Perché siamo pronti a condividere le storie prima ancora di aver letto cosa dicono?L’ultima è la storia dell'arte abolita per sempre dai programmi scolastici. Le bufale che nascono e si diffondono in rete sono verosimili, attraenti e soprattutto capaci di propagarsi in un attimo e ritrovarsi velocemente copiate e incollate su centinaia di siti web. Fino a diventare, per forza di condivisione, vere a tutti gli effetti. Il fenomeno non è nuovo ma a quanto pare piace a molto “giocare col fuoco”. Lo dimostra lo scandalo “Vermeer in classe” nato, cresciuto e scomparso dalla rete negli ultimi giorni.
Il ripristino della storia dell'arte
L'epicentro risale al 5 febbraio: un blogger lancia una campagna online per chiedere “il ripristino della storia dell'arte nei programmi scolastici” . A scatenare la sua indignazione sarebbe stata la bocciatura, in commissione Cultura della Camera, di un emendamento presentato da una deputata di Sel che introduceva le richieste sottoscritte da oltre 18mila cittadini e intellettuali in un appello presentato dall'associazione Italia Nostra.
Come emerge da un articolo de L’Espresso apparso l’11 febbraio sulla rete, l’appello partiva dalla riduzione che la storia dell'arte aveva avuto con l'entrata in vigore dei drastici tagli imposti dalla riforma dell'ex ministro Mariastella Gelmini. Poco dopo Maria Chiara Carozza, ministro dell'Istruzione, aveva twittato il suo impegno personale per far sì che le ore venissero reintegrate.
Nel frattempo la bocciatura della proposta di Sel: non c'è copertura finanziaria. Un caso che si ripropone con i toni dello scandalo, con la campagna del blogger, ripreso da testate online, quotidiani, pagine Facebook e siti web specializzati, mentre alcuni esponenti del PD cercano di ribadire il fatto che ci sarebbe in discussione “un monitoraggio completo degli effetti della riforma Gelmini per riordinare le classi e riparare agli errori passato”.
Dunque la notizia era una semi-bufala, che è arrivata però a 350mila “like” su Facebook e oltre 1900 tweet. Come? Grazie a un paio di dati, un titolo ad effetto, (“Abolita la storia dell'Arte in Italia”), tre fotomontaggi ironici e una “proposta d'azione” alla fine del testo: aderire alla protesta. Sono proprio i tre elementi chiave di un elemento che si prepara a diventare virale sul web, al di là della sua veridicità.
Ma perché le bufale sul web funzionano così bene?
"Perché la veridicità di un messaggio viene data dal contesto", spiega in un intervista, sempre a L’Espresso, Giovanni Boccia Artieri, professore ordinario di sociologia dei new media all'Università Carlo Bo di Urbino: "Se io vedo i miei amici su Facebook condividere una notizia, la ritengo affidabile, perché i miei amici lo sono. Dimenticando però che spesso possiamo avere una rete di connessioni molto più vasta di quella reale, e quindi che la comunicazione che avviene nel nostro stream sia in qualche modo incontrollabile. Non importa, il ragionamento è istintivo: Facebook sono i miei amici. Dei miei amici ho fiducia. Per cui ci credo e condivido io stesso. Anche se è una balla stratosferica". Ma una volta letto il testo non ci si accorge dell'errore? "I link nella maggior parte dei casi non vengono nemmeno aperti", risponde il professore: "Diversi studi hanno dimostrato che la condivisione può essere spesso superiore alla lettura: dico "Mi Piace" o ripubblico una notizia solo per quel poco che ho potuto capire dal titolo e dalle due righe di presentazione. È la fonte che ne legittima il senso: non serve niente di più".
La foto tira
Se un falso viaggia poi in forma fotografica la sua possibilità di essere ripreso, creduto, amplificato aumenta perché la potenza di verità dell'immagine è tale che metterla in discussione è ancora più difficile. Il caso-scuola è quello dei "Gatti Bonsai" una gigantesca menzogna che però era riuscita a far scatenare i più sinceri animalisti.
Come non cascare in questi appetitosi tranelli?
“Cercare di risalire sempre alla prima fonte.” continua Boccia “Ma questi strumenti andrebbero insegnati a scuola, dovrebbero diventare un patrimonio comune. Io insegno alle matricole come trovare in rete contenuti: pensiamo che i ragazzi siano capaci, ma non è così. Si fermano alla prima pagina di Google, prendono per vera la prima fonte, si fanno poche domande. Non c'è orientamento. Finché non introdurremo questi temi nelle scuole gli utenti del web resteranno delle esche fin troppo facili da abbindolare».
Le bufale più mangiate in rete
La rivista PcWorld si è divertita a stilare la classifica delle 25 bufale più clamorose della Rete. Al primo posto c'è l’immagine di un turista fotografato l'11 settembre 2001 in cima al World Trade Center mentre uno degli aerei sta per schiantarsi contro il grattacielo. Oltre a questa foto che, al tempo, fece il giro del mondo, sconvolgendo molte persone, tra le bufale e le leggende metropolitane più clamorose del web PcWorld ha incluso anche, il falso atterraggio sulla luna, le foto dell'autopsia compiuta su un alieno, le offerte di denaro da parte di Bill Gates, il gatto più grande del mondo ed altre ancora. Di seguito il link alla classifica completa. http://www.computerworld.com/s/article/print/9060242/The_best_new_Internet_
hoaxes
Qualche aiuto per scovarle
Esistono delle regole antibufala da seguire? Più che regole si parla di consigli, ecconne alcuni che fornisce e-communication.it :
1. un pizzico di buon senso (che non guasta mai).
2. Verificare la fonte del messaggio: quindi vedere se sono indicati numeri di telefono, link o indirizzi email e cercare su internet con Google.
3. Se si scopre che è un falso avvertire il mittente che vi ha inoltrato il messaggio, invitandolo a prestare più attenzione la prossima volta.
4. Una raccomandazione: quando vedete un appello che inizia con le parole "è vero" o, peggio ancora, "ho controllato su Internet". Più assomiglia a un appello che contiene affermazioni di autenticità (senza però fornire alcun link di conferma), più è probabile che sia una fandonia.