Subito dopo la guerra, le comunità ebraiche d’Italia mostrarono gratitudine al papa per il suo sostegno, tradotto in azioni concrete che il padre gesuita qui ci racconta.
Un generale tedesco rimosso, gli arresti interrotti, molti ebrei rifugiati nei conventi. Questi i risultati ottenuti dal contributo diretto di Pio XII nel periodo che seguì l’armistizio. In quest’ultima parte dell’intervista esclusiva ad Aleteia, Padre Gumpel, Relatore della causa di Beatificazione di Pio XII, racconta gli ultimi momenti della guerra e diversi aspetti delle sue ricerche nell’Archivio segreto (qui la terza parte).
Cosa successe in quel terribile 16 ottobre 1943, quando il ghetto viene svuotato dalle SS?
Gumpel: Eravamo rimasti a quell’interrogativo: come si spiega che alle ore 14 del 16 ottobre, dunque a poche ore dall’inizio della razzia degli ebrei, arriva improvvisamente l’ordine tassativo di Himmler di fermate tutto? Come ho già detto il maresciallo Kesserling, che avrebbe potuto darmi delle risposte non era più in vita, ma sapevo che nel suo immediato entourage c’era un certo colonnello, poi divenuto generale, Dietrich Beelitz, che era incaricato di mantenere i contatti tra il quartier generale di Kesserling e quello di Hitler. C’erano telefonate quotidiane tra i due. Il maresciallo Kesserling era molto spesso al fronte, dunque spettava a Beelitz tenere i contatti con gli ufficiali vicini a Hitler, ed in particolare con il colonnello generale Jodl. Dopo molti tentativi riuscii finalmente, grazie a diverse mediazioni, a mettermi in contatto con questo ormai generale Beelitz, il quale non aveva mai voluto scrivere le sue memorie, che aveva assolutamente deciso di non concedere mai interviste e che non ne voleva sapere di giornalisti. Non era mai stato processato, anche se non aveva niente da temere. Soprattutto, voleva assolutamente essere lasciato in pace.
Dopo alcune richieste, finalmente a me ha concesso una lunga telefonata.
E che cosa le ha rivelato Beelitz?
Gumpel: In quell’occasione gli ho chiesto: “Signor Generale, lei sa perché in un preciso momento, alle ore 14 del 16 ottobre 1943, arrivò l’odine di Himmler di fermare tutto?”. Beelitz mi rispose: “Si lo so molto bene. E le dirò perché. Lei sa naturalmente che il comandante militare di Roma era il maggior generale Reinhard Stahel. Bene, quello era stato nominato in quella carica il 12 settembre. Eppure, improvvisamente, il 30 ottobre fu destituito e per punizione fu mandato in Russia. Prima di partire, tuttavia, per ragioni di cortesia e di correttezza venne per congedarsi dal Maresciallo Kesserling, ed in quell’occasione fui proprio io a chiedergli che cosa avesse mai combinato per essere punito in questo modo”. Ricordiamo infatti che era considerata una grande punizione l’essere inviato in Russia, soprattutto con queste modalità. Continuò Beelitz: “Stahel mi ha risposto: si, ho fatto qualcosa, che poi è venuta fuori. Per mettere fine a questa porcheria della persecuzione degli ebrei ho preso la decisione di telefonare di telefonare direttamente al comandante Supremo delle SS e gli ho detto “signor Himmler, io sono incaricato di provvedere ai rifornimenti delle nostre divisioni che lontano da Roma, molto più a Sud, sono ancora impegnate in combattimenti durissimi con gli alleati, e il mio compito è di fornirgli tutto ciò di cui hanno bisogno. Questo è già molto difficile, perché di giorno c’è la supremazia aerea degli alleati, e di notte, sempre di più, ci sono le azioni dei partigiani. Ora, se lei continua con questa persecuzione degli ebrei io devo avvertirla – ne sono praticamente certo – che ci sarà una rivoluzione a Roma e nei dintorni che noi non potremo domare. E questo vuol dire che saranno interrotti definitivamente i rifornimenti alle nostre divisioni. Se lei vuol prendersi responsabilità se le prenda, io non me la prendo”.
Era chiaramente un’esagerazione dello stato delle cose, se non proprio una bugia. Fu questa a fermare Himmler?
