Il cristianesimo non è riducibile né ad un idealismo in-corporeo nè al materialismo puro
di Michelina Tenace
L’uomo, nel corpo, è immagine di Cristo risorto nel corpo. Quello che si tratta di affermare è quindi il rapporto tra corpo e risurrezione.
La fede ha per nucleo l’incarnazione ed è pertanto una riflessione sulla carne, sul corpo, sulla condizione uman. L’eucarestia stessa, mistero centrale della vita cristiana, è partecipazione alla vita di Dio attraverso il corpo di Cristo nella sua morte e risurrezione. Anche la Chiesa è detta "corpo" di Cristo. Come si fa ad ignorare questi dati nell’elaborazione dell’antropologia cristiana?
Il cristianesimo non è riducibile né ad un idealismo in-corporeo nè al materialismo puro. La sua novità è di essere sempre critico nei confronti sia di una mistica disincarnata che di un umanesimo troppo carnale. Dice Bulgakov che il falso spiritualismo nell’amore è un errore di giudizio erotico allo stesso modo della semplice sensualità o della nuda concupiscenza, perché l’oggetto vero dell’amore è lo spirito incarnato o la carne spiritualizzata (38). Ne consegue che la rivolta contro il sesso, qualora volesse negare la sessualità, testimonia una seria malattia dello spirito. Una lotta contro la carne mira a spersonalizzare, invece di far trionfare la persona (39).
«(…) l’uomo, non una sua parte, diventa simile a Dio. L’anima e lo spirito possono essere una parte dell’uomo, non tutto l’uomo; l’uomo perfetto è composizione e unione dell’anima che riceve lo Spirito del Padre ed è unita alla carne: questa è la creatura a immagine di Dio» (40).
«Infatti Egli (Dio) disegnò sulla sua (dell’uomo) carne foggiata la sua stessa forma, di modo che anche ciò che sarebbe stato visibile portasse la forma divina, perché è in quanto formata ad immagine di Dio che l’uomo è stato messo sulla terra» (41). «L’uomo è composto di anima e di carne, formato a somiglianza di Dio e plasmato dalle sue mani, cioè dal Figlio e dallo Spirito, ai quali disse: "Facciamo l’uomo" (Gen 1,26)» (42).
È in questi termini che il popolo cristiano di Lione veniva catechizzato.
Proviamo ad immaginare che cosa sarebbe stato di Agostino se avesse incontrato Ireneo. Agostino non poteva accettare che l’uomo somigli a Dio nella carne, causa di decadenza e di peccato. Ireneo dice in tutti i modi possibili che la dignità, se consiste nella libertà dello spirito, passa però attraverso la dignità della carne modellata ad immagine di Colui che l’ha assunta per venire a stare in mezzo a noi. Ireneo è convinto che "gli spiriti privi di corpo non sono uomini spirituali" (43).
Che cosa significa l’essere immagine di Dio in riferimento alla corporeità dell’uomo?
Per il pensiero cristiano espresso da Ireneo, è precisamente nel corpo che esiste un’orma delle sue (di Dio) dita (45).Si tratta di quel corpo che abbiamo tutti, non di un ideale astratto "migliore" (come potrebbe essere, ad esempio, l’androgino). Così com’è, il corpo è stato creato con un’impronta di Dio che niente può cancellare, per cui è con questo corpo che risorgeremo. «Qual’è questo povero corpo che il Signore trasformerà rendendolo simile al suo corpo glorioso? Evidentemente il corpo carnale che viene avvilito nella tomba» (46). La carne non è (…) estranea alla sapienza e alla potenza di Dio. Che la carne partecipi alla vita si dimostra dal fatto stesso che vive: vive infatti in quanto Dio vuole che viva. Che Dio possa darle la vita è evidente: è perché Egli ci dona la vita che noi viviamo. Dal momento che il Signore può vivificare la sua opera e vivificare la carne, che cosa impedisce ancora che essa possieda l’incorruzione, che è la vita felice e interminabile che Dio dona?» (47).
Ciò che definisce l’uomo in questa prospettiva è che il corpo non stringe in un rapporto di parentela l’uomo al mondo inferiore (animale, biologico) ma a Dio; che il corpo, come lo spirito, partecipa dell’essere immagine di Dio; che l’economia di salvezza si svolge attraverso un’economia della carne unita all’economia dello spirito; che le due economie evocano il modo della creazione per le due mani del Padre che sono il Figlio e lo Spirito Santo. Questa unità fra economia della carne ed economia dello spirito la ritroveremo sia nel concetto cristiano del monachesimo, dove l’ascesi del corpo è unita alla custodia del cuore, sia nella visione più moderna dell’ecclesiologia che richiede sempre che il corpo delle istituzioni sia a servizio della carità, cioè sia animato dalla sempre continua novità dello Spirito. Qual è l’elemento vivente? Lo Spirito di Dio» (48). «Perciò la carne senza lo Spirito di Dio è morta, priva di vita e non può possedere il regno di Dio (…)» (49).
