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Sesso e ragazzine: la “prima volta” non conta più niente

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 08/03/14

Un’inchiesta del Fatto Quotidiano ci dice di quattordicenni per cui la verginità è un peso di cui liberarsi

“Finalmente mi hanno stappata!”. Questa era l’espressione che una ragazza di quinta ginnasio urlava nel campo di pallavolo della sua scuola per comunicare, urbi et orbi, di aver perso la verginità. Nell’inchiesta pubblicata due giorni fa su Il Fatto quotidiano, in realtà, questa era forse la frase più edulcorata che si poteva leggere. Il mondo che lì si racconta è quello di giovani neanche adolescenti che vivono le esperienze sessuali con una leggerezza sconcertante, con grande “aggressività” nei confronti dei maschietti, il tutto per poter poi vantarsene con gli altri. È un sesso “social”, fatto di copioni già scritti che vanno messi in pratica per poi poter essere spiattellati a destra e manca, quando non mostrati con immagini più o meno rubati. Ma questo vortice di ormoni e di emozioni gettate al vento, quali conseguenze provocano nella sensibilità di queste giovani donne? Aleteia ne ha parlato con il dott. Federico Bianchi di Castelbianco, psicologo e psicoterapeuta, tra i maggiori esperti in Italia dell’età evolutiva.

Prof. Bianchi, secondo quest’inchiesta la verginità per una quattordicenne media è un peso. È così?

Bianchi: In questa ricerca si è indagato un punto che è vero, ma poco significativo se non prendiamo in considerazione tutto il quadro della situazione. Le spiego: una volta, diciamo circa dodici anni fa, la verginità doveva essere persa entro la fine del liceo. Dopodiché il termine sono diventati i 16 anni, ora si è abbassato a 14. Ma la domanda che dobbiamo porci è la seguente: da dove deriva questo abbassamento dell’età in relazione alla perdita della verginità? Dunque, se noi vediamo nel suo insieme il problema della sessualità, dobbiamo partire da un presupposto che è quello che dà origine a tante situazioni conseguenziali: parlando con i giovanissimi – le sto parlando di un’inchiesta che facemmo su migliaia e migliaia di ragazzi di entrambi i sessi – è emerso che i ragazzi, da qualche anno a questa parte, hanno scisso la sessualità dall’affettività. Da qui deriva tutto. Un esempio: 5-6 anni fa esisteva una figura che si chiamava “lo scopa-amico”, che era quel ragazzo o ragazza che uno chiamava per divertirsi sapendo bene che tutto si fermava lì, all’amicizia. Questo dimostrava che c’era una scelta consapevole, chiara e pesante, che tutte le effusioni sessuali devono essere prive di affetto. Nel momento in cui io lo dichiaro a me stesso, e gli altri lo dichiarano allo stesso modo, che il sesso può essere un’attività svolta senza affettività, quello diventa una ginnastica più o meno piacevole. È ovvio, se le cose stanno così, che prima mi tolgo di mezzo la verginità e meglio è, perché non ha alcun valore per me. Non ha valore l’atto sessuale in sé. Quindi succede che se una ragazza fa sesso con quattro persone diverse nell’arco di una settimana, è come se fosse andata a ballare con quattro persone diverse, perché non gli attribuisce il valore.

Come sono le dinamiche tra questi giovanissimi?

Bianchi: Accade che molte delle feste, delle riunioni che si fanno in amicizia diventano delle feste, degli incontri di tipo sessuale, ma senza connotazioni affettive, relazionali. Un gioco che fanno, ad esempio, è quello di nascondersi nell’armadio, e poi chi capita capita. Ci si priva anche del momento della scelta. Oppure tutti baciano tutti. Vorrei anche aggiungere questo: prima le famose esperienze omosessuali erano più frequenti nei maschi rispetto al sesso femminile, perché i maschi andavano nei collegi, a fare il militare, ecc. Oggi accade invece che per le femmine le esperienze omosessuali sono aumentate, arrivando quasi al livello dei maschi; inoltre succede che l’esperienza omosessuale è vissuta non come qualcosa da capire, piuttosto ci si dice: “è stato figo”, oppure “non è stato granché, quindi non la ripeto”. Questo sta ad indicare che anche l’esperienza omosessuale non nasce da un’attrazione, ma da un’esigenza di “stare alla moda”. Questo è il grande dramma.

Colpisce il linguaggio così pesante, e anche il fatto che il sesso fatto debba essere urlato ai quattro venti, come se avesse senso solo come esperienza social. Che ne pensa?

