Intervista a Jorge Milia, alunno del professor Bergoglio ai tempi del Colegio de la Inmaculada Concepción a Santa Fe
Manzoni, Dostoevskij, Dante e Borges: questi gli autori preferiti di Jorge Maria Bergoglio, che nell’anno scolastico 1964-1965 fu professore di Letteratura a Santa Fe presso il Colegio de la Inmaculada Concepción. Gli studenti di allora ricordano molto bene questo giovanotto, non ancora prete, appassionato di letteratura, a cui i superiori avevano chiesto di diventare insegnante di una materia umanistica, pur avendo alle spalle una formazione scientifica. E il professor Bergoglio, il maestrillo – come si chiamano i gesuiti in formazione –, aveva il dono di insegnare non già fredde nozioni, quanto piuttosto di riuscire a trasmettere ai ragazzi la passione per la letteratura che animava lui stesso, come racconta in una intervista alla Civiltà Cattolica, un suo ex alunno Jorge Milia, scrittore, poeta e giornalista.
Sempre con l’intento di instillare nei suoi studenti l’amore per la letteratura, Bergoglio invitò nel collegio le più importanti personalità del mondo della letteratura, tra le quali Jorge Luis Borges, il più illustre e prestigioso intellettuale argentino, che era da sempre uno dei suoi scrittori preferiti. A Borges, considerato un autentico gigante della letteratura mondiale, il maestro Bergoglio aveva scritto domandandogli se avesse potuto trovare il tempo di venire a Santa Fe a tenere ai ragazzi del Collegio una lezione di letteratura gauchesca. Lo scrittore lo sorprese, accettando di un buon grado e tenendo un vero e proprio seminario sull’argomento della durata di cinque giorni.
Racconta del suo ex professore alla Civiltà Cattolica Jorge Milia: “Quando insegnava letteratura, il suo linguaggio era piuttosto diverso dal linguaggio attuale, che è caratterizzato dallo sforzo di semplicità per andare incontro alle persone”.
Il rapporto tra gli alunni, il professore e la letteratura “era una relazione attiva di coinvolgimento, di passione. Spesso era proprio Bergoglio a provare una sensazione di meraviglia nello scoprire l’immagine nascosta in un passaggio del testo, in una frase o anche soltanto in una parola che uno di noi gli presentava. Ecco, era capace di trasmettere quelle esperienze agli altri. Non si comportava con i modi tipici di un maestro che dirige e detta tracce da seguire, quanto facendoci partecipare, dando ovviamente consigli e spiegazioni. Se qualcuno esprimeva interesse ad approfondire un argomento o un’opera, non soltanto lo consentiva, ma si offriva di dargli una mano. Era evidente che lui dava stima e sostegno a chi si avventurava su percorsi personali di approfondimento”.
Ma l’impegno di Bergoglio non si limitava all’insegnamento della letteratura e fu molto attivo nel dare vitalità al mondo del teatro nell’Istituto. Anzi, ha precisato Milia, “è stato il primo ad ammettere donne nelle produzioni dell’Accademia di teatro del Collegio. Fino ad allora si erano scelte opere senza personaggi femminili (a costo di alterarle o mutilarle) o, ancor peggio, alcuni personaggi femminili erano stati rappresentati da uomini, compagni di corso. Bergoglio pose risolutamente la questione in questi termini: ne andava a detrimento l’immagine della donna. Un’affermazione che mi sembra avere un riflesso oggi nella sua posizione sull’importanza della donna nella Chiesa e nella società. Si mise subito a chiedere di madri e sorelle dei vari attori, e in poco tempo riuscì a inscenare l’opera con molto successo, con la necessaria presenza femminile”.
Per quanto riguarda il rapporto con la musica, in un’epoca in cui tutti erano travolti dal fenomeno Beatles, al Collegio dell’“Immacolata” c’era chi accarezzò il sogno di farsi emulo del quartetto di Liverpool. Mancavano però gli strumenti e non c’era neanche un posto dove provare. Anche in quell’occasione “l’aiuto del
maestrillo si dimostrò valido, e presto giunsero risultati: un’aula per le prove e un impianto audio […] L’appoggio di Bergoglio si fece abituale. Era una costante in lui: non respingeva mai una richiesta di aiuto e, se vedeva che le persone s’impegnavano, lavoravano al progetto, continuava a sostenerle. Per Bergoglio e per il Collegio, l’appoggio a The Shouters («Gli urlatori») non si limitava nel fornire loro l’uso di uno spazio disponibile, ma mirava oltre, a sostenerli in un progetto collettivo che in qualche modo avrebbe avuto ripercussioni nelle loro vite”.
Un breve scritto pubblicato nel 1966 sulla rivista annuale del Collegio che aveva per titolo “L’espressione come meta nella formazione del giovane” riassumeva bene l’impegno portato avanti da Bergoglio contro “la tragedia della verità accolta a metà” e che mirava a fornire ai suoi studenti l’armamentario necessario per far fronte al “cicaleccio rumoroso degli studenti a vita, gran chiacchieroni al servizio dell’errore”.
In quel testo Bergoglio scriveva: “Dobbiamo essere consapevoli che l’errore e il compromesso personale con l’errore vengono difesi attraverso una retorica brillante e suadente, mentre molte volte tutto lo sforzo compiuto per trasmettere la verità ai nostri alunni si ferma a una timidezza gelida incapace di rivolgere, con la luminosità di tutta la verità, un messaggio agli altri uomini. Perché il problema non è semplicemente quello di possedere la verità e d’impegnarvisi, ma anche quello di esprimerla con brillantezza e fecondità”.