Il corpo è inserito nell’economia della salvezza dalla creazione. Tutto parte dall’affermazione di fede che l’uomo, così come egli è realmente, è inserito nella vita della Santissima Trinità.
«L’uomo originato e plasmato è fatto a immagine e somiglianza del Dio ingenito: il Padre determina e ordina, il Figlio esegue e plasma, lo Spirito nutre e sviluppa e l’uomo quotidianamente progredisce e giunge alla perfezione, cioè si avvicina all’Ingenito» (50). Per la grazia dello Spirito Santo, l’uomo progredisce nella perfezione inserito nell’economia trinitaria. Per cui è possibile affermare che la carne sarà capace di ricevere la potenza di Dio come al principio ricevette la sua arte (…). La carne non è dunque estranea all’arte, alla sapienza e alla potenza di Dio. Infatti la potenza di quello che da la vita si perfeziona nell’infermità, cioè nella carne» (51). Pur essendo fatto di ciò che è più indigente, l’uomo è destinato a ciò che vi è di più elevato. L’uomo non è solo un’anima che per sbaglio o peccato è caduta in un corpo. L’uomo è un corpo e uno spirito capax Dei dalla creazione, o, se così si potesse dire, "prima" del peccato, e tale rimane per tutta la storia, tale è rivelato nella storia tramite l’incarnazione. La verità di tutto ciò apparve quando il Verbo di Dio si fece uomo, rendendosi simile all’uomo e rendendo l’uomo simile a lui (…). In passato l’uomo era bensì detto creato a immagine di Dio, ma non era manifestato, essendo il Verbo, alla cui immagine l’uomo era stato creato, ancora invisibile. Perciò dimenticò facilmente la somiglianza. Ma quando il Verbo si fece carne, confermò tutti questi punti: dimostrò che l’immagine era vera perché Lui stesso plasmava la sua immagine e ristabilì la somiglianza rendendo di nuovo l’uomo simile al Padre invisibile per opera del Verbo visibile (52).
L’uomo, nel corpo, è immagine di Cristo risorto nel corpo. Quello che si tratta di affermare è quindi il rapporto tra corpo e risurrezione.
Perché Ireneo insiste tanto su questo modellamento della carne ad immagine di Dio? La motivazione esterna è la crisi antropologica portata dall’eresia gnostica, secondo la quale solo lo spirito nell’uomo è protagonista della salvezza e della divinizzazione.
Dire che la carne porta l’impronta di Dio e che ne evoca l’immagine significa affermare, contro ogni eresia, la straordinaria novità del cristianesimo che mette al centro dell’annuncio la salvezza della carne, la «redenzione del nostro corpo» (Rm 8,23). «La carne è capace di corruzione e di incorruzione, di morte e di vita» (53) a seconda di chi la possiede, di chi la inabita e la vivifica. La carne non può possedere per se stessa in eredità il regno di Dio, mentre può essere posseduta dallo Spirito» (54). Il corpo è il tempio di Dio, nel corpo "abita" lo Spirito, per cui l’uomo ha come "padrone" lo Spirito. Dice san Paolo: «voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi» (Rm 8,9). Come si potrebbe negare al corpo la stessa dignità di Colui che lo inabita? Inoltre, dire che l’uomo è nella carne immagine di Dio è il fondamento della risurrezione e della possibile partecipazione all’eucarestia. Non si potrebbe dire che la carne è incapace di ricevere il dono di Dio che è la vita eterna mentre si nutre del sangue e del corpo di Cristo di cui è membro a pieno titolo (55). Fra le creature, solo l’uomo è fatto a immagine di Dio, e questo significa che porta un destino diverso che lo fa simile a Lui, cioè l’immortalità e l’incorruttibilità. Tale destino riguarda l’uomo intero, quindi il suo corpo al quale è destinato l’annuncio principale della salvezza: la risurrezione. Tutto il II secolo è attento a questa novità portata dall’evento della risurrezione di Cristo. «Nessuno di voi dica che questa carne non è giudicata né risorge. Sappiatelo: in che cosa siete stati salvati? In che cosa avete riacquistato la vista, se non in questa carne, mentre vi dimoravate? (…) Giacché, come siete stati chiamati nella carne, così vi presenterete a Lui nella carne. Se Cristo, il Signore e Salvatore nostro, essendo prima spirito, si è fatto carne e in tale natura ci ha chiamati, così anche noi in questa carne riceveremo il premio» (56). Per questo, come afferma san Paolo, «è necessario che questo corpo corruttibile si vesta d’incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d’immortalità" (1Cor 15,53). Questo è credibile perché chi dal principio fece esistere quando volle dal nulla (l’uomo) potrà a maggior ragione risuscitare coloro che già furono nella vita da lui data» (57). «(…) il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,10-11). Questa inabitazione dello Spirito nel corpo fa dell’uomo un figlio («tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio»: Rm 8,14) e un uomo "spirituale". «Gli spiriti privi di corpo non sono uomini spirituali, ma la nostra natura, cioè l’unione dell’anima e del corpo che riceve lo Spirito di Dio, costituisce l’uomo spirituale» (58), quell’uomo che è destinato alla risurrezione.
