Al seminarista che si sta formando, dunque, è richiesto di rivelare le proprie tendenze sessuali?
Tapia: Il seminario è costituito come una comunità formativa: non sono soltanto i superiori, i sacerdoti e il rettore con la squadra formativa, ad essere responsabili della formazione di tutti i ragazzi, ma in qualche modo lo è tutta la struttura, tutti i ragazzi, persino le persone di servizio, il personale di manutenzione dello stabile. Tutti sono coinvolti in questo lavoro della Chiesa, nell’aiutare a formare i sacerdoti. Allora in un seminario la cosa più importante è favorire la relazione naturale tra i superiori e i seminaristi, senza limitare quella relazione al momento dell’intervista di formazione, al colloquio formativo a tu per tu con il ragazzo. Questo clima di formazione è autentico e si vive tutto il giorno: i superiori per esempio pranzano insieme ai ragazzi, oltre ai momenti di lezione nei quali c’è la formazione classica, momenti di lezione per prepararli alla vita liturgica. Oltre a questi momenti accademici ci sono tanti spazi nei quali uno comincia a rendersi conto di come sono i seminaristi. Il problema sorge quando il seminarista percepisce il suo superiore non come un alleato che lo sta aiutando ad arrivare al sacerdozio, ma lo vede come un nemico, un investigatore, che può “farlo fuori” durante il cammino. Allora se nel rapporto non si instaura un clima di sincerità e di fiducia l’uno nell’altro sarà molto difficile che vengano fuori i problemi, e non parlo solo di quelli legati alla sessualità, ma i problemi in genere.
Quali possono essere altri tipi di problemi?
Tapia: Non so, una persona può essere timida e avere paura di trovarsi davanti ad un’assemblea per fare un’omelia. E se questa persona non riesce a dire “mi capita questo quando sono davanti ad un uditorio”, allora non lo si potrà aiutare, e lo stesso vale per qualunque necessità che uno abbia. È necessario che il seminarista veda il formatore come un aiuto, proprio perché nessuno ha diritto – e questo è molto importante sottolinearlo – al sacerdozio. Il sacerdozio è una chiamata, ed è la Chiesa che chiama coloro che considera più idonei per svolgere questo ruolo. Se il seminarista dice “io sento di avere questa chiamata, e sono disposto ad ascoltare anche la voce della Chiesa”, allora è più facile che ci sia fiducia.
Come è organizzata la formazione in un seminario?
Tapia: Ci sono sempre due figure nei seminari, anche in quelli più piccoli: il rettore, che rappresenta il Vescovo, e poi il direttore spirituale che aiuta il ragazzo a sviluppare una vita di preghiera, di fede quanto più forte possibile, perché non si potrà mai essere sacerdoti senza saper pregare. Ma il fatto che il rettore non sia il direttore spirituale non impedisce al rettore di fare domande su questioni di fondo; non è che della mia intimità parlo solo con il direttore spirituale, questo sarebbe un errore. Il seminarista, che dovrebbe vedere nel rettore e in tutta la sua squadra di formatori la Chiesa che sta cercando di aiutarlo per formarsi umanamente come sacerdote, dovrebbe avere la fiducia di dire: “Se io gli svelo la mia difficoltà, loro mi aiuteranno a viverla”. Però, e forse è questo che il documento del 2005 è venuto a dire, i vescovi e i superiori del seminario hanno la responsabilità di scoprire se all’interno del seminario ci sono o non ci sono candidati idonei per il sacerdozio. E diciamo che questa istruzione non si rivolge ai seminaristi, ma ai superiori, ripetendogli che sta a loro far arrivare al sacerdozio i migliori tra i seminaristi, e se ci sono persone che hanno difficoltà di vivere la maturità affettiva in qualsiasi forma, non soltanto nell’omosessualità, persone che sono immature per la paternità spirituale, loro lo devono sapere. Infatti non si può procedere verso l’ordinazione se una persona ha tendenze – queste sono le parole – “profondamente radicate”. Non è semplicemente un desiderio di un momento, ma qualcosa di costante negli anni.