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I monasteri di ieri e di oggi: il modello della decrescita felice

Monasteri e decrescita felice

@DR

Emanuele D'Onofrio - Aleteia Team - pubblicato il 21/01/14

Maurizio Pallante riscopre nello stile di vita di monache e monaci le linee guida per sviluppare una nuova economia dell’autosufficienza e della reciprocità

Sono tanti, ormai, coloro che si sono incamminati sulla via della decrescita felice. La crisi ha stroncato speranze ed aspettative, disvelando sotto il manto della ricerca del massimo profitto larghissime sacche di povertà, economica ed umana. Maurizio Pallante si è fatto portavoce di questo allarme da anni, e da anni indica la via alternativa nel perseguimento di quella che ha definito “decrescita felice”. Da semplice filosofia di vita, la decrescita è da tempo diventato un movimento, al quale hanno aderito un migliaio di soci in tutta Italia, la gran parte di questi sotto i 30 anni.

Nella sua ultima fatica letteraria, Monasteri del terzo millennio (Lindau) Maurizio Pallante ha rivolto il suo sguardo ai monasteri, alla loro economia e al loro modello di relazioni umane, per ritrovare le radici di quello stile di vita che si sta diffondendo nelle tante comunità laiche in via di formazione. Pallante ha rilasciato a noi di Aleteia alcune anticipazioni del suo libro.

Qual è il legame tra i monasteri e la teoria della decrescita felice?

Pallante: Ci sono due aspetti. Uno è la ricerca dell’autosufficienza, alimentare ed energetica soprattutto. E quindi una riduzione della mercificazione, una riduzione della globalizzazione, della dipendenza dal mercato mondiale per quanto riguarda alimentazione ed energia. Un’autosufficienza che non è chiusura in se stessi – infatti io parlo di penisole, non di isole – perché se si ricerca l’autosufficienza alimentare ed energetica per invertire la tendenza all’esaurimento delle risorse, ai cambiamenti climatici e così via, non c’è nessuno che si può salvare individualmente. Cioè, se viene un’alluvione, o come è successo a noi l’anno scorso una grandinata con dei chicchi grandi come delle uova, colpisce il tetto sia di chi si è comportato bene nei confronti dell’ambiente, sia di chi ha avuto un atteggiamento dissipativo. Per cui al di là degli aspetti che possono essere di apertura e generosità nei confronti degli altri, chi fa la scelta di ridurre la propria impronta ecologica ed avere un atteggiamento responsabile da un punto di vista ambientale non può rinchiudersi in se stesso, deve fare in modo che ci sia una relazione con l’esterno perché la sua scelta deve essere un esempio replicabile in altre situazioni.

E per quanto riguarda il secondo aspetto?

Pallante: Si tratta della capacità di instaurare dei rapporti tra le persone che non siano esclusivamente mercificati, ma siano basati su quella che alcuni antropologici francesi chiamano “economia del dono”, la reciprocità, gli scambi basati sulla solidarietà e non sull’assoluta mercificazione del tutto. Ecco questi due aspetti della vita monastica possono oggi dare delle indicazioni non per recuperare una scelta fatta in passato, ma per affrontare i problemi dell’oggi e per guardare al futuro.

Le comunità monastiche di oggi sono un esempio di autosufficienza come lo erano un tempo?

Pallante: Certo, ma il mio discorso non è un discorso religioso. Quando parlo di monasteri del terzo millennio parlo anche di “monasteri laici”. Cioè parlo di realtà in cui non è necessaria la dimensione della fede. Certo, è necessaria la dimensione della spiritualità, questo è indubbio. Ma la spiritualità per alcuni può essere per alcuni la fede, per altri può essere solo una capacità di relazionarsi con gli altri sulla base di criteri non mercantili. Nell’ultimo capitolo del libro io racconto di un’esperienza che si sta costruendo vicino a Parma, a Vicofertile. Un grande imprenditore agricolo ha messo una parte del proprio terreno per costruire un insediamento umano di 200 persone, 60 famiglie, ognuna nella sua casetta, case costruite in materiali completamente riciclabili, che non hanno bisogno di energia, che hanno ciascuna un proprio orto dove poter fare autoproduzione, che comunque possono acquistare i prodotti dell’azienda agricola, e così via. Questo io lo interpreto come uno dei monasteri del terzo millennio. Ma per esempio a me è capitato di vedere nel monastero della Madonna del Sasso, vicino a Firenze, una comunità monastica legata a Padre Barsotti, in cui i frati hanno un loro orto e gestiscono almeno in parte la loro alimentazione, e poi fanno dell’ospitalità nei confronti dell’esterno. E frati dello stesso ordine, di un’altra comunità, sono interessati a potenziare le fonti rinnovabili in ottica di autosufficienza energetica. La tendenza dunque è quella di una riduzione della mercificazione sia nella soddisfazione dei bisogni essenziali delle persone, sia dei rapporti umani, e la riscoperta della spiritualità e della contemplazione.

