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Diventare padre in età avanzata: ecco i rischi per i figli

Father comforts a sad child. Problems in the family. Pain – it

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 04/03/14

Uno studio effettuato in Svezia dimostra una correlazione tra l’età dei padri e disturbi psichiatrici o comportamentali nei figli

Il fenomeno ormai è più che comune nelle nostre società occidentali, dove le lancette dell’orologio biologico e di quello culturale degli individui sono state inesorabilmente spostate in avanti. Si cresce tardi, e si diventa genitori tardi. Ma questo per i padri può essere più facilmente causa di patologie o disturbi mentali nei figli, dall’autismo alla schizofrenia, dal disturbo bipolare al deficit di attenzione (Adhd). Questo ce lo dice uno studio che arriva dall’Indiana University di Bloominton, che ha analizzato i dati di tutti i nati in Svezia dal 1973 al 2001, per rilevare che il rischio aumenta in particolare per coloro che nascono da padri la cui età supera i 45 anni, soprattutto se il termine di paragone sono i neopadri tra i 20 e i 24 anni. Ce ne parla Maria Beatrice Toro, psicoterapeuta esperta di tematiche relative allo sviluppo e docente di Psicoterapia e Psicologia presso l’Università LUMSA di Roma.

Dottoressa Toro, la colpiscono i dati di questo studio?

Toro: Questa ricerca è rimbalzata agli onori delle cronache, ma in realtà è un filone di cui si discute da parecchio tempo, almeno dall’ultimo decennio. Alcune ricerche si sono concentrate principalmente sulle mutazioni geniche che avvengono in età avanzata, o comunque dopo i 40 anni, sfatando un po’ il mito che le difficoltà genetiche dei bambini siano legate soltanto all’età della madre. Quelle legate all’età del padre magari sono meno evidenti; però proprio per questo – cioè per il fatto di non essere riferite ad alterazioni cromosomiche ma di cose più piccole – non a caso si vedono nel cervello, che è l’organo più nobile e dunque quello più vulnerabile. Tutto questo è stato studiato molto sui topi e sugli animali in genere: su questi hanno studiato chiaramente più le mutazioni geniche, dimostrando che sono comunque maggiori nei figli di padri con un DNA invecchiato. Nel tempo ci si è concentrati sulle ricerche sulle persone, vedendo che è possibile che queste alterazioni geniche si esprimano in danni del cervello.

Quali sono i benefici che questo nuovo studio comporta?

Toro: Questo studio attuale mi sembra che non sia sull’aspetto cromosomico e genico, ma sia semplicemente un’osservazione che correla l’età con l’ADHD (sindrome di deficit da attenzione ed iperattività), con l’autismo e i disturbi dell’apprendimento – dislessia, disgrafia, disortografia discalculia – che sono in crescita esponenziale. Questa ricerca mi sembra che non guardi l’aspetto genico ma il punto finale. Questo ci consente di fare ragionamenti un po’ più complessi che tengono conto non tanto degli aspetti biologici – che sono presenti, se consideriamo che anche disturbi come la dislessia, disortografia, ecc, alla fine sono un modo di elaborare i dati un po’ diverso e che hanno un correlato neurologico ben dimostrato – quanto di una correlazione forte tra l’età avanzata del padre e una serie di problematiche di ordine psichico. È la prima volta che una ricerca di questo tipo viene fatta sugli esseri umani. Anche un disturbo come l’ADHD, un disturbo caratterizzato dal fatto che i bambini sono molto impulsivi, non riescono a trattenersi, passano continuamente da un’attività all’altra, può avere più cause, alcune di matrice biologica e altre di matrice psicologica. Oggi grazie a questa ricerca possiamo guardare alle emozioni, all’affettività, agli stili di educazione e anche agli altri elementi psicologici.

Cosa possiamo dire di questi aspetti psicologici?

