Alla Pontificia Università Gregoriana un ciclo di conferenze sui sacerdoti nel ventunesimo secolo
"Si può essere preti santi e felici nel ventunesimo secolo?": è la domanda alla quale intende rispondere il ciclo di conferenze "Being a priest today" (Essere un prete oggi) a cura dell’Istituto di psicologia che inizierà il 20 febbraio alla Pontificia Università Gregoriana. Una domanda provocatoria, che vuole andare alla quotidianità e alla normalità dell’essere sacerdoti tra la gente al di là degli episodi di scandali e violenze che hanno occupato in misura crescente le pagine dei media. Fu proprio l’Università Gregoriana di Roma ad ospitare nel 2012 il primo simposio internazionale sugli abusi sessuali verso minori compiuti da sacerdoti, un congresso fortemente incoraggiato dal pontefice emerito Benedetto XVI nella sua ferma azione di denuncia e repressione del triste fenomeno della pedofilia nella Chiesa. Tra gli organizzatori di quel simposio, il sacerdote, esperto e docente di psicologia Stephen Joseph Rossetti che è anche il responsabile del corso "Being priest today".
"Si può essere preti felici e santi nel ventunesimo secolo?": perché è necessario oggi farsi questa domanda?
Rossetti: Non solo è possibile essere un prete felice e santo di oggi, ma ne abbiamo molti, molti! In realtà, tutti gli studi statistici che ho letto e quelli che condotto io stesso, mi hanno dimostrato che il tasso di felicità fra i sacerdoti è molto elevato. Addirittura più alto rispetto a maschi con altri ruoli nella stessa società. Sono appena tornato dal Sud Africa. Anche lì è stato effettuato uno studio sui livelli di felicità tra i sacerdoti e hanno trovato che l’84% degli intervistati era felice o molto felice di essere sacerdote. Negli Stati Uniti, i numeri registrano costantemente tra i sacerdoti una percentuale di circa il 90% di “felice” o “molto felice”. Perché? In primo luogo, persone che aiutano altre persone dimostrano in genere di essere più felici. Inoltre, i sacerdoti sono parte di una comunità e hanno molti amici. Anche le persone che sono collegate a una comunità sono indicate come più felici. E, infine, cosa più importante, i sacerdoti sono uomini di fede e quando si sa di essere amati da Dio e si è consapevole di questo amore, una persona non solo è felice, nonostante le sue difficoltà, ma anche gioiosa.
Il corso intende evidenziare la connessione esistente tra benessere spirituale e psicologico nella vita sacerdotale: cosa si intende?
Rossetti: In tutte le persone la presenza di una vita spirituale è importante per la propria felicità ed è buona per la salute mentale. Le persone di fede tendono ad essere più felici e più sane. Nel nostro mondo dove cresce la secolarizzazione, è un grave errore ritenere che lasciare indietro la fede renderà qualcuno più felice. Noi siamo esseri spirituali che sono "codificati" per essere collegati a Dio. E’ parte del nostro Dna. Quando viene meno il lato spirituale della persona, si perde la consapevolezza più intima di ciò che significa essere umani. Pertanto, non dovrebbe meravigliare che i sacerdoti, nel loro insieme, tendano ad avere un profondo senso di pace interiore.
Il corso prenderà in esame anche le cause che determinano tra i sacerdoti il "burnout", cioè l’eccessivo stress legato alle professioni di aiuto: per quale motivo?
Rossetti: Recentemente ho condotto uno studio su larga scala riguardo al burnout sacerdotale. In molti paesi, i sacerdoti hanno molto, troppo lavoro da fare. Per questo c’era la preoccupazione di trovare elevati livelli di burnout. Ma, in realtà, quando ho dato a quasi 2.500 sacerdoti un test standard di burnout, il Maslach Burnout Inventory, il tasso effettivo è stata basso. Perché? Si è scoperto che il burnout non è legato tanto alla condizione di avere troppo lavoro da fare, ma ha piuttosto a che fare con la propria vita interiore mentre si sta lavorando. Le persone che hanno amici, che amano quello che fanno, trovare appagamento nel loro lavoro, hanno una ricca vita spirituale e sono molto meno a rischio di “bruciare”. Si può essere molto occupati, anche troppo occupati, ma non rischiare il burnout perché ci si nutre di Dio e delle amicizie, adempiendo al proprio lavoro. Questa è la vita di un prete.
In seguito al venir fuori di episodi di abuso a vari livelli nella Chiesa (dagli abusi sessuali dei chierici alle vicende raccontate, per esempio, nel film "Philomena"), è cambiato o sta cambiando il modo di percepirsi sacerdoti e di guardare al proprio ruolo nella comunità ecclesiale?
Rossetti: Penso che la crisi degli abusi chiami tutti noi sacerdoti a vivere la nostra vita con integrità. La gente si aspetta che noi viviamo la nostra vocazione con onestà e ci chiede di essere la persona che siamo chiamati ad essere e diciamo che siamo. Mentre pochissimi preti hanno molestato minori, ed è sicuramente uno di troppo, ognuno di noi sacerdoti deve esaminare la propria coscienze e lottare per l’integrità e la santità in tutto ciò che facciamo. Che si tratti di proteggere i bambini, lavorare con gli adulti o offrire il nostro ministero a coloro che sono ammalati e bisognosi della misericordia di Dio. Un sacerdote santo può essere uno strumento di grande bene ma uno che viola il suo ufficio, può fare, come abbiamo visto, un grande danno.