Gumpel: Himmler, che di cose militari capiva poco, rimase così impressionato che immediatamente diede l’ordine di interrompere l’arresto degli ebrei. Ricordiamo che nei programmi delle SS c’era l’idea di arrestare 8.000 persone, e ne avevano arrestate 1259. Questa fu la soluzione di quel dilemma. Alla fine della telefonata, chiesi al generale Beelitz: “Posso usare questa testimonianza nella posizione per la causa di Pio XII?” Ricordiamo infatti che era stato lui che aveva mandato una persona di sua fiducia da Stahel, il Superiore Generale della Società del Divin Salvatore Pancrazio Pfeiffer, per chiedergli di fare tutto quello che poteva per fermare la persecuzione degli ebrei. E Reinhard Stahel aveva reagito in risposta a questa intercessione: questo lo sappiamo anche per la testimonianza diretta di un suo giovane ufficiale, Nicholas Kungel, che nel 2000 ha concesso alla KAN [Katolische Nachricthen Agentur] un’intervista in cui diceva che Sthael lo aveva inviato dall’ambasciatore presso la Santa Sede per provare fermare tutto. A questa richiesta l’ambasciatore aveva risposto “Non posso fare nulla!”, un’affermazione che aveva indignato il generale. Così, dopo aver ricevuto il messaggero inviato direttamente da Pio XII che lo pregava di fare qualche cosa, ha deciso di assumersi la responsabilità di mentire ad Himmler. Di mentire, certo, perché lui sapeva benissimo che non ci sarebbe stata nessuna sollevazione a Roma o a sud di Roma. Era una bugia per fermare le SS, che riuscì nel suo scopo. Poi però, quando Himmler capì di essere stato preso in giro, le 365 SS avevano già lasciato Roma. Così, naturalmente, si è vendicato. Per questo Stahel fu deposto e fu inviato in Russia, dove alla fine fu catturato e morì in un campo di concentramento sovietico per ufficiali tedeschi.
Fu un risultato importante dell’intercessione di Pio XII. Ci sono altri esempi del suo contributo durante la guerra?
Gumpel: Ho parlato con parecchi religiosi e con altre persone – ad esempio, per due volte anche con la principessa Pignatelli Cortes Aragon per sapere cosa si erano detti col papa – per conoscere le storie di tutti i sacerdoti che in quei mesi furono mandati in giro, in tutti i conventi, in tutte le istituzioni culturali di Roma, in tutte le parrocchie, per trasmettere l’ordine formale dato da di Pio XII: “aprite le vostre porte agli ebrei, dategli rifugio!”. Per quanto possiamo sapere, furono tra i 4.000 e i 5.000 gli ebrei che hanno trovato rifugio in queste istituzioni cattoliche per ordine diretto e personale di Pio XII. Questo l’ho saputo direttamente da parecchi di questi sacerdoti, ma ci sono anche le testimonianze scritte, sia da parte loro e che da parte di alcuni di quei conventi che servirono da rifugio. Va ricordato che Papa Pacelli non solo li ha salvati, ma ha anche provveduto a loro. Ricordiamo che tutto il cibo era razionato – eravamo alla fine della guerra – e per questo lui inviava in giro macchine e furgoncini per portare del cibo per questi ebrei. I conventi chiaramente non avevano abbastanza da mangiare, si privavano loro del proprio cibo, ma non bastava. Inoltre, Pio XII ripeteva ai sacerdoti e ai frati di evitare anche qualsiasi tentativo di convertirli alla fede cattolica. Così molti si sono salvati.
E gli ebrei che si sono salvati hanno mostrato della gratitudine?
Gumpel: Nel 1946, dunque dopo la fine della guerra, ci fu il primo raduno di tutte le delegazioni di Ebrei da tutta l’Italia, qui a Roma. In quell’occasione, essi mandarono un messaggio commovente di ringraziamento a Pio XII per tutto quello che ha fatto per salvare migliaia di loro, e fecero collocare una lapide di marmo nella quale questo messaggio era scolpito; in seguito la lapide fu rimossa, ma ne esistono fotografie di prima che fosse distrutta. Io sono andato lì in Via Tasso a chiedere: perché è scomparsa questa lapide? La risposta è stata: “Mah, sa, dovevamo fare ristrutturazioni” ma io sono convinto che c’erano altri motivi dietro che non potevano e non volevano dire. Va bene, ho preso atto di questa situazione.
L’Archivio segreto, una volta aperto, farà luce su tutte queste storie?
Gumpel: Naturalmente molte questioni su queste faccende che le ho raccontato troveranno conferma nell’Archivio segreto. Altre no, perché alcune cose per motivi di sicurezza furono trattate soltanto a voce. Non ci si deve aspettare, dunque, che ogni dettaglio di quanto io ho detto venga confermato da un documento. Ma ricordiamoci anche che nella storiografia è un errore ritenere vero soltanto ciò che è dimostrabile attraverso i documenti. Ci sono anche le deposizioni giurate di testimoni, persone rispettabili che non hanno alcun interesse di mentire, che sotto giuramento, in modo processuale – io stesso ne ho ascoltati parecchi – hanno dichiarato: “si, io ho ricevuto questo ordine, e sono andato in questo convento, ecc.”. Quindi da un lato nell’Archivio segreto si troveranno moltissime cose che sono rilevanti, e che faranno aprire gli occhi alle persone oneste e di buona volontà, che non vogliono agire in base a principi ideologici e propagandistici ma, secondo la verità, ma su altre cose non vi dovete aspettare documenti scritti perché in tempo di guerra certe cose non si mettevano nero su bianco, soprattutto per non mettere in pericolo le persone.