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Due parti che hanno cambiato il mio cuore

Defying the Odds Two Newborn Deliveries that Changed my Heart Rusty Grass – it

Rusty Grass

Kathleen M. Berchelmann - Aleteia - pubblicato il 11/02/14

Assistere alla nascita di due bambini con la sindrome di Down è stata una delle gioie più grandi della mia carriera medica

Ci sono volte in cui vedo cose che sfidano tutta la scienza medica – cose che so che devono essere opera di Dio. Questo mese mi sono ritrovata a fungere da medico assistente in due di queste situazioni, entrambe parti di bambini affetti dalla sindrome di Down.

È raro che io assista al parto di bambini Down – non mi succedeva da più di cinque anni –, ma qualche giorno fa ho assistito a due parti del genere in due giorni consecutivi.

I nuovi test prenatali per la sindrome di Down sono accurati quasi al 100%, e molti di questi bambini non sono mai nati, vittime di aborti spontanei o volontari. Il tasso di falsi negativi – il numero di mamme alle quali viene detto che il figlio non ha la sindrome di Down e invece ce l'ha – è inferiore all'1%. In genere, quindi, sappiamo quando un bambino è affetto da questa sindrome ben prima della sua nascita. Ma non è ciò che è accaduto per questa bambina.

È stata una bambina affetta “a sorpresa” dalla sindrome di Down. La madre aveva ricevuto tutti i migliori test prenatali da un'ostetrica eccellente. Aveva “dimenticato” parte di quella frazione dell'1% di gravidanze con trisomia 21 che sembrano normali in tutti i test prenatali del sangue e a ultrasuoni. È stata un'anomalia statistica o parte del progetto di Dio?

La “trisomia 21”, la definizione medica per la sindrome di Down, è una sindrome che include più delle mere caratteristiche facciali e delle sfide cognitive per le quali è nota. Questi bambini possono nascere con una serie di problemi medici congeniti che possono portarli ad aver bisogno di cure intensive neonatali in occasione del parto. Per questo, la maggior parte dei bambini affetti da sindrome di Down nasce in modo programmato nelle ore diurne, con il reparto di neonatologia in allerta. In quanto pediatra che fa molti turni notturni, non vengo chiamata spesso per parti di questo tipo.

Sono stata chiamata per il parto di questa bambina perché la madre era seriamente malata a livello neurologico per motivi non collegati alla gravidanza, una condizione che le era stata diagnosticata qualche ora prima quando era arrivata in ospedale in travaglio. Io ero lì a prendermi cura della bambina, di modo che le infermiere e l'ostetrica potessero concentrarsi sulla madre. È stata affidata alle mie cure non appena il suo piccolo corpo è emerso da un mare di monitor e tubicini. Mentre tutti gli altri si concentravano su una madre che poteva morire, io ho guardato i suoi occhietti vicini e i tratti del viso eloquenti. Era piccola, troppo piccola per essere una bambina a termine. Ho pompato aria nei suoi polmoni immaturi con una mascherina. Ho chiamato un'altra infermiera perché mi aiutasse, cercando di non disturbare il team di professionisti che cercavano di prendersi cura della madre. L'infermiera ha dato un'occhiata alla bambina e ho capito che stava pensando ciò che stavo pensando io. Dopo circa 10 minuti è riuscita a respirare da sola, e ho tolto la mascherina. Il padre è scivolato via dal fianco della madre per qualche secondo per guardare la sua figlioletta. Mi sono chiesta se aveva visto ciò che avevo visto io. Non ho detto nulla. Nessuno ha scattato fotografie. Non era il parto felice che avevano sognato quei genitori.

Qualche ora prima, quei genitori pensavano che avrebbero avuto una bambina sana dopo una gravidanza sana. Ora sia la madre che la bambina erano affidate a équipes di terapia intensiva.

Alla scuola medica sono stata formata per diagnosticare clinicamente la trisomia 21 in un parto, ma in undici anni di pratica medica non avevo mai dovuto farlo. È stato il primo parto con sindrome di Down “a sorpresa” a cui abbia mai assistito. L'ho ammessa all'unità di terapia intensiva neonatale e mi sono consultata con il neonatologo per confermare i miei sospetti. Sì, sembrava sindrome di Down; l'abbiamo confermata con test sanguigni, ma sapevamo già la risposta. L'ostetrica ha scosso la testa e ha promesso di ricontrollare il risultato dei suoi test prenatali. Come poteva essere accaduto?

