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In preghiera per padre Dall’Oglio e tutti i rapiti in Siria

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Chiara Santomiero - pubblicato il 29/01/14
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Jesuit Refugee Service: “dare voce alla maggioranza silenziosa che vuole la pace”A Milano, Roma, Bologna, Trento, in Italia, ma anche a Parigi, Marsiglia, Lione, Ginevra, Cracovia, Londra in Europa e in Libano, Usa, Giappone: sono numerosi i luoghi del mondo dove il 29 gennaio tante persone si raccoglieranno in preghiera per ricordare il gesuita padre Paolo Dall'Oglio rapito in Siria esattamente sei mesi fa. Dall'Oglio non è l'unico religioso di cui non si hanno più notizie, quasi inghiottito da un conflitto che dura ormai da tre anni e mezzo: come ha ricordato il nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari, in un'intervista a Radio vaticana, da quasi un anno sono scomparsi nelle vicinanze di Aleppo due sacerdoti, uno armeno cattolico e uno greco-ortodosso, e sono trascorsi 9 mesi dal rapimento di due vescovi ortodossi. Delle 12 suore rapite dal monastero di Maalula si sa, invece, che sono trattenute nella cittadina di Abrud dove sarebbero trattate abbastanza bene. Accanto a una popolazione sempre più allo stremo rimane il Jesuit Refugee Service (JRS), come ha raccontato ad Aleteia James Stapleton, direttore della comunicazione JRS, che si unisce alla preghiera affinché tutti i rapiti nel Paese possano tornare presto liberi.

Quali sono le attività del JRS nell'area del Medio Oriente?

Stapleton: Il Jesuit Refugee Service opera in Libano, Giordania e Siria, ma adesso gli sforzi sono concentrati soprattutto in Siria. Qui siamo presenti nelle città di Damasco, Homs e Aleppo e nelle aree circostanti dove ci occupiamo per prima cosa di venire incontro all'emergenza con l'aiuto umanitario per cibo, medicine, alloggio. Si tratta di circa 300 mila persone per le quali nel 2013 abbiamo impegnato circa 11 milioni di euro che costituiscono il 20% del nostro budget totale. Il JRS gestisce, infatti, un bilancio complessivo di 50 milioni di euro per le attività in 10 aree di tutti i continenti. Inoltre ci occupiamo di dare aiuto scolastico ai ragazzi e aiuto psicologico. Non c'è posto in Siria, ormai, che possa ritenersi sicuro e i bambini sono traumatizzati, come avviene in ogni conflitto. Attraverso loro cerchiamo di arrivare anche alle famiglie. Provvediamo alla loro istruzione ma anche ad attività ricreative perché possano ritrovare un po' di normalità e quel senso di stabilità che hanno perso quando i loro genitori hanno smesso di fare le cose di tutti i giorni. Quando questo conflitto cesserà e ci saranno maggiori condizioni di sicurezza, ci auguriamo di poter destinare maggiori risorse all'assistenza psicologica e a quella scolastica. Abbiamo progetti simili in Libano e Giordania con scuole tecniche e aiuto per i ragazzi che vengono inseriti nella scuola ma hanno difficoltà con la lingua. Nel nord della Giordania abbiamo anche un programma di accesso all'Università online.

Homs sta vivendo in queste ore la situazione più drammatica, in stato di assedio e senza la possibilità che arrivino aiuti umanitari…

Stapleton: E' così: sono mesi che i suoi abitanti non riescono a muoversi dal centro storico. Ma la situazione più drammatica cambia a seconda del momento e tocca tutti e tutto. E' un dramma il costo delle medicine e il fatto che la maggior parte dei medici abbia abbandonato il Paese, è un dramma il freddo dell'inverno e il riscaldamento che non c'è. E' un dramma che ci siano 6-7 milioni di sfollati interni e circa due oltre confine. Ed è drammatica anche la situazione dei Paesi confinanti: il Libano, che è un Paese di 4 milioni di abitanti, accoglie ormai 1 milione di profughi siriani con gravi conseguenze per il suo equilibrio interno.

Alla vigilia dell'incontro di Ginevra nel quale si sta cercando una soluzione della crisi, il JRS ha inviato un appello per un cessate il fuoco immediato e una soluzione negoziata: qual è il vostro obiettivo?

Stapleton: Cerchiamo di dare voce a quella maggioranza silenziosa di siriani che nessuno ascolta. C'è una società civile, oltre le parti in conflitto, che continua a dire “no” alla guerra e alla violenza. Un sondaggio condotto tra i siriani rifugiati nei Paesi vicini conferma una volontà di pace e per una soluzione negoziata espressa dall'85% degli intervistati. E' quanto cogliamo noi stessi dai nostri 600 volontari che sono cristiani e musulmani di diverse confessioni e di tutti gli strati sociali della popolazione e si impegnano quotidianamente ad aiutare tutti senza distinzione di opinione politica o appartenenza religiosa. Deve essere chiaro che ciò che sta avvenendo in Siria è una guerra tra gruppi di potere: non è una guerra etnica e nemmeno di religione. Il grande rischio è che il conflitto si allarghi a tutta la regione mediorientale che è un'area dagli equilibri instabili.

A quali risultati può portare la conferenza di Ginevra?

Stapleton: Noi siamo a favore della possibilità di cessare le ostilità e far arrivare gli aiuti umanitari, Sarebbe auspicabile che la società civile fosse maggiormente coinvolta nelle decisioni sul futuro del Paese. Il fatto che le parti in conflitto comincino a parlarsi è positivo. La soluzione di qualsiasi conflitto inizia sempre dalle parole e mai dalle armi.