È la risurrezione la chiave di lettura dell’antropologia, il mistero che ci apre alla comprensione degli altri. «Colui che è stato iniziato alla potenza nascosta della risurrezione conosce lo scopo in vista del quale Dio ha predisposto l’inizio di tutte le cose» (59).
Il Padre ha destinato l’uomo a diventare conforme all’immagine del suo Figlio. Questo significa concretamente che l’immagine secondo la quale l’uomo è stato costituito essere vivente è Cristo risorto, "primogenito tra i morti" (cf Col 1,18). La risurrezione di Cristo ha manifestato e compiuto il disegno di Dio di trasfigurare l’uomo intero in "uomo spirituale". Nel giorno della risurrezione, lo Spirito ha portato a termine la trasformazione del modo di essere dell’umanità del Signore. Senza cessare di essere vero uomo, Cristo è stato glorificato, vivendo fin nella sua carne della stessa vita di Dio. Allora non è più solo carne e sangue, ma uomo spirituale a causa dello Spirito infuso (60) e manifestato. Il corpo mortale si riveste di immortalità e il corpo corruttibile di incorruttibilità (cf 1Cor 15,53) perché completamente rivestito dello stesso Spirito Santo. «(…) in Adamo tutti dovevamo morire in quanto composti di anima, in Cristo viviamo in quanto composti di Spirito (…)» (61). «(…) l’uomo innestato per mezzo della fede e ricevendo lo Spirito di Dio, non perde la natura della carne, ma cambia la qualità dei frutti, ossia delle opere e riceve un altro nome che indichi la trasformazione in meglio, non è più e non è più detto carne e sangue, ma uomo spirituale» (62).
La gloria di Dio, l’uomo vivente: incorruttibilità e immortalità
L’affermazione centrale è che "quelli che vedono Dio partecipano alla vita" (63). Se l’uomo è vivo, lo è come "contemplativo". L’uomo è «destinato a vedere Dio, e la visione di Dio produce incorruzione, e l’incorruzione avvicina a Dio (cf Sap 6,19s)» (64). Gloria di Dio è l’uomo vivente. Se l’uomo muore, Dio non è glorificato…I passaggi del ragionamento sono i seguenti: l’incorruttibilità si riferisce solo a Dio e l’uomo la riceve per partecipazione nella carne alla creazione che avviene "per le mani del Padre" (65). Il Verbo dà incorruttibilità all’uomo come un’eredità personale nell’adozione a figli e lo Spirito («pegno d’incorruzione, assicurazione della nostra fede e scala per ascendere a Dio» (66)) la dà come anticipo, nel pane di immortalità presente nella Chiesa. Come avviene tale partecipazione? Attraverso tutta l’economia della salvezza: la creazione di Adamo come immagine e somiglianza, il peccato a causa di una tentazione che tocca l’essere immortale come Dio, la venuta del Figlio con l’accento posto sul mistero dell’incarnazione "per amore" (67) e del compimento della promessa di avere la vita (nell’incorruttibilità e nell’immortalità, ossia nella risurrezione). Tale economia di salvezza rende l’uomo in grado di riaccedere alla visione di Dio, quindi di vivere. «Se la manifestazione di Dio mediante la creazione dà vita in terra a tutti i viventi, a maggior ragione la manifestazione del Padre mediante il Verbo dà vita a quelli che lo contemplano» (68).
Ireneo fa queste affermazioni riferendosi spesso al Libro della Sapienza (Sap 2,23 e Sap 6,17-19), dove è scritto che Dio ha creato l’uomo per l’immortalità, facendolo così a sua propria immagine. Ora, legato al dono dell’immortalità, è l’amore della Sapienza. Ireneo, come è noto, in molti passi identifica la Sapienza con lo Spirito Santo. «(…) la Sapienza, cioè lo Spirito» (69). Ma nondimeno la Sapienza è il Figlio: il desiderio di conoscere, di amare Dio o di ricevere l’amore di Dio passa attraverso il Figlio.
