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I difficili no di un parroco

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don Fabio Bartoli - La Fontana del Villaggio - pubblicato il 03/02/14

Evangelizzare nella vita quotidiana della vita parrocchiale non è facile

Quanto mi pesa dover dire di no!

Il dramma della mia condizione di parroco è che mentre vorrei essere l’uomo del sì, l’uomo che accoglie sempre, la mia posizione di presidente della comunità, di responsabile dell’ortodossia, di maestro della fede mi costringe invece a correggere ed orientare ed a volte purtroppo a dover vietare e questa è la cosa più pesante.
Questa fatica si esprime soprattutto nella pratica quotidiana dell’ufficio parrocchiale.
Ogni giorno in ufficio si giocano partite mortali. Quando una persona entra di solito lo fa perché ha una richiesta specifica da fare: vuole un battesimo, o iscrivere un bambino al catechismo, o chiede un funerale o mille altre cose.
Si comporta in genere come chi va in un’agenzia a comprare un servizio: sa già cosa vuole e non è lì per ascoltare lezioni (c’è già così poco tempo nella vita, ci sono i figli da andare a prendere a scuola, la spesa da fare…), alla fine dei conti quello che mi domanda è semplicemente un sì o un no.
E qui comincia la lotta.

Già, perché di solito chi chiede non ha la minima idea di cosa sta chiedendo, anche se crede di saperlo, ed io allora in due o tre minuti mi trovo di fronte alla fatica improba di riorientare le sue scelte, ridefinire i suoi parametri, in sostanza di annunciare il Vangelo a chi non ha nessuna voglia di sentirselo annunciare, perché è convinto di conoscerlo già.
Li capisco, poveracci.
Dal loro punto di vista è come se uno andasse dal fruttivendolo a comprare un chilo di arance e si sentisse fare una lezione sulle proprietà mediche dei limoni o dal concessionario per comprare, che so, una mercedes e si sentisse fare una lezione di guida. Che vuole ‘sto prete qua? Cosa sta dicendo? Che devo cambiare vita? Che non sono cristiano? Ma come si permette? E poi che c’entra? Io gli ho chiesto di battezzare mio figlio e lui vuole che vada alla messa io?
Solo che accettando le loro richieste, quando non sono davvero convinte, farei un danno molto peggiore, perché accettare, ad esempio, di amministrare un sacramento a persone che non hanno la minima idea della serietà di ciò che chiedono significa di fatto confermarli nella loro convinzione non detta che la Chiesa, e quel che peggio la fede, non sono poi cose tanto serie.
La ragazza è giovane e carina, più vicina ai trenta che ai quaranta, avrebbe un viso simpatico se sorridesse, invece è palesemente a disagio, si vede subito che non entra in chiesa da parecchio.
La faccio aspettare un attimo fuori dalla porta mentre risolvo un’altra questione (trovo da mangiare e da dormire a una poveraccia), è una scelta voluta, lascio la porta aperta in modo che possa ascoltare la mia conversazione con quella donna sfortunata, anche questo è un modo di evangelizzazione (a cui peraltro quella giovane e carina non dà segni di aver abboccato), un modo per dire: “vedi cosa fa la Chiesa?”, dopo cinque minuti la ricevo, la sua richiesta è semplice, vuole fare la Cresima. Motivo? Gli è nato un nipote e vuol fare da madrina.
E qui comincia la partita.
Sono perfettamente consapevole che questo è probabilmente l’unico contatto che questa ragazza avrà con la Chiesa per parecchio tempo, almeno fino al matrimonio (se non è già sposata) o al funerale di qualche persona cara, quindi in questi pochi minuti devo mettere dentro tutto, devo farla sentire amata innanzitutto e poi devo suscitare in lei un desiderio vero di Gesù, qualcosa che vada al di là del puro e semplice affetto per il nipote che le fa desiderare di fargli da madrina, per elevarla un minimo nello spirito, il tutto mentre lei è lì per tutt’altra ragione e da me vuole solo un sì o un no.

