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“Io accolgo te” e non “io prendo te”

Catholic marriage

© Louise ALLAVOINE/CIRIC

Dimensione Speranza - pubblicato il 05/02/14

È un sì detto alla vocazione che Dio affida ai coniugi nella Chiesa e nel mondo, un sì al Dio della vita
di Luca Tosoni

«Io, prendo te come mio sposo/a e prometto di esserti fedele sempre….. Nel pronunciare questo gli sposi decidono liberamente di accogliere per prima cosa un dono che proviene da Dio, che dobbiamo accogliere e custodire, ma in realtà significa anche fare spazio ad un altro/a nella nostra vita abbandonando la pretesa di conquistarlo e possederlo.


Quando mi sono sposato con mia moglie Patrizia la formula matrimoniale era: «Io, prendo te come mio sposo/a e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti ed onorarti per tutti i giorni della mia vita». Oggi, quel «prendo» che rischiava di confondersi con qualcosa che carpisco, che pretendo, è stata sostituito con «accolgo». Nel pronunciare questo gli sposi decidono liberamente di accogliere per prima cosa un dono che proviene da Dio, che dobbiamo accogliere e custodire, ma in realtà significa anche fare spazio ad un altro/a nella nostra vita abbandonando la pretesa di conquistarlo e possederlo. Quel giorno, però, che abbiamo celebrato il nostro amore abbiamo anche deciso di farlo «nel Signore». Nella formula, oltre a quella umana, è insita un’altra scommessa. Ogni amore, ciascun amore, questo amore, divengono «sacramento». Gesù scende verso questa realtà per assumerla. Nell’amore umano s’innesta l’amore di Dio per l’umanità, di Cristo per la sua Chiesa. È un sì degli sposi detto non solo al cospetto di Cristo, ma a Cristo, ed è un sì di Cristo detto agli sposi. Il sì detto è un sì detto a Dio e al suo progetto creativo originario sul matrimonio. È un sì detto alla vocazione che Dio affida ai coniugi nella Chiesa e nel mondo, un sì al Dio della vita.

Quel giorno ci siamo promessi di impegnarci in una relazione unica, insostituibile, senza equivalenti. Ci siamo impegnati ad accogliere tutto l’altro, non una parte. Non quando tutto va bene, quando i rapporti sono distesi e gioiosi. Abbiamo promesso di sposare gli alti e i bassi, i momenti di slancio e i momenti di pausa, gli invecchiamenti e i rinnovamenti dell’altro. Per questo è importante rifuggire da una cultura che sembra ridurre la sponsalità ad uno status giuridico, dimenticando la qualità di una relazione oblativa che è sempre disposta a rinnovarsi e a migliorare. Scrive il filosofo R. Mancini:

«Nella logica della gratuità, l’elemento primario è la scelta degli sposi di amarsi per sempre, riconoscendo l’uno nell’altro un valore originale e insostituibile. Tale scelta si fa strada, giorno per giorno, nell’imparare ad essere per l’altro, in una dinamica relazionale fatta di stima di dialogo, di progetti, di tensioni accettate e gestite insieme, di sessualità, di condivisione dell’intera esistenza. L’orientamento di ciascuno sta nel volere la felicità dell’altro a partire dalla sua libertà. La continuità nel tempo della scelta coniugale non è tanto l’ossequio ad un dovere morale o ad un contratto, quanto il rinnovarsi dell’amore per l’altro nel suo essere proprio così, ossia, in ultima istanza, nel suo mistero».

Il mistero profondo di questo cammino affascinante e misterioso, che supera la stessa intelligenza, è descritto nel libro dei Proverbi (30,18-19). In questo proverbio l’anonimo autore canta il suo stupore davanti all’incomprensibilità dell’amore di un uomo e di una donna. Egli non vuole dare spiegazioni e neppure si tortura per la sua ignoranza. Si meraviglia e canta l’inesplicabile.

«Tre cose ci sono che mi superano e una quarta che non comprendo: il cammino dell’aquila nell’aria,
il cammino del serpente sulla pietra,
il cammino della nave per il mare,
il cammino dell’uomo nella fanciulla».

