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Dove ci porta la nostra cultura impastata di sesso e “benessere”?

Our Hot Sexy Culture Welcome to the Burn Ward Sean Dreilinger – it

Sean Dreilinger

John Zmirak - Aleteia - pubblicato il 03/02/14

“Gimme Shelter” esplora il mondo delle “ragazze da scartare” e la crisi dei rifugi per le donne in gravidanza negli Stati Uniti

Ho trascorso un happy hour con alcune persone conosciute da poco attraverso una rivista culturale conservatrice, e per ore mi ero sentito a casa mentre condividevamo storie di campus universitario, ma mentre svuotavamo il settimo giro di bevande la conversazione ha cambiato rotta: dal tappeto all’asfalto, e sono stato lanciato in mezzo alla mischia. Forse dovevo prevederlo, prima di menzionare la parola aborto.

L’argomento era Teddy Kennedy, e io ho citato il suo abbandono dei nascituri come uno degli aspetti brillanti della sua miseria morale. Il più biondo del tavolo tossiva discretamente. Un altro ha fatto il diplomatico assentendo leggermente. Il terzo ha solo sviato lo sguardo. Una persona più raffinata avrebbe capito l’antifona e avrebbe spostato il discorso su Hillary Clinton, ma io sono figlio di un postino del Queens e sono andato avanti, fino a quando il biondo si è girato verso di me e ha dichiarato senza tante cerimonie: “Abbiamo bisogno dell’aborto legalizzato per abbattere i costi del welfare”.

Per la prima volta in moltissimi anni sono rimasto in silenzio, e per un tempo sufficiente a far sì che un altro dei miei nuovi amici aggiungesse: “E gli indici di criminalità. Non hai mai letto Freakonomics? New York è tornata ad essere vivibile grazie a Roe vs Wade” [Freakonomics è una serie di studi dell’economista Steven Levitt e del giornalista Stephen Dubner, che tra altre tesi polemiche suggerisce che l’aborto è stato il maggior responsabile della diminuzione dei crimini negli USA. Quanto alla questione Roe vs Wade, si tratta del caso giudiziario in cui la Corte Suprema statunitense ha approvato il diritto all’aborto]. Io avevo letto non solo Freakonomics, ma anche la dettagliata critica che ha stroncato la tesi degli autori. Alla fine ho preso la giacca e me ne sono andato.

I miei “muscoli dell’empatia” devono essere un po’ meno atrofizzati di quelli della maggior parte delle persone, e ho rafforzato questa convinzione vedendo un nuovo film con alcune delle giovani stelle più sexy di Hollywood: Vanessa Hudgens e Rosario Dawson. Il film, “Gimme Shelter”, è uno sguardo austero e onesto alle “ragazze da scartare” che portano il peso dei nostri costumi sessuali moderni, che cercano l’amore sotto le pietre e finiscono incinte e disperate. Questo è il vero volto della questione della vita negli Stati Uniti. Nella vita di queste ragazze, gli uomini sono pateticamente impreparati alla paternità. E il sistema di “benessere sociale” che configuriamo come sostituto sembra concepito proprio per perpetuare questa assenza di aiuto.

La protagonista, Apple Bailey (Vanessa Hudgens), è un’adolescente che fugge dagli abusi della madre drogata (Rosario Dawson), ma si rifiuta di cadere di nuovo nel “sistema” degli orfanotrofi e dei rifugi per minori, nelle cui strutture era stata già sbattuta da una parte all’altra come un container pieno di rifiuti radioattivi. Preferisce ricorrere a uno sporco pezzo di carta, una lettera ricevuta quando era ancora piccola, scritta dal padre che non ha mai conosciuto. È dietro quest’uomo (Brendan Fraser) che va, bussando alla porta della sua casa lussuosa, con orrore (comprensibile) dell’attuale moglie-trofeo (Stephanie Szostak) e dei figli pettinati in modo impeccabile.

Ho detto “comprensibile” perché potrei comprendere la situazione. La bella Vanessa Hudgens è irriconoscibile in questo ruolo, sporca e vestita come una ragazzina di strada. È arrogante, accusatrice e profana. È il tipo di “minaccia urbana” che porta istintivamente a voler chiamare la polizia, ma suo padre è preso dal senso di colpa e dalla nostalgia soffocata. Calma la moglie, porta dentro i figli lindi e pinti e cerca di scoprire come offrire ad Apple quello che merita una figlia.

Ma la sua empatia non funziona. Quando una nausea mattutina annuncia che Apple è incinta, il padre e sua moglie sono terrorizzati. Apple è una ragazzina pronta per essere un altro anello della catena della disfunzione urbana, pronta a replicare la triste vita di sua madre. La cosa più affettuosa da fare per lei è “risolvere” il suo problema il prima possibile e aiutarla ad “andare avanti”, come se nulla fosse accaduto.

Il padre spiega ad Apple la sua proposta, in modo affettuoso e calmo ma chiarendo freddamente che avrà un posto in casa sua solo se prenderà la decisione “giusta”. La ragazza viene così portata in clinica e accomodata sul lettino, ma mentre aspetta di essere sottoposta all’intervento tira fuori da una scarpa un’ultrasonografia del suo bambino. La guarda, scende dal lettino e scappa via sotto la pioggia.

Inizia a mangiare quello che trova nell’immondizia e fugge da uno sfruttatore al quale ruba la macchina per scappare. Non tarda ad avere un incidente e finisce in ospedale, dove incontra il primo barlume di decenza nelle vesti del cappellano (James Earl Jones), che le parla di un rifugio dove poter vivere, curare il bambino e prepararsi per trovare un lavoro. Il rifugio è stato fondato da una donna anche lei ex senzatetto. Il resto del film esplora la futura decisione di Apple e pone la domanda: ci riuscirà?

Film come “Gimme Shelter” ci danno speranza, descrivendo la verità attraverso il terrore della bellezza. La risposta più naturale del mondo che una madre può dare al figlio è aver cura di lui. Sappiamo molto bene, in fondo, che questa è la decisione “giusta”. Nella nostra quotidianità e nella nostra azione politica, dobbiamo tenere a mente questa verità umana fondamentale. Nessuna società che si basa su falsità può durare molto: cadrà nel caos, nel crimine e nella povertà. Se non riusciamo a difendere l’amore di una madre per il figlio, non resta semplicemente niente che un conservatore possa conservare.

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