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Eppur non si muove: l’immutabile diritto naturale

Fra Fiorenzo Priuli 2

@DR

La nuova Bussola quotidiana - pubblicato il 11/03/14

Una discussione fondamentale in un tempo come il nostro

di Stefano Magni

Esiste un diritto naturale? La domanda è abbastanza lapalissiana per un cristiano, ma per chiunque vada a studiare in un’università, sia giurisprudenza che filosofia, si tratta di una questione difficilissima. È giusto discuterne, proprio in un periodo come questo in cui si stanno moltiplicando i cosiddetti “nuovi diritti” (di genere, di sesso, di opportunità, degli animali, dell’ambiente e del clima) ed è sempre più difficile, per una persona normale distinguere quel che è un diritto da quella che è mera aspirazione, trasformata in “diritto” dal legislatore per motivi politici e ideologici. È normalissimo, quando si parla di “diritto naturale” sentirsi rispondere (anche da cattolici credenti) con altre domande: “naturale per chi?” “chi stabilisce cosa sia la natura?” “naturale per gli uomini o anche per gli altri esseri viventi?” “diritto per l’uomo o per l’ambiente in cui vive?”.

Nel bel mezzo di questo dibattito, mercoledì scorso, alla sinagoga Beth Shlomo di Milano è stato veramente interessante assistere a una pacifica discussione fra tre esponenti di tre differenti scuole di pensiero. A dire il vero erano due, perché sia Mino Chamla, studioso di storia del pensiero ebraico, che Giulio Giorello, campione del pensiero relativista, sostengono la tesi che il diritto sia un “lavoro in corso”, aperto all’evoluzione. «Nel momento in cui l’uomo conosce il bene e il male, mangiando il frutto dell’Albero della Conoscenza – spiega Chamla – trasgredisce al primo comandamento divino. E da qui inizia l’avventura umana, da cui nasce tutto il diritto. Dio creò il mondo e vide che quel che aveva fatto era buono. Il mondo naturale era buono, ma “buono” non significa necessariamente “perfetto”. La creazione del mondo e il successivo inserimento dell’uomo in esso, sono “buone” e dunque perfettibili. La libertà dell’uomo diventa la garanzia che un processo verso un mondo migliore è avviato». Giulio Giorello ritiene che il diritto sia nato prima dell’evoluzione della specie umana: «Scrisse Darwin che tutto quello che aveva detto Platone sull’anima era vero. Ma al posto di anima avrebbe dovuto scrivere “scimmia”. Contro le cattive letture che sono state fatte di Darwin, mai approvate dallo stesso, è questa la sua vera lezione: i principi di giustizia, specie la giustizia distributiva, sono già presenti anche nelle scimmie antropomorfe. I valori parentali sono ben noti anche ai coccodrilli, che non è certo il tipo di “animale morale” che possiamo immaginare. La natura ci mostra continuamente di non essere quella giungla del “io uccido te, o tu uccidi me” a cui solitamente pensiamo. Nel mondo naturale degli altri animali è presente, in nuce, un insieme di atteggiamenti che costituiscono la genesi dei nostri valori morali. La morale viene prima della religione e prima ancora del diritto».

Alla fine, l’unico relatore della serata convinto che il diritto sia naturale e sia immutabile era il nostro Marco Respinti. «Dio crea l’uomo dotandolo di una determinata natura ed è da quella natura che derivano delle regole precise quanto delle leggi fisiche. Se io violo una legge fisica, ad esempio butto a terra il mio computer, questo si rompe. Non è per cattiveria che si spacca, è una legge fisica, è un dato di natura». E non è un caso che l’intervento di Respinti, una semplice spiegazione di cosa sia il diritto naturale, sia stato l’unico contestato in tutta la serata. Quel che è avvenuto in quella sede, è la stessa reazione che si legge e si sente in ogni ambiente culturale contemporaneo: in quanto statico e immutabile, il diritto naturale è decisamente fuori-moda, poiché regna la convinzione che tutto debba essere posto in prospettiva storica e culturale.

Paradossalmente, però, è proprio uno sguardo disinteressato sulla storia che ci conferma l’immutabilità del diritto. I popoli cambiano, cambiano le mode, la tecnologia evolve sempre più rapidamente, ma “curiosamente” le leggi di base che regolano la società finiscono per essere sempre quelle. Le volte che si è trasgredito al diritto naturale, gli effetti si son visti. Eccome se si son visti! Diffondi una cultura libertina e lotti contro la famiglia? Paga l’intera società: abissi di denatalità, cattiva educazione dei figli, assenza di ricambio generazionale, meno innovazione, meno produzione, popolazioni intere che consumano a debito, crisi economica. Le società comuniste, quelle che hanno stroncato la famiglia in modo più radicale, sono tuttora dei deserti sociali su cui è difficile ricostruire qualcosa. Nelle democrazie socialiste più moderate, in Europa occidentale stiamo pagando questo scotto con le crisi del debito sovrano. Giustifichi la menzogna? Non hai più la possibilità di far rispettare regole e contratti. E alla fine prevarrà il più forte: un regime che crea la “sua” realtà, a colpi di menzogne, a suo uso e consumo. Sdogani l’invidia o giustifichi il furto “per necessità”? Arriva ad abolire la proprietà privata e sprofonderai nella barbarie, dove solo la violenza stabilisce cosa è mio e cosa è tuo. Sdogani la violenza stessa e l’omicidio? Non appena Caino viene giustificato e legittimato, si aprono le porte alle ecatombi, con milioni di morti. Il Novecento è stato l’apogeo delle società che volevano liberarsi dal diritto naturale. I risultati, purtroppo, si sono visti nei lager, nei gulag, nelle due guerre mondiali e nei formicai totalitari.

Il problema, per il diritto naturale, è che i suoi esiti non rispondono ai requisiti della ragione, non si vedono “qui”, né “ora”, dunque siamo più predisposti ad ignorarli. Non comprendiamo che è la nostra ragione ad essere troppo limitata per comprendere gli effetti del diritto naturale nell’ordine esteso della società e nel lungo periodo. Seguendo i comandamenti e cercando di non peccare, la civiltà è finora sopravvissuta. Nei casi in cui si sia cercato di sostituire i comandamenti con regole prodotte dalla mente di qualche filosofo, psicologo o economista, le cose sono andate inevitabilmente male, proprio perché quelle leggi nuove erano di corto, cortissimo respiro e la natura umana si è rifiutata di adattarsi ad esse.

Qui l’originale

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