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Mi confesso con Facebook e non con il sacerdote?

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Juan Ávila Estrada - Aleteia - pubblicato il 11/02/14

Le reti sociali sono diventate le nuove terapie per espiare le colpe?

Perché è tanto semplice rivelare l’intimità sulle reti sociali, anche a costo di essere oggetto di derisione e umiliazioni, ma è così difficile accostarsi al sacramento della confessione, dove il confessore non avrà nemmeno la capacità in seguito di ricordare ciò che ha ascoltato? Cosa muove il cuore di quanti affermano di non essere disposti a raccontare a un altro “peccatore” i propri errori, ma anche così non hanno il minimo riserbo perché il mondo si renda conto delle miserie che pesano sull’anima?

Le reti sociali sono forse diventate le nuove terapie per espiare le colpe? Sembra di sì. È come se in qualche modo si cercasse l’approvazione per quello che si è fatto per scaricarsi la coscienza, mediante una malintesa solidarietà, o essere disposti ad essere fustigati dalla società per “ripulire” il peso della colpa.

Quello che si cerca in modo errato nel mondo di oggi, però, ha una nuova proposta in Gesù attraverso il sacramento della Riconciliazione, un momento in cui solo il Signore ha accesso alla nostra nudità e alla nostra miseria, dove non saremo giudicati, dove non ci sono apparenze, dove si scopre il cuore; dove ciascuno ha bisogno della massima sincerità e tutte le apparenze svaniscono; dove contano solo la Grazia e il perdono amorevole del Signore.

Non è il luogo del rimprovero ma della comprensione, non quello dell’apparire ma quello dell’essere, non quello del giudizio ma quello della misericordia; lì si capisce cosa significano le braccia aperte del Padre celeste. Lì si permette che le lacrime scorrano sulle guance e ripuliscano l’anima; esse saranno testimoni di ciò che Dio realizza dentro ciascuno per poter vivere una relazione intima affettiva con lui e sperimentare cosa significa sentirsi amati davvero, perdonati, accolti e non condannati.

Ci sono spazi e momenti della vita in cui è così necessario essere noi stessi che non possiamo fare altro che stare davanti a Dio con tutto ciò che abbiamo voluto nascondere agli occhi del mondo. È lì che ci abbraccia con la tenerezza che gli è propria e accosta la sua guancia sulla nostra come un padre che prende in braccio il figlio, e ci dice sussurrando all’orecchio “A me non devi nascondere nulla, ti amo semplicemente come sei”.

Perché, però, non fare questo direttamente con lui? Forse non bastano le lacrime nascoste versate nel silenzio della propria stanza? Perché sottoporsi all’esame di un uomo che, come tutti, pecca? Perché non solo vuole perdonare, ma vuole anche reintegrare nella vita della comunità, della Chiesa; perché vuole che ci siano “testimoni muti” che possano accompagnare nella testimonianza dell’opera di Dio.

Ha concesso a questi peccatori il potere di mostrare la sua misericordia (“A chi rimetterete i peccati saranno rimessi…”), perché ciascuno di loro come essere umano ha una parola di incoraggiamento per aiutare a camminare, per diventare bastone dopo la caduta. Perché non sono loro, è Cristo in loro, perché non assolvono nel proprio nome, ma in nome di Gesù. Perché Dio salva l’umano in modo umano e per mezzo dell’umano, perché non si ritrae da ciò che ha redento perché il mondo capisca che nulla di umano è estraneo a Dio semplicemente perché si è fatto umano come noi.

Se avesse lasciato questo compito agli angeli, saremmo giudicati con severità perché, non conoscendo ciò che è proprio della natura umana, sarebbe per loro impossibile capire ciò che facciamo.

Il miracolo più grande che un sacerdote realizza oggi nel mondo è essere strumento della Grazia di Dio perché il pane e il vino possano trasformarsi nel Corpo e nel Sangue di Gesù, e attraverso di lui il perdono di Dio arrivi agli uomini. Che cosa è più facile credere? Vedere un uomo che si alza dalla sua barella dopo anni di paralisi o dire “ti sono rimessi i tuoi peccati”? Gesù è questo; è così che redime, salva, santifica e ricrea.

Ogni giorno, il sacerdote opera miracoli mediante il potere di Dio concesso al suo ministero, ma non sempre l’invalidità effettiva è quella che deve essere curata maggiormente in una persona, né la sua cecità, né la sua lebbra. Il peccato è tutto questo e molto di più, impedisce di camminare, acceca i sensi e ci fa agire irrazionalmente, contamina la nostra vita fino a farci disgustare di noi stessi come paria che non possono convivere con nessuno. Il sacerdote è l’uomo del miracolo, del grande miracolo della riconciliazione con Dio, con il mondo. Chi cerca quanti hanno “poteri” di un altro tipo ha dimenticato la parte essenziale del suo essere sacerdotale, delle sue mani che sanano e salvano, che non hanno bisogno di sollevare un paralitico dalla sua barella, ma sollevano un peccatore dalla sua prostrazione morale.

La confessione è un tribunale in cui non c’è una pubblica accusa se non lo stesso penitente, dove non ci sono segretari che portano atti da archiviare, né testimoni che verificano o negano ciò che afferma chi si accusa, ma solo un Difensore: Gesù Signore. È il luogo dellamisericordia.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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