Cosa diventa il lavoro in queste realtà?

Pallante: Se il lavoro non è più finalizzato alla crescita del prodotto interno lordo, cioè, se il fare non è più finalizzato a fare sempre di più, e se il lavoro torna ad essere un fare bene, il fare bene consente di contemplare. Qui c’è la reinterpretazione dell’ora et labora, in cui questi non sono due momenti distinti della giornata, ma sono due facce della stessa medaglia, perché se io non faccio bene, se il mio labora non è finalizzato qualitativamente, io non posso contemplare quello che faccio. L’economia finalizzata alla crescita economica del PIL e della mercificazione, perché il PIL misura le merci e non i beni, comporta un peggioramento delle condizioni del mondo. Una discarica, una centrale termoelettrica, Taranto, sono una logica conseguenza di un fare finalizzato a fare sempre di più, mentre il fare bene dà origine ad un miglioramento del mondo, che significa completare l’opera della Creazione divina. Nella Genesi c’è scritto che al termine di ogni giorno Dio si fermava a guardare quello che aveva fatto e vedeva che era “cosa buona”. E l’ultimo giorno, quando crea l’uomo a sua immagine e somiglianza, gli dà il compito di completare l’opera della Creazione, in quanto unico essere vivente in grado di lavorare. E qui mi riallaccio ad un’interpretazione che è stata abbozzata dall’economista Claudio Napoleoni, in cui l’“immagine” e la “somiglianza” indicano due caratteristiche diverse, non sono una ridondanza verbale, perché il concetto dell’immagine indica un livello di identificazione molto più profondo del concetto di verosimiglianza. Un padre assomiglia al figlio, ma sono due persone autonome, mentre l’immagine è quella che mi rimanda lo specchio. Allora, gli uomini, gli unici in grado di lavorare – ricordiamo che l’uomo viene creato perché custodisca con il suo lavoro il giardino dell’Eden – sono simili a Dio nel momento del lavoro, perché Dio crea dal nulla, gli esseri umani fanno trasformando le cose, adoperano materie prime che trasformano. Qui c’è la “verosimiglianza”, mentre “l’immagine” si ha quando possono contemplare quello che hanno fatto – come Dio che contempla il suo lavoro – ma possono contemplare soltanto se hanno fatto bene, cioè se il lavoro non è finalizzato a fare sempre di più, ma a migliorare la qualità del mondo.

Lei vede questa cultura diffondersi dal monastero alla società civile?

Pallante: Questo massaggio è maturo oggi. Perché le persone che stanno facendo la scelta di essere il più indipendenti possibile dal mercato mondiale e di ricostruire delle relazioni positive con gli altri e non soltanto mercificate, è un numero di persone che cresce. Trova diverse forme, dai gruppi di acquisto solidale in cui si reinserisce la dimensione relazionale anche nel rapporto mercantile, cioè i gruppi di acquisto solidale conoscono direttamente i produttori da cui comprano le cose, e si creano dei rapporti solidali non soltanto tra il produttore e i consumatori, ma anche tra i consumatori in sé stessi. Ma esistono anche situazioni più ampie, come le grandi aziende che hanno deciso di fare un bilancio del bene comune accanto al bilancio economico. Ma questo bilancio economico può essere fatto non a danno dell’ambiente, né in maniera speculativa a danno dei consumatori. E queste aziende stanno avendo un successo superiore a quanto si immagina. Nell’agrovillaggio di cui parlo nel libro, un elemento fondamentale è la scuola della decrescita. Lì dentro si fa una scuola rivolta agli imprenditori affinché diventino imprenditori responsabili, rivolta agli acquirenti – impropriamente chiamati consumatori – affinché diventino acquirenti consapevoli, che quando comprano qualche cosa si domandano come è stato prodotto, da chi, se le persone che l’hanno prodotto sono state pagate nella maniera giusta, se le tecnologie che sono state usate riducono l’impatto ambientale, non producono rifiuti ecc. Ed infine, rivolta agli amministratori pubblici. Perché esistono, nel discredito totale della politica degli amministratori locali che fanno il loro bene con coscienza, ma molte volte non sono informati sulle tecnologie. Ecco perché una scuola è fondamentale anche per loro.

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