta, situazioni ambientali più favorevoli oppure ancora mancanza o scarsità di occasioni sufficientemente propizie per diventarlo.
Ragionamenti oltre ogni logica, di cui si fa testimone l’episodio di Lecco: «Le ho uccise per evitare loro un futuro di disperazione». Ed è la disperazione a suggerire un tale epilogo, perché solo quando essa prende il sopravvento sulla fiducia, sulla speranza e sulla logica che si può arrivare a tanto: eliminare una risorsa (com’è ogni Vita), nel – vano!i – tentativo di eliminare il problema di cui ci si era accorti.
Come non pensare poi al piccolo Carmine? La mamma lo è venuto a prendere a scuola, salvo poi portarlo in un bosco e ucciderlo con un coltello da cucina e una forbice, armi di fronte alle quali il bambino si difese strenuamente, ma invano. Pare che il motivo del folle gesto sia proprio la gelosia, scaturita dalla rivelazione, da parte del marito, di avere una relazione con un’altra donna, dalla quale starebbe aspettando un figlio. Da lì, la reazione di annientare tutto quanto era legato al marito. Figlio compreso.