Sentiamo parlare molto del fuoco dell’inferno, però il dolore più grande che possiamo immaginare è quello derivato dal non riuscire a diventare ciò che dovremmo essere attraverso la nostra libertà e la nostra colpa. In questo senso, Dio non ci “punisce” ma ci lascia essere ciò che abbiamo scelto di essere. Alcuni potrebbero dire: Dio non dovrebbe dare a tutti una seconda opportunità? Infatti lo fa: Lui dà a tutti molte opportunità. Se pensiamo alla parabola del ricco Epulone e Lazzaro, ci viene mostrato qualcuno che torna dalla morte per mettere in guardia i viventi di ciò che potrebbe accadere. Cristo dice che questo avvertimento non funziona. Ognuno ha già tutto ciò che gli serve. Una vita è un tempo sufficiente per capire da che parte stare. Coloro che non ci riescono la prima volta, non ci riusciranno neanche la seconda per la stessa ragione.
Benedetto XVI, nell’enciclica Spe Salvi, tratta questo argomento. Coloro che non si pentiranno dei loro gravi crimini non siederanno al grande tavolo del banchetto con gli altri. Il Papa ha fatto notare come la giustizia richieda che l’intera persona (corpo e anima) sia ricompensata o punita per ciò che ha fatto. Questa necessità è una delle ragioni della resurrezione del corpo. La giustizia non potrebbe essere pienamente ottenuta se i dannati fossero non solo riportati in vita ma poi anche fatti vivere al di fuori della loro volontà, una volontà che neanche Dio può mutare. Dio non può obbligare una creatura libera a fare ciò che Dio vuole che lui faccia. Se lo facesse, le creature non sarebbero più libere, non sarebbero più loro stesse. Ad alcuni potrebbe piacere pensare che sia contro la bontà di Dio far risorgere i dannati per affrontare le conseguenze delle loro azioni. Ma il fatto è che se queste conseguenze non vengono affrontate, il mondo non è completo. E il mondo deve essere completo e Dio, nel concederci la nostra somma libertà, concede anche – anzi, comanda – la resurrezione dei dannati.
Perché dovremmo pensare a queste cose, soprattutto nel mondo moderno dove nessuno crede in Dio, nella vita dopo la morte, nella ricompensa eterna, o nelle punizioni? E’ proprio per riaffermare che in questa vita noi facciamo esperienza di ciò che è l’eternità, nella quale scegliamo di continuare a vivere per sempre. Potremmo pensare che le nostre vite non sono importanti o che non importa cosa facciamo o in cosa crediamo. L’insegnamento della resurrezione dei dannati è progettato come un preghiera per ricordarci, per insegnarci, che non possiamo nasconderci dietro ai nostri crimini o alle nostre decisioni.
Al capitolo 2 del Primo Libro di Samuele, leggiamo: “Un Dio onnisciente è il Signore, un Dio che giudica le azioni”. E’ da questo giudizio, basato sulle nostre azioni, che alla fine saliremo tra i beati o saremo gettati tra i dannati. Giudizio divino che è basato sulle nostre decisioni le quali, in cambio, sono libere, basate su come noi decidiamo di vivere in questa vita e per l’eternità. La resurrezione dei dannati è una logica conseguenza della libertà della nostra volontà e del fatto che Dio non può privare della libertà ciò che nasce libero. Dio ci concede la libertà permettendoci di raggiungere da soli la nostra piena realizzazione. Questo è ciò di cui c’è bisogno in un mondo nel quale alle creature libere viene offerta la vita eterna, un mondo nel quale il rifiuto dipende dalla loro volontà. La vita che ne consegue deriva da questa scelta – la vita che noi chiamiamo la resurrezione dei dannati.