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Quale uso della memoria?

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Gariwo - pubblicato il 17/01/14

Il ricordo del genocidio degli ebrei sotto il nazifascismo è qualcosa che va nutrito di comprensione e non deve essere vuoto rituale

“Ma non credo che sia l’eccesso di memoria a sollecitare una reazione opposta a quella che volevamo, quanto piuttosto il fatto che abbiamo sempre meno chiaro l’uso che vogliamo fare di questa memoria, stretti come siamo fra l’esigenza di difenderci dal negazionismo e la paura di toccare immagini e rituali consolidati. Ma così facendo rischiamo di trasformare la memoria in culto e il contenuto della memoria in dogma”. Così scrive Anna Foa, storica e docente dell’Università La Sapienza di Roma, nell’editoriale pubblicato da Gariwo il 12 gennaio. 

Alla vigilia della Giornata della Memoria, un’altra voce del mondo ebraico ha fornito un contributo controcorrente alla riflessione su questa ricorrenza. La scrittrice Elena Lowenthal, infatti, lancia un sasso nello stagno con il pamphlet Contro il Giorno della Memoria. Una riflessione sul rito del ricordo, la retorica della commemorazione, la condivisione del passato, in uscita oggi per Add editore.

“Per te che sei nata dopo, cioè per me – si legge in un’anticipazione pubblicata su La Stampa– il vero sogno sarebbe poterla dimenticare, questa storia. Rimuovere la Shoah dall’universo della mia coscienza e dal mio inconscio, soprattutto. Smettere, ad esempio, di sentirmi l’intestino in gola ogni volta che vedo e sento passare un treno merci con il suo sferragliare pesante, la lentezza del moto e del suono che assorda, la parete impenetrabile dei vagoni”. 

La Lowenthal non chiede di dimenticare i morti, ma la storia in sé, le leggi razziali, le persecuzioni, i campi di sterminio, le camere a gas. Per questo, provocatoriamente, scrive addirittura di “rinnegare” il Giorno della Memoria. “Viviamo in un tempo che celebra la memoria come valore e l’oblio come difetto – prosegue l’autrice –  Ricordare è un bene di per sé. Siamo portati a considerare questo come un assunto indiscutibile. Ma forse non è così. Forse anche le società hanno bisogno di dimenticare – le ferite, i torti perpetrati e quelli subiti. Come l’individuo, che per riprendersi deve rimuovere i traumi almeno in parte, almeno per un certo tempo. Al di là di questo, il GdM sta dimostrando, purtroppo, che la memoria non porta necessariamente un segno positivo, non è utile o benefica di per sé. Può rivoltarsi e diventare velenosa. Scatenare il peggio invece di una presa di coscienza. Come aiuta molti a capire, come fa opera istruttiva, così il GdM è diventato il pretesto per sfogare il peggio, per riaccanirsi contro quelle vittime, per dimostrare che sapere non rende necessariamente migliori”.

Quale significato dare dunque al Giorno della Memoria? “Il GdM – spiega la Lowenthal – riguarda tutti, fuorché gli ebrei che in questa storia hanno messo i morti. Che non l’hanno ispirata, ideata, costruita e messa in atto. Che non l’hanno neanche vista, in fondo: ci sono precipitati dentro. Era buio. Gli altri sì che hanno visto. È questo sguardo che dovrebbe celebrarsi nel GdM. Allora nel presente, oggi verso il passato”.

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