Toro: La cosa interessante, che mi salta agli occhi anche grazie alla mia osservazione clinica, è la particolarità della relazione tra il padre, che ha concepito la vita oltre i 40 anni, e il figlio. Ci sono delle differenze sensibili rispetto al caso del figlio giovane, diverse secondo me nel caso del figlio maschio e della figlia. Il padre anziano di un figlio maschio è meno pressante sulla prestazione. Questo avviene specialmente se è molto anziano ed è uscito dai circuiti della produttività e dell’affermazione sociale, perché a 45-50 anni non sei più lanciatissimo nell’attività professionale. Quindi con il passare degli anni viene più valorizzata la relazione, e i padri sono meno esigenti, danno valore ad altri aspetti della vita, tra cui l’affettività, il gioco, la relazionalità. Per questo sono più inclini a perdonare ai bambini comportamenti un po’ fuori dalle righe. Sono dei padri un po’ più permissivi. Poi non è detto che un padre anziano sia padre di un primogenito, a volte è un padre di un terzo figlio, di un ultimogenito magari nato qualche anno dopo rispetto ai primi figli, i quali si lamentano spesso perché i padri sono più tolleranti con i piccoli. Questo non è un luogo comune, è vero. I padri grandi sono più inclini a fare strappi alle regole.

Spesso si pensa che questa maggiore permissività sia “una dote” per l’ultimo figlio: invece è legata all’età del padre?

Toro: Sì, certo. Possiamo distinguere due casi: quello degli ultimogeniti, per i quali gioca un ruolo anche l’esperienza del padre che poi in fondo rivaluta tutta l’esperienza affettiva, e quello di un primogenito, dove l’esperienza è più particolare perché il padre sarà sicuramente più coinvolto, avrà un’affettività che comunque è più vicina a quella della persona anziana. Si dice che anziani e bambini si toccano, ed è vero, perché sono tutti e due fuori dal ciclo produttivo, dal ciclo della performance. Quindi bambini e persone anziane, o comunque persone che hanno passato la metà della vita, trovano moltissimi punti di contatto. Invece a volte il genitore giovane è più concentrato sulla sua prestazione, sulla sua realizzazione personale, su alcune cose molto materiali – comprare la casa, ecc – e quindi è un genitore che pretende molto di più dal figlio dal punto di vista della prestazione. Cioè, vuole un figlio bravo, capace, è molto più attento a questi aspetti rispetto ad una persona più grande che ad un certo punto, dando meno importanza al ciclo produttivo pur standoci ancora dentro – perché a 50 o a 60 anni ancora si lavora – rivaluta dell’altro, quindi anche gli aspetti più sentimentali. I bambini quindi sono molto più accuditi: questi sono padri più accudenti, sono padri più “mammi”, più morbidi, e questo ha un effetto sui bambini, nel senso che li abitua meno alle frustrazioni e ai limiti che poi la realtà impone. Da una parte è un bene che il padre sia più carino e più affettuoso, dall’altra parte produce una serie di scompensi emotivi.

Questo non è quello che incontra anche un bambino che cresce molto con i nonni?