Ok la partita comincia, servo io. Prima domanda: “dove abita? Ah dunque non è mia parrocchiana e come mai viene qui?” Ha difficoltà con il suo parroco ovviamente, ahi ahi ahi brutta storia, quindi è anche probabilmente prevenuta verso i preti in generale, il che spiega il suo disagio.
Ho sbagliato, avrei dovuto offrirle il caffè (nel mio ufficio c’è una macchina del caffé sempre calda esattamente per questo motivo) e cercare di stabilire un rapporto più empatico, magari dandole del tu. Un servizio maldestro e mi ha infilato con una voleé, 0-15.
Ora tocca a lei servire: “il problema è che il bambino nascerà a Settembre”, rapido calcolo mentale, significa che abbiamo a disposizione non più di sei mesi.
Che botta! Corro come un pazzo a fondo campo e riesco a recuperare, ma la mia risposta è fiacca: “Di per sé non è un ostacolo questo, la vera domanda è: lei sa che cosa mi sta chiedendo? Cosa significa far la cresima?”
Lo sguardo vuoto che ricevo in risposta è ambiguo, potrebbe significare totale disinteresse, oppure anche che ho fatto centro cercando di deviare il discorso dal nipote a lei (che è la sola che mi sta davvero a cuore) e che lei si sente spiazzata.
Tento di incrociare il gioco: “Lei capisce che fare la cresima significa confermare la propria volontà di essere cristiani. Del resto ciò che si chiede a un padrino è appunto di essere un esempio di vita cristiana. Sia sincera, da quanto tempo non va in Chiesa?”
Maledizione che attacco goffo! Subito si chiude a riccio: “parecchio tempo, ma che c’entra? Mica per questo si può dire che non sono cristiana!” Colpa mia, sono stato troppo aggressivo e lei si è chiusa sulla difensiva, non sentendosi amata, ma giudicata, fallo di fondo 0-30
Ora servo io: “vede il punto è che per fare la Cresima è necessario che ci sia una volontà autentica di vivere da cristiani e la motivazione che lei mi ha portato non è sufficiente” ecco, penso, questo è l’approccio giusto, non parlare mai di essere cristiani, ma di vivere da cristiani, pochi accettano di sentirsi dire a brutto muso che non sono cristiani, sono molto più disponibili invece (anche perché è difficile negarlo) a sentirsi dire che non vivono da cristiani, “perché lei possa fare la cresima deve dimostrare la sua volontà di cambiare vita”, non è un ace, ma un buon servizio.
La sua risposta, “che cosa devo fare?” mi offre la possibilità di attaccare ancora: “fare non deve fare molto, certo frequentare la messa domenicale è il minimo sindacale e poi un minimo di catechesi, ma ciò che conta è che cambi il suo atteggiamento verso la fede”.
Accidenti, aveva solo finto interesse! Mi ha attirato sotto rete e ora mi infila con un lob perfetto: “Sì va bene, ma ho la garanzia che a Settembre potrò fare la Cresima?”. Il lob è irragiungibile: 0-40
Ultimo disperato tentativo, gioco definitivamente a carte scoperte: “guardi, il problema è che lei deve desiderare di fare la Cresima per se stessa e non per sua nipote, fintantoché lei vede nella Cresima solo lo strumento necessario per poter essere madrina, in realtà è fuori dalle condizioni spirituali richieste. Non è una questione di tempo, Dio può cambiare una vita in un giorno, è una questione di atteggiamento mentale” E lei: “capisco, le farò sapere”.
Game over, set e partita.
Ho perso miseramente, non sono stato capace di amarla abbastanza, né di mostrarle la verità di ciò che dicevo, ma in realtà ha perso anche lei, è convinta di aver trovato un altro prete burocrate e “cattivo”, adesso chissà quando avrà una nuova opportunità e intanto io resto ore a macerarmi nell’inquietudine e nel rimorso del “se avessi fatto, se avessi detto”.
Intendiamoci, quella ragazza non ha colpa di questa situazione, è la conseguenza di secoli di pastorale assurda, basata sulla sacramentalizzazione di massa, che ha prodotto una Chiesa praticamente atea, però intanto siamo noi, soldatini di prima linea, a portare il peso della battaglia e lei e tanti come lei ad essere di fatto respinti dalla Verità.
Quando, quando riusciremo a cambiare tutto questo?

Stamattina è successo un fatto piuttosto sgradevole in ufficio parrocchiale che mi ha fatto ripensare a questo episodio e a questo articolo che pubblicai originariamente due anni fa sul blog di Costanza Miriano . Ve lo ripropongo quindi con qualche minimo adattamento

Qui l’articolo originale

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