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Elena Bono “Scrivo quel che Dio mi detta”

Il castello in fiamme e l’unguento della parola – Elena Bono

© Public Domain

La nuova Bussola quotidiana - pubblicato il 29/01/14

Intervista con quella che per alcuni è la più grande scrittrice italiana del XX secolo

di Giovanni Fighera

Tanti sono i casi letterari nella letteratura del Novecento. Poeti e romanzieri dimenticati, soprattutto donne, come Ada Negri o il Premio Nobel Grazia Deledda (ricorreva nel 2013 il centenario della pubblicazione di Canne al vento). «È un fatto che quella che riteniamo la scrittrice italiana più importante della seconda metà del XX secolo sia da quasi quarant’anni emarginata dalla cosiddetta grande editoria». Così scrive il critico Giovanni Casoli in Novecento Letterario Italiano ed Europeo (2002) su Elena Bono. Poetessa, autrice di romanzi e di opere drammaturgiche, ha conseguito numerosi Premi letterari tra cui il Premio «Vallombrosa» (per la poesia religiosa), il Premio «Dante Alighier – Cultura ligure», il Premio «Universo Donna», il Premio del Consiglio Organizzativo Mondiale Arte e Cultura a Città del Messico. Imminenti sono la pubblicazione in e-book del suo capolavoro Morte di Adamo e l’inizio delle riprese di un film sulla sua vita, la cui sceneggiatura è stata scritta dalla regista, critica d’arte e gallerista Gabriella Bairo Puccetti. Possiamo considerare anche Elena Bono un vero e proprio caso letterario. Ci auguriamo che la sua opera possa essere conosciuta e apprezzata da un vasto pubblico. 

L’abbiamo intervistata grazie alla collaborazione di Stefania Venturini che la conosce dal 1990, è sua amica e dal 2009 è diventata suo press agent. Accanto alle risposte di Elena Bono (molto sintetiche, perché le condizioni di salute non le consentono di parlare troppo) abbiamo, per l’appunto, riportato in corsivo il commento e qualche racconto di Stefania Venturini. 

Che cosa ti senti di dire, di raccomandare, di ricordare ad un bambino, ad un adolescente, ad un adulto di oggi riguardo alla vita e alla felicità?
Come si fa ad un bambino: un bambino è un bambino. Quanto agli adolescenti e agli adulti: ognuno ha le sue esperienze. 
Elena non ha avuto figli, e forse questo non le rende facile pensare a come parlare ad un bambino. Tuttavia lei è stata una bambina particolare: fin da molto piccola sentiva il richiamo dell’infinito. E non a caso il suo legame intimo e spirituale con Giacomo Leopardi è fortissimo. Aveva solo tre anni quando coi genitori, da Sonnino, andò a Recanati, dove il padre, Francesco Bono, insigne grecista e latinista, era preside del Liceo Classico Leopardi. Appena arrivata nel centro del paese col taxi, fu fatta scendere e per qualche istante rimase sola fra la macchina, la portiera ed il muro del palazzo dove sarebbe andata ad abitare. Fu presa da una specie di sgomento e realizzò: “Ma io sono sola!”. Sperimentò la solitudine cosmica a soli tre anni! Suo papà la portava con sé nello studio che fu del Leopardi. Elena si metteva sotto il busto del poeta e si sentiva inondare dalla sue lacrime. Coi giovani, invece, Elena ha sempre avuto un bellissimo rapporto: lei li ha sempre amati, e loro amano lei, ancora oggi. A loro Elena ha dedicato la sua opera. E in molti lo hanno capito. E chi l’ha letta non l’ha mai più dimenticata. A qualcuno ha letteralmente salvato la vita. Morte di Adamo, soprattutto, è stato ed è un libro che ha scosso profondamente tante coscienze.

Che cos'è per te la poesia? Che cos'è l'urgenza di raccontare e di ricordare? 
Io scrivo sotto una misteriosa dettatura: è sempre stato così.
Tutto è cominciato quando Elena, appena finita la guerra, stava seduta nel suo salotto mentre ascoltava musica ungherese. Ad un certo punto, lei racconta, si fece un grande silenzio, un silenzio assoluto, difficile da descrivere. E udì distintamente le parole : “Quando venne il suo giorno, dopo novecentotrenta anni di vita, Adamo tornò alla terra”. Prese il primo foglio e penna che trovò e iniziò a scrivere. Era l’inizio di quello che sarebbe diventato il suo capolavoro assoluto Morte di Adamo. Finito di scrivere andò da suo padre e gli disse: “Papà, guarda cosa mi è successo!”. E lui dopo aver letto le disse: “Povera figlia mia”.

