La maternità surrogata aliena le donne che “prestano” il proprio utero: il corpo femminile non è uno strumento di produzione
di Pierre-Olivier Arduin*
1. La Chiesa si preoccupa per la sofferenza delle donne con sterilità uterina, ma si oppone alla depenalizzazione della maternità surrogata in nome del rispetto della dignità umana.
La Chiesa si sente profondamente interpellata dall’angoscia delle donne con infertilità di origine uterina, sia essa congenita, risultato di un’isterectomia o conseguenza della distruzione patologica dell’utero.
Per superare questa sterilità, alcuni difendono la depenalizzazione della maternità surrogata (ACP), una procedura che fa riferimento a una madre portatrice o gestante la cui funzione è portare un embrione concepito con la fecondazione in vitro, generalmente con i gameti dei genitori che vogliono avere il figlio.
Se la funzione ovarica è deficitaria in sé (caso non raro) o se è il padre non è fertile, i difensori della ACP ammettono che il bambino che nascerà possa essere anche risultato di una donazione di ovocita o di sperma.
La maternità/paternità può essere così divisa tra una madre gestante, una madre genetica, una madre educatrice e/o un padre genetico donatore di sperma e un padre “di intenzione”.
La Chiesa ricorda che la volontà legittima ed eccellente di dare la vita a un figlio non conferisce il diritto al figlio, che permetterebbe ai genitori di rivendicare allo Stato qualsiasi mezzo per raggiungere questo risultato.
Il fine non giustifica i mezzi, dice semplicemente la Chiesa, assicurando uno dei maggiori principi della vita morale personale e collettiva.
Per promuovere il rispetto per la dignità umana in materia, si basa su numerose argomentazioni razionali volte a difendere la madre e il figlio.
2. La tecnica delle madri portatrici si basa sulla strumentalizzazione del corpo della donna trasformato in uno strumento di produzione.
Quanto alla madre portatrice, la strumentalizzazione della persona è manifesta. Il contratto ha di fatto l’intenzione di fornire un “prestito” di utero in cambio di una remunerazione o di una compensazione alla donna che vi si sottopone, conferendo un diritto patrimoniale sul corpo incompatibile con la dignità umana.
Mettendo il proprio corpo a disposizione di quanti lo richiedono, la madre portatrice produce un figlio attraverso il suo strumento di lavoro, l’utero, il che implica una confusione tra gravidanza e semplice fabbricazione di una merce.
Si assiste dall’altro lato a una divisione del lavoro della riproduzione, che può implicare potenzialmente quattro genitori: la madre genetica che fornisce l’ovocita, il padre genetico che fornisce lo sperma, la madre portatrice che riceve l’embrione e lo produce fino alla nascita e la coppia – eterosessuale o omosessuale – che ha il progetto genitoriale.
Come la prostituzione sottrae la sessualità alla vita intima per trasformarla in un servizio disponibile sul mercato, l’uso di una donna come gestante sottrae la maternità alla vita personale e privata per trasformarla in lavoro e in servizio.
L’Accademia nazionale francese di medicina ha avvertito anche il legislatore su una pratica che implica il coinvolgimento di una persona sana in una gravidanza che non è mai esente da rischi ostetrici: aborto involontario, gestosi, diabete, pericoli collegati al parto, impatto psicologico… tutte le complicazioni che devono essere “assicurate” nel contratto.
Quale sarà, inoltre, la responsabilità della madre portatrice se contrae una malattia o adotta un comportamento pericoloso durante la gravidanza (alcool, tabacco, eccesso di sport, medicinali…)?
Dall’altra parte, il contratto dovrà prevedere un periodo di astinenza dalle relazioni coniugali della donna portatrice durante il periodo di impianto dell’embrione? Ma questa clausola di astinenza non sarebbe necessariamente nulla essendo incompatibile con i doveri del matrimonio, senza contare sul fatto che attenta alla libertà e al rispetto della vita privata della donna?