Bianchi: Certo, è chiaro che il linguaggio sia così crudo, perché se io all’atto sessuale gli ho tolto qualunque aspetto di sentimento, quello che mi resta è l’atto “brutale”, meccanico. Il linguaggio dunque va a qualificare l’atto meccanico, e quindi io mi ritrovo solo la brutalità, la forza, la potenza, lo schifo. Io l’ho spogliato quell’atto, e quindi quando ne vado a parlare lo faccio in termini che rispecchiano proprio quest’assenza di sentimenti. Tornando al tema che abbiamo toccato prima, quello dell’omosessualità, il grande problema non è se esistano o non esistano ragazzi con tendenze omosessuali, il problema è che i messaggi sociali che mandiamo ai ragazzi sono: “gay è bello e divertente”, mentre “la coppia è una noia”. Questo è l’esempio che diamo. Faccio un esempio datato di qualche anno fa: Le fate ignoranti, il film con Margherita Buy, cosa mostrava? Mostrava che lei e suo marito stavano insieme erano depressi, mentre quando il marito frequentava la comitiva di gay era allegro, sorridente, felice. Questa è l’immagine che diamo. Pensiamo a quando ci fu, una decina d’anni fa, il bacio in pubblico ad un concerto tra Madonna e Britney Spears, un bacio molto appassionato, le ragazzine che nell’arco di una settimana hanno seguito le orme furono centinaia di migliaia, solo in Italia.

Che tipo di messaggi lanciano gli adulti?

Bianchi: Noi adulti lanciamo messaggi che sono paradossali: se fai l’amore con l’altro sesso, il sentimento non serve, invece l’aspetto omosessuale è divertente. Ma in realtà ai minori che sono ancora in cerca di un’identità sessuale non andrebbe suggerito nulla. Loro, con le loro logiche, sbagliate quanto si vuole, fanno una loro crescita, che non deve essere però condizionata dall’adulto. Se le ricerche sull’omosessualità indagassero il numero di ragazzi che hanno avuto solo un’esperienza omosessuale scoprirebbero che sono un numero enorme. Anche tra le bambine questa è diventata un trend, incoraggiata da una “moda”, non da una pulsione.

Si può dire che sono soprattutto le femmine ad aver cambiato atteggiamento nei confronti del sesso rispetto al passato?

Bianchi: Attenzione, prima la donna dava un valore sentimentale all’atto. Quando i ragazzi hanno deciso che non è più così, il linguaggio di conseguenza è diventato un linguaggio crudo, e non può essere diversamente. Nel momento in cui questa cosa equivale a dare due calci al pallone, a farsi una sigaretta, anzi a “farsi un cannone”, tutto viene enfatizzato allo stesso modo. Il problema è che viene enfatizzato con un linguaggio che – e questa è una cosa che i ragazzi non hanno capito, ma soprattutto non l’hanno capita coloro che seguono i ragazzi – questo è un linguaggio che poi diventa un punto di riferimento. Significa che poi la ragazza deve mettere in pratica atti sessuali violenti per poter dire che ha “fatto sesso”. Deve andare con due o tre ragazzi insieme, altrimenti le sue parole sembrano roboanti rispetto alla realtà. Purtroppo le parole che usano conducono alla pratica. Si parla dei 14 anni come momento in cui si perde la verginità
: la realtà è che fin dalla seconda o terza media i ragazzi raccontano a noi psicologi cose che mettono in evidenza due fenomeni. Primo, i ragazzi maschi di 12 anni ci raccontano che le ragazzine li toccano, e questo mostra un’inversione di tendenza. Secondo, tra le ragazze di 14-15 anni abbiamo notato che molte chiedono ai genitori di cambiare scuola, magari lo stesso indirizzo, ma in un’altra zona. Questo avviene perché anche alle medie e al primo anno di liceo sono state estremamente disinibite e disinvolte, e questo ha fatto sì che i ragazzi abbiano continuato a bussare alla loro porta dicendo: ti ricordi di me? Si vergognano in sostanza della ciò che hanno come classica stupidaggine giovanile. Questo ai genitori non lo spiegano, e vengono lasciate lì a vivere un disagio molto forte.

Ma queste ragazzine riescono poi da grandi a ricongiungere sessualità e affettività?

Bianchi: Certo, la ricongiungono quando accusano quel vuoto esistenziale di relazioni dove il classico amico non basta più. Allora chiedono un rapporto più intenso e significativo, e accade che si “aggrappano” al ragazzo del quale si innamorano. Ma il problema che segue è che se questo sentimento non viene corrisposto, queste ragazze dai ragazzi accettano di tutto. Le faccio un esempio: ho parlato con delle ragazzine che sono state picchiate dai fidanzati – chiamiamoli così – e loro mi dicevano di essere contente. Se io chiedevo il perché, loro dicevano: “se mi picchia vuol dire che tiene a me”. Siamo uscendo fuori dalla linea del buon senso. Il problema allora non è tanto il denunciare un fattore legato ad un’età o a un evento: è il quadro che è pesante. Ci ritroviamo delle ragazzine che a 13 anni devono perdere la verginità, che fanno attività sessuale come fosse una forma di ginnastica, che si danno con una facilità unica. Tant’è che quando è avvenuto l’episodio delle ragazzine che si prostituivano, io mi chiedevo come fosse possibile che l’adulto si stupisse. Se per me il furto non è un furto, è chiaro quando mi arrestano io dico “che c’è di male?”. Poi le ragazzine, che sono sempre più oneste dei ragazzini, cos’hanno detto: “io lo facevo perché volevo soldi, perché voglio fare la bella vita”. Cioè, non erano disperate, tutt’altro.

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