È questa urgenza che ha mosso i tuoi primi passi nella poesia? O è altro?
Io non ho fatto che scrivere quello che mi veniva dettato: ho risposto ad una chiamata. (Familiaris Consortio)
Elena racconta che ebbe la conferma di questa chiamata a Roma, quando andò a confessarsi con un padre gesuita, p. Copello. Entrò in Chiesa quando ormai stava per chiudere. Ma in confessionale c’era un Padre. Elena stava meditando di entrare in convento, nell’ordine delle Brigidine. Ne parlò al confessore e lui, dopo un lungo silenzio, le disse: “No figlia mia. Sai che quello che devi fare non potresti farlo in Convento”. E da allora Elena non poté più sottrarsi alla sua vocazione di scrittrice, tutta dedicata a restituire alla parola non solo la dignità e il senso, ma la sua sacralità. Perché, dice sempre, “il Verbo si è fatto carne”. Pertanto, chi profana la parola, profana Dio. Profana la vita. Profana l’uomo.

Ami particolarmente il teatro. Perché? 
Io lo facevo fin da bambina coi pupazzetti che ritagliavo dal Corriere dei Piccoli.

Che cosa intendi raccontare dell'uomo attraverso il teatro e attraverso la storia? Che rapporto c’è tra storia e teatro?
Tutta la storia è un teatro. Se avessimo un apparecchio adatto potremmo vederlo dal principio del mondo.

C'è una poesia a cui sei particolarmente affezionata e che rispecchia più fedelmente la tua persona, il tuo cuore, le tue domande, le tue aspettative? 
Tempo di Dio.
Elena la scrisse poco dopo la fine della guerra. E fu profetica. Tutto il tema della lotta per la libertà contro la schiavitù dell’uomo, Elena lo ha sviluppato poi con la trilogia “uomo e superuomo”, scritta nell’arco di un trentennio e che si snoda dagli anni ‘20 fino agli anni 1958. Tempo di Dio si può, a mio parere, collegare perfettamente a Invito a palazzo (una poesia che, per la sua ricchezza, potrebbe persino diventare un film!….: il linguaggio è quello dell’oriente, ma i contenuti sono cristiani. Come dice Elena: “Ho ricondotto l’oriente all’occidente”. Lei che, da giovanissima, era stata attratta dalla mistica orientale, poi ne prese le distanze e rinnegò quel periodo. La vita non va verso il nulla e non è frutto del caso, ma va verso l’incontro definitivo con Dio che è Padre! E la storia è il luogo delle nostre scelte, della nostra responsabilità per il bene o per il male, per la libertà o per la schiavitù: il “risveglio alla storia” (come dice Elena) avvenne proprio l’8 settembre 1943, quando Elena vide, nella stazione di Chiavari, una vecchietta scagliarsi contro due soldati SS chiedendo conto dei soldati italiani feriti che erano ricoverati nelle colonie di Chiavari. Il coraggio di quella anziana donna la richiamò all’esigenza di dover fare la propria parte e di prendere posizione. Elena, sfollata a Bertigaro, sulle alture di Chiavari, fu staffetta nella sesta zona operativa comandata dal primo partigiano d’Italia Aldo Gastaldi “Bisagno”). 

Ci puoi parlare delle «Stanze per Rinaldo Simonetti, "Cucciolo"»?
Rinaldo Simonetti (ragazzo fucilato per la libertà nei boschi di Calvari dove era nato pochi anni prima). Scrisse a suo padre e a sua madre: «Vendicheranno il mio nome». A me è toccato. Io non l’ho conosciuto. (Questa poesia è forse fra le più alte della resistenza. Ha fatto commuovere infinite volte le tante persone che l’hanno letta (io ancora non riesco a leggerla senza piangere: e non so quante volte l’ho letta! Eppure….). Ugo Gregoretti, in occasione di una sua visita a Chiavari, la lesse ad una conferenza e, ad un certo punto, gli venne un nodo alla gola e dovette fermarsi un po’ prima di proseguire (ero presente anche io)).

Che cos'è il tempo di Dio? Quando arriva? 
Arriva per ognuno quando il Signore vuole. Mio padre mi portava in Chiesa e mi indicava la Via Crucis. E io piangevo.

Come vedi tu il panorama della poesia, dell'arte e della letteratura contemporanee?
Senza Dio.

Che cosa diresti ad uno studente che oggi volesse intraprendere la strada delle lettere, della poesia e della scrittura in una società e in una cultura in cui l'orizzonte economico sembra dominare ed escludere le altre prospettive?
Quello che disse a me mio padre: «Povera figlia mia!».

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