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I 3 pilastri dell’economia secondo Francesco

The boat of the economy

© alphaspirit/SHUTTERSTOCK

Aleteia - pubblicato il 04/02/14

Bene comune, economia civile, lotta alle disuguaglianze

La visione del mondo materiale secondo papa Bergoglio ha suscitato un grande dibattito, creando divisioni e unioni d’intenti, specialmente tra gli addetti ai lavori.

Secondo Stefano Zamagni (Avvenire, 1 febbraio) sono questi i pilastri portanti della linea di pensiero del Pontefice sul modo di intendere, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, l’economia capitalistica di mercato.

1. In primo luogo, Francesco dimostra di aver compreso molto bene che a partire dagli ultimi 30 anni si è creata un’inversione del rapporto tra sfera economica e politica: l’economia è diventata il regno dei fini e la politica il regno dei mezzi. Nei due secoli precedenti non era così. Infatti la politica, in quanto responsabile del bene comune, indicava i fini che la società doveva raggiungere e al mercato si chiedeva la ricerca dei mezzi più efficaci per conseguirli. Occorre perciò agire – sprona il Papa – per rimettere a posto le cose.

2. L’invito a cercare una via d’uscita dalla pesante dicotomia che vede, su un fronte, la tesi neoliberista secondo cui i mercati funzionano quasi sempre bene – e dunque non vi sarebbe bisogno di invocare speciali interventi regolativi – e sull’altro fronte la tesi neostatalista secondo cui i mercati quasi sempre falliscono – e pertanto occorre affidarsi alla mano visibile dello Stato. Invece, proprio perché i mercati – che sono necessari – spesso non funzionano bene, è urgente intervenire sulle cause dei tanti malfunzionamenti, soprattutto in ambito finanziario, piuttosto che limitarsi a correggerne gli effetti. È questa la via che è favorita da chi si colloca nell’alveo dell’economia civile di mercato, dove il Papa si muove in sintonia con l’insegnamento dei suoi ultimi due predecessori.

Inoltre il mercato non è solo un meccanismo efficiente di regolazione degli scambi ma produce cambiamenti profondi delle relazioni umane e del carattere degli uomini che vivono in società. Di qui l’insistenza del Papa sul principio di fraternità che deve trovare un posto adeguato dentro l’agire di mercato, senza eliminare moralisticamente la ricchezza.

3. Il terzo pilastro è la tesi della "ricaduta favorevole", di cui si parla nell’Evangelii gaudium. Qui il Papa dimostra di capire quel che troppi osservatori e studiosi fingono di non vedere e cioè che povertà assoluta e diseguaglianza sono cose diverse. La globalizzazione ha certamente diminuito la povertà assoluta ma ha accresciuto in modo preoccupante i poveri relativi, ossia chi ottiene meno della metà del reddito pro capite prevalente nella comunità di appartenenza.

Ecco perché per Francesco la lotta alla povertà assoluta non può essere sbandierata come rimedio anche per la lotta alle diseguaglianze sociali. Il fatto è che, mentre per condurre la prima lotta, è sufficiente intervenire sui meccanismi redistributivi – ad esempio tassazione, filantropia, ecc. – se si vuole agire sulla riduzione delle diseguaglianze occorre intervenire sui meccanismi stessi di produzione della ricchezza.

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