La Sapienza-Spirito e la Sapienza-Figlio, in quanto posseduta dall’uomo, è una ed è pegno di immortalità, di conoscenza, di visione, di amore. «Dove c’è aumento di amore ivi maggior gloria per virtù di Dio si compie a favore di quelli che lo amano» (70). Così possiamo capire le parole del Signore quando afferma che la stessa gloria che il Padre ha dato a lui, lui la dà ai discepoli (cf Gv 17,22). Questa è la "maggior gloria" dell’amore che si manifesta nella passione del Figlio al quale il Padre ha «dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna» (Gv 17,2). È in quanto Sapienza che il Signore invita i suoi discepoli a rimanere nel suo amore (cf Gv 15,9) per vivere in eterno. La vita divina viene comunicata all’uomo dalla conoscenza, dalla fede in Cristo che è la vera Sapienza-gnosi: la vita eterna è conoscere lui e l’unico vero Dio Padre (cf Gv 17,3). Radice d’immortalità è l’unione con la Sapienza (cf Sap 8,17). La nostra parentela è con il Figlio che si è fatto uno di noi. Ecco perché nella Didaché si rende grazie al Padre per «la conoscenza, la fede e l’immortalità» (71) che ci ha donato in Gesù suo Figlio. Clemente di Roma scrive che Cristo è il mediatore di una nuova conoscenza: «Grazie a lui possiamo guardare in alto verso i cieli, grazie a lui, contempliamo come in uno specchio il suo volto immacolato e imparagonabile, grazie a lui si sono aperti gli occhi del nostro cuore, grazie a lui la nostra intelligenza lenta e ottenebrata si realizza in piena luce; grazie a lui, il Maestro ha voluto farci gustare la gnosi eterna» (72). Siamo così diventati partecipi della natura divina, dopo essere «sfuggiti alla corruzione» (2Pt 1,4).
Così, per la fede nel Figlio di Dio e per la sua venuta, «la debolezza della carne sarà assorbita dalla fortezza dello Spirito e chi era carnale sarà d’ora innanzi spirituale per via dello Spirito» (72). In conclusione si potrebbe dire che l’incorruttibilità sta all’inizio come promessa nella creazione dell’uomo ad immagine di Dio e alla fine come compimento nella risurrezione. Così possiamo capire che l’immagine ci viene data nella creazione e ridata nell’incarnazione "secondo il Figlio", come dice Atanasio, mentre la somiglianza ci viene data nella creazione e nella divinizzazione "secondo lo Spirito", come afferma Ireneo. Lo Spirito forma la somiglianza nel dinamismo della vita (73) nella misura in cui accogliamo la grazia. «La grazia dello Spirito che Dio darà agli uomini (…) ci farà simili a Lui e perfetti per volontà del Padre; farà l’uomo a immagine e somiglianza di Dio» (74).
Note
(38) S. Boulgakov, La lumière sans déclin, Lausanne 1990, p. 269.
(39) Ibid., p. 270.
(40) Adv. haer., V, 6, 1.
(41) Epideixis tou apostolikou kerygmatos, 11, SC 62 (1971), pp. 48-49.
(42) Adv. haer., IV, Introduzione, 4.
(43) Adv. haer., V, 8, 2.
(44) Cf Platone, Cratilo, 400c.
(45) Adv. haer., IV, 39, 2.
(46) Adv. haer., V, 13, 3.
(47) Adv. haer., V, 3, 3.
(48) Adv. haer., V, 9, 4.
(49) Adv. haer., V, 9, 3.
(50) Adv. haer., IV, 38, 3.
(51) Adv. haer., V, 3, 2-3.
(52) Adv. haer., V, 16, 2.
(53) Adv. haer., V, 12, 1.
(54) Adv. haer., V, 9, 4.
(55) Cf Adv. haer., V, 2, 3.
(56) II Clem. IX, 1.
(57) Adv. haer., V, 3, 2.
(58) Adv. haer., V, 8, 2.
(59) Massimo il Confessore, Cap. theol. et Oec. Cent., I, 66, PG 90, 1107.
(60) Cf Adv. haer., V, 10, 2.
(61) Adv. haer., V, 12, 3.
(62) Adv. haer., V, 10, 2.
(63) Adv. haer., IV, 20, 5.
(64) Adv. haer., IV, 38, 3.
(65) Adv. haer., V, 6, 1.
(66) Adv. haer., III, 24, 1.
(67) Adv. haer., III, 18, 1.
(68) Adv. haer., IV, 20, 7.
(69) Cf Adv. haer., IV, 20, 3. Cf anche II, 30, 9; III, 24, 2; IV, 7, 4.
(70) Adv. haer., V, 3, 1.
(71) Cf Didaché, 10, 2.
(72) Adv. haer., V, 9, 2.
(73) Cf Adv. haer., V, 6, 1.
(74) Adv. haer., V, 8, 1.