C'era un lungo percorso fino all'unità di terapia intensiva dove era stata trasferita la mamma della bambina. Mentre camminavo provavo cosa dire, cercando di pensare a un modo per essere positiva mentre parlavo ai genitori della loro splendida bambina con un cromosoma in più. La piccola aveva bisogno di aiuto per respirare e mangiare, e avrebbe dovuto essere sottoposta ad altri test per essere sicuri che il suo cuore si fosse formato correttamente. La signora alla reception voleva sapere perché una pediatra aveva bisogno di accedere a quell'unità di terapia intensiva per adulti a ingresso ristretto – sì, tutta la storia non aveva precedenti. Ridicolo. Le condizioni sia della mamma che della bambina sfidavano tutte le regole, e non in modo positivo. “Dio”, ho pregato, “qual è il tuo progetto qui?” Ho chiesto allo Spirito Santo le parole giuste per parlare a quella famiglia.

E poi, in modo del tutto non programmato, tra la madre e me si è sviluppata una conversazione splendida. Nessuna delle parole che mi ero preparata è uscita dalla mia bocca. Le ho raccontato di un'altra mamma che conoscevo che aveva appreso della diagnosi di sindrome di Down del proprio bambino dopo la nascita, e delle gioie di questa svolta inaspettata nella vita. Ha pianto. L'ho liberata dai tubicini perché potesse asciugarsi le lacrime. Mi ha detto che aveva aspettato tanto di restare incinta e che era stata felicissima quando aveva saputo che sarebbe diventata mamma. Mi ha detto molte altre cose, e ho capito che questa madre mi aveva dato molto di più di quello che avrei potuto mai darle io.

Il giorno dopo, mentre stavo aspettando nella sala cercando di rielaborare tutta la storia, sono stata chiamata per un altro parto di un bambino con sindrome di Down. Tutti sapevano che il bambino ne era affetto – i genitori lo sapevano fin dal primo trimestre di gravidanza. Il neonatologo non era disponibile, e io sono stata chiamata immediatamente. Questa volta la sala parto era un luogo felice – c'era della musica dolce e la madre era a suo agio e riusciva a controllare bene il dolore. Il padre e i nonni aspettavano in piedi con le loro macchine fotografiche, apparentemente più emozionati che nervosi. Per protocollo, mentre aspettavo la nascita del bambino ho letto la cartella clinica della mamma. Ci ho messo un po' per rendermi conto della sua età – aveva quasi 50 anni. Forse è stata la mamma più anziana che ho visto partorire. Ed era alla sua prima gravidanza. Ho letto che si era sottoposta a molteplici cure per l'infertilità che non avevano avuto esito, e poi senza alcun intervento medico era rimasta incinta. Poi, con un'unica spinta, il bambino è nato. Penso che sia stato il tipo di parto semplice che ogni mamma spera di avere. Nessun grido, niente sangue, solo la testolina rotonda di un bambino che arriva nel mondo, seguita dal suo sano primo pianto. Ho fatto cenno all'ostetrica di dare il bambino direttamente alla madre – era abbastanza sano da passare i suoi primi minuti di vita pelle a pelle con la mamma, appoggiato sul suo petto. L'ho guardato tra le braccia della mamma mentre le macchine fotografiche scattavano, immortalando il suo piccolo viso adornato dai tratti della sindrome di Down, il sorriso dei suoi genitori e le loro lacrime di gioia silenziosa. Il suo cuore batteva normalmente. Respirava bene. Il suo addome stava bene. Ho guardato i suoi genitori, ho sorriso e ho detto “È perfetto”.

Sì, era perfetto. Erano entrambi perfetti. E mi hanno dato molto più di quello che io avevo dato loro.

*Kathleen M. Berchelmann, MDè assistente di Pediatria presso la Washington University School of Medicine di St. Louis, e madre di cinque bambini. Contribuisce regolarmente ad Aleteia, ChildrensMD, CatholicPediatrics e CatholicMom, così come a molte trasmissioni televisive e radiofoniche. Il suo sito è KathleenBerchelmannMD.com.

[Traduzione dall'inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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