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L’eremo non è isolamento, ma vita vissuta

Adriana Zarri

© Public Domain

Roberta Sciamplicotti - Aleteia - pubblicato il 24/02/14

Nella sua vita ritirata, Adriana Zarri ha dato un nuovo significato a lavoro e preghiera

Adriana Zarri, “teologa, scrittrice, attenta osservatrice della nostra realtà politica ed ecclesiale, impegnata nelle grandi battaglie civili della storia recente del Paese”, scelse dal 1975 di ritirarsi in campagna abbracciando una forma di vita eremitica, coltivando la terra, occupandosi degli animali e scrivendo.

Informandone con una lettera gli amici, sentì il bisogno di difendere la sua scelta da due possibili malintesi: che la preghiera, vissuta così radicalmente, potesse essere vista “come qualcosa di alienante, in antitesi a una piena partecipazione alle cose del mondo”, e che il ritirarsi dopo decenni di lotte e battaglie nell'arena pubblica potesse essere letto, dato il “clima restauratore” del momento, come un abbandono del campo per “delusione e stanchezza” (Mosaico di pace, febbraio 2014).

Quanto al primo punto, la Zarri sottolineava che la preghiera “è la contestazione più profonda di questo nostro mondo utilitario, in quanto mette in crisi non già le forme d'espressione in cui si manifesta, ma il modello antropoculturale che le esprime: un modello essenzialmente efficientistico, privo di quegli spazi di fantasia, di poesia, di gratuità su cui si innesta appunto la preghiera”. Circa il deserto, indicava che in esso “si entra, si cammina, ci si immerge, assumendo la storia e i problemi di tutti. Impegnandosi e lottando contro le alienazioni di questo mondo” (Zarri, A., Un eremo non è un guscio di lumaca, Torino 2011, pag. 197).

La sua decisione non derivava dalla stanchezza. “Nel silenzio non si entra per stanchezza”, affermava; “per stanchezza ci si chiude nel mutismo, che è tutt'altra cosa. Né io sono delusa da Dio, anche se posso esserlo di qualche uomo che tuttavia non può soffocare la speranza, alimentata dallo Spirito”.

Dopo qualche anno raccolse su richiesta dei suoi lettori in un libro le lettere dall'eremo già pubblicate ogni quindici giorni sulla rivista “Rocca”.

Nell'eremo la vita non era facile, ma la Zarri era “nella pace, quella pace simile a un lago profondo e appena increspato in superficie, che niente ha a che fare con la pace mondana del quieto vivere e dell'evitamento”.

Si manteneva lavorando, e in condizioni non facili: “agosto insopportabilmente caldo, gennaio freddissimo, le zanzare torturano, l'attività della fienagione stanca sul serio, l'acqua spesso gela nella stalla e si è costretti a intervenire con il martello. Un lavoro tosto e scarsamente remunerativo, ma”, scriveva Adriana, “il monachesimo, più o meno consciamente, forse ha intuito che, nell'armonia che si ritesse tra l'uomo e l'universo, il lavoro è un momento forte di dialogo”, perché uno dei frutti della vita monastica è proprio “un grande senso di armonizzazione con le cose; e forse un altro è la scoperta e il gusto del lavoro”.

Anche la preghiera veniva “modificata”: “Mi abbandono alla preghiera personale, senza formule fisse: parole che si smorzano spesso nel silenzio. Neanche sempre in cappella, sovente fuori, stesa sull'erba, immersa nelle cose e nella vita (e gli animali che mi camminano sopra, mi s'accucciano addosso, come un abbraccio caldo di pelo e di respiro). La preghiera non riesuma antichi testi ma è immersa nel mio oggi”.

Alla fine del suo resoconto di vita eremitica, Adriana concludeva: “… appena il nome, per chi voglia cercarmi tra le tombe, e sotto: 'Completa la sua resurrezione'. Ma non è necessario cercarmi. Mi basta il ricordo dell'erba che non mancherà di rinverdirmi. E non portatemi fiori: fioriranno le viole”.

Adriana Zarri (San Lazzaro di Savena 1919 – Crotte di Strambino 2010) prese molto giovane i voti nella Compagnia di San Paolo a Milano. Ne uscì dopo qualche anno, continuando ad approfondire gli studi di teologia, collaborando con riviste specializzate e tenendo conferenze in giro per l'Italia. È stata definita una teologa di linea conciliare molto prima del Concilio Vaticano II. Dal 1975 ha vissuto da eremita, prima in una cascina del Canavese, poi a Crotte, vicino Ivrea. È autrice di scritti teologici – “La Chiesa nostra figlia” (1962); “Impazienza di Abramo” (1964); “Nostro Signore del deserto (1978); “Erba della mia erba” (1981) – e di romanzi, tra cui “Vita e morte senza miracoli di Celestino VI” (2008).

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