Ma l’autore ci canta anche che l’amore più che uno stato o una condizione si presenta come un cammino. Come l’aquila, il serpente e la nave si aprono un cammino senza lasciarlo fatto, l’amore autentico non si rassegna alla routine di una strada già battuta. Il cammino dell’amore va riaperto di nuovo ogni volta. Ogni coppia deve percorrerlo di nuovo a suo modo, con la disponibilità ad accettare che ogni tratto risulta diverso dal precedente e non può essere previsto e calcolato interamente in anticipo. Come ogni cammino, il viaggio della coppia, dunque, richiede la fatica del procedere in avanti, del conoscersi, del crescere, del ricominciare e del rinnovarsi continuamente.

Non ci promettiamo, dunque, di riuscire sempre, di essere sempre scattanti e desiderabili, ma di impegnarci perché l’amore cresca e riesca. Ci accorgiamo ogni giorno che l’amore non è qualcosa di acquisito, ma un lungo tirocinio per potersi concretamente attuare nel vissuto delle persone: esso è da ricercare e costruire giorno per giorno. La realtà dell’amore, pur accettando il limite, non rinuncia a guardare lontano: sa aprire nuovi percorsi, ricerca nuove prospettive, nuovi punti di vista. L’amore non può rinchiudersi nel presente, pur incarnandosi in esso, ha bisogno di aprirsi, di progettarsi. Se rimane ancorato nel presente senza progettualità rischia di essere travolto. L’amore-progetto diviene l’anima di una vera comunione. Pro-gettarsi significa, dunque, gettarsi avanti nel tempo, osare un atto di fede e di speranza nella vita. Significa accettare di affrontare la sorpresa e di vedere smentita la propria volontà di programmazione. Ancor di più, significa tenersi pronti a scusare e a perdonare, visto che nel viaggio non si mancherà di compiere un certo numero di ricerche e smarrimenti, che causeranno delusioni anche profonde.

In questo contesto rientra la fedeltà ad un progetto. La fedeltà è contemporaneamente stabilità e rottura, sicurezza e rischio, ancoraggio nel passato e apertura verso il futuro. Essa viene misurata dalla realtà quotidiana, è prima di tutto rivolta alla persona, non al momento più o meno distante dell’incontro. È dinamica come la crescita della persona, non è qualcosa di statico, di imbalsamato in un istante o in un momento, ma è una realtà continuamente rinnovabile. La fedeltà accompagna la persona e il rapporto di coppia lungo tutto l’arco della vita. Apre alla speranza, non si fa richiudere in un ambito ristretto, si proietta verso una durata senza scadenze. È la sicurezza che, di ogni energia spesa, nulla va perduto nel vivere la realtà di coppia come una comunione da custodire e da alimentare.

Non possiamo pensare, dunque, ad un cammino secondo un modello di perfezione in cui il dialogo è sempre possibile, non esiste alcun attrito, il mattino ci si sveglia con un bel sorriso stampato sulla bocca ecc., ma alla capacità di camminare e accogliersi nonostante quelle imperfezioni e incomprensioni. Solo così si diventa testimonianza e trasparenza verso l’esterno e al proprio interno. Non si può ignorare che la storia di coppia si snoda in un susseguirsi di conquiste e disfatte, di progresso e regresso, di vita e di morte. Ci sono i momenti della gioia ma anche quelli della sofferenza, l’esperienza della condivisione ma anche quella della conflittualità, il tempo della parola ma anche quello del silenzio. Esiste, dunque, un’instancabile tensione, complicata dalla mescolanza di sentimenti contrastanti tra il tutto e il nulla, tra il possesso e il vuoto, tra l’affermazione gioiosa e la delusione più amara.

Per non lasciarsi condurre dalle pulsioni e dalle illusioni scambiate per itinerari di crescita è necessario rivedere, verificare, giudicare e scegliere. Il cammino non può arrestarsi e cedere alle forze contrarie, non può rinunciare a guardare avanti, a sperare, a tentare percorsi inediti. Lo sguardo ferito è lo sguardo che sente il limite ma soprattutto ama vedere, apprezzare le immagini faticosamente catturate. Vivere e costruire l’amore non è innanzitutto fissarsi un ideale e prefiggersi la perfezione, con la pretesa che l’altro sia la risposta ad ogni nostro desiderio, senza ombra, né sbavature: è, piuttosto, accettare di aprirsi per incontrare l’altro. È rendersi in qualche modo vulnerabili, è cessare di difendersi, di guardarsi, di costruirsi, per impegnarsi nel servizio, in un’avventura piena di incognite, di imprevedibilità, di vita e di creatività.

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