Toro: Certo. Beh, quando il padre ha l’età del nonno di fatto si comporta da nonno, creando una campana di vetro per il figlio che cresce. Dobbiamo chiederci perché i figli nascono e crescono con delle sindromi che riguardano la difficoltà a concentrarsi e a stare attenti. Questo avviene perché la capacità di concentrarsi e di stare attenti, e di non essere impulsivi, in assenza di problemi cerebrali nasce dal rispetto delle regole. Le regole poi sono essenzialmente un’organizzazione del tempo: ora si fa questo, tra un’ora si fa quello, stasera si farà quell’altro ancora. Invece un padre troppo permissivo non ha orari, se il bambino
ha fame a una cert’ora mangia, se non gli va di fare una cosa non la fa. Quindi c’è una minore organizzazione del tempo, e un minore senso della giornata, il che invece sarebbe importante avere perché il bambino poi quando si trova in altri contesti, collettivi, specie se è figlio unico e si trova nella classe con 20 bambini che devono fare alcune cose, va incontro a scompensi emotivi: si sente preso di mira, si sente tartassato, gli sembra di essere in mezzo ad un pericolo e a delle minacce, perché basta che un insegnante gli dica “questo non si fa” e il bambino si sente aggredito, sviluppa fobie scolari. Il bambino cresciuto in maniera troppo morbida può andare incontro a tutta una serie di fobie, perché poi il mondo non è così accogliente. La realtà è frustrazione; Freud parlava di “disagio della civiltà”, per spiegare che il disagio umano è legato al fatto di doversi contenere, trattenere. Invece in questa società in cui nessuno più si contiene e si trattiene, alla fine il prezzo lo pagano i bambini. Questo può avvenire anche negli adulti: capita spesso che gli anziani si comportino come degli adolescenti, senza regole. Pensiamo a La grande bellezza di Sorrentino, che ha appena vinto l’Oscar, che ci racconta un mondo di persone anziane che non si controllano. Nella nostra società c’è anche questa euforia dell’anziano, che ancora meno sta nelle regole; però, per quanto riguarda gli adulti, il fatto di essere così privi di contenimento e di controllo può far male fino ad un certo punto, ma includere i bambini in tutto questo – anche perché oggi i bambini vivono le nostre vite, perché vengono portati a cena fuori, al cinema, nei matrimoni, dappertutto, e tutto questo una volta non si faceva – lo fa ricadere in una vita che sembra un’isola felice, ma in realtà appena mette il naso fuori, si accorge che non è così. Perché a scuola devi stare buono e fermo, perché l’adolescente che esagera si fa male, perché ci sono dinamiche tra i ragazzini anche estremamente violente. Ho visto che nella ricerca si parlava anche di un aumento del rischio di suicidio. Secondo me questo è legato molto alla capacità di tollerare il male. C’è un collasso della personalità di fronte alla frustrazione, alla difficoltà.

Non colpisce anche molto la varietà dei disturbi accomunati in questa ricerca?

Toro: Sì, può darsi. Ci fa pensare che quello che aumenta è la vulnerabilità, e il bambino si trova di colpo nelle regole, e allora o diventa fobico, oppure reagisce con l’impulsività ed iperattività. Quindi evade un po’ le regole diventando un po’ autocefalo, autarchico, il che non va bene perché sviluppa un’autostima negativa. L’autostima non si costruisce a casa, ma nel sociale, quindi un bambino troppo viziato poi nel sociale non si sa far valere, perché non ha mai vissuto una frustrazione in vita sua. Non è un bambino che ha fatto un pianto, e ha capito che il pianto dura 10 minuti e poi passa. Se tu il pianto non glielo fai mai fare, poi quando lo fa non smette più, perché non ha imparato a regolarsi. L’autorità è poi quella che domina sul tempo. Se ci pensiamo simbolicamente il padre di tutti gli dei è Chronos, è il tempo, l’autorità che domina sulle altre, che dà i tempi.

Nella sua esperienza di psicoterapeuta dunque ha già vissuto quello che ci dice questo studio?

Toro: Io le dico la verità. Ho 43 anni, quando ho cominciato ero una ragazza e vedevo moltissimi pazienti adulti, con disturbi di panico, depressione, le cose classiche che studia un terapeuta. Vedevo pochi bambini. Oggi, se le dico la verità, i miei pazienti sono quasi tutti bambini, con i disturbi più vari, da ADHD. In questo momento ho in terapia una bambina, assolutamente priva di regole, in cui l’ADHD è dovuta non tanto ad un’anomalia cerebrale, ma ad una mancanza di contenimento e di controllo. La cosa tragica è che sono tanti. Io ho un numero enorme di bambini che si rifiutano di andare a scuola. Il genitore anziano ti chiede “ma è normale che il bambino dorma con me?”, tu gli dici “no, non è normale, deve dormire nel letto suo”, perché le regole riguardano spazio e tempo. E il genitore ti risponde “e ma non vuole!”, io mi sento dire queste cose. Veramente, a casa regna la volontà del bambino, poi fuori casa non è così, e quindi il bambino ha degli scompensi.

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