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Il Presepio vivente a Mohespur in Bangladesh

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padre Piero Gheddo - Il blog di padre Piero Gheddo - pubblicato il 17/01/14

In un paese quasi totalmente islamico, la consolazione di accogliere nell’ovile di Cristo i popoli tribali e animisti

Padre Paolo Ciceri è in vacanza a Milano e in febbraio riparte per il Bangladesh, dov’è missionario dal 1973. Gli chiedo se è contento di ritornare in un paese fra i più poveri del mondo e risponde: “Voi in Italia vivete in un’atmosfera di pessimismo anche ecclesiale che mi stupisce. Noi, in un paese quasi totalmente islamico, abbiamo la consolazione di accogliere nell’ovile di Cristo i popoli tribali e animisti, che ci danno tante consolazioni”. E racconta:

Nel Natale dell’anno scorso 2012 ero nella parrocchia di Mohespur, iniziata da padre Gregorio Schiavi (che è ancora molto ricordato) e oggi continuata dal padre Pier Francesco Corti, giovane parroco, e dal sottoscritto, che a 71 anni può ancora essere utile. Nella notte stellata della vigilia di Natale 2012 hanno partecipato alla Messa molti cattolici che venivano anche dai villaggi e avrebbero dormito nella chiesa e negli edifici della missione. Il Natale è una delle feste più sentite dai cristiani, contenti di trovarsi insieme perché sono una piccola minoranza nella società bengalese e soffrono di essere marginali e mal sopportati dal l’etnia dominante.

Al termine della Messa, nella piazza davanti alla chiesa (in dicembre il clima è fresco ma si sta bene) c’è stata la celebrazione del Presepio vivente. Ragazzi e ragazze, bambini e bambine della scuola hanno rappresentato il Natale: Maria col bambino Gesù, San Giuseppe, i pastori che entrano in scena, i Re Magi, gli angioletti con le piccole ali che svolazzano intorno, la mucca e il bue, alcune pecore e i cani che accompagnano i pastori: tutto con canti bellissimi (i santal cantano bene) e dialoghi dei protagonisti. Insomma, non mancava niente. La gente si immedesimava così tanto, che piangeva. Io mi sono commosso ma non piangevo, quei pianti mi sembravano infantili, esagerati.

Al termine di tutto, la capo-villaggio femminile, moglie del capo villaggio, che con altre maestre aveva preparato il teatro, mi avvicina e mi dice:

– “Padre, tu sei l’unico che non piange. Come mai?”. Cosa dovevo dire? Era la semplice verità. Allora le ho chiesto:

– E perchè voi piangete? – La sua risposta è stata tutt’altro che emotiva e superficiale, mi ha fulminato:

– Padre, lo sai anche tu perchè piangiamo. Tutti ci dicono che noi santal siamo materiale di scarto dei bengalesi, ci dicono che siamo i figli di una scrofa. Ebbene, Gesù è nato qui fra noi, nel nostro villaggio. Lui è il Figlio di Dio ed è venuto a salvarci, a darci la dignità di essere anche noi figli di Dio e una speranza di riscatto. Non solo, ma è diventato uno di noi, nostro figlio e fratello (ha usato una parola santal – “perahor” – che significa parente stretto, con il nostro sangue), Come si fa a non piangere? Adesso, belli o brutti che siamo, santi o peccatori, non può più lasciarci: sarà sempre con noi, nella gioia e nel dolore, nelle fatiche e nelle umiliazioni. E’ l’unica cosa bella che abbiamo nella vita! Anche noi santal, “upongiati” (“gente che non vale niente”), siamo figli di Dio, eredi del Paradiso.

A questo punto mi sono commosso anch’io, mi sono spuntate alcune lacrime. Queste cose avrei dovuto dirle io, invece me le ha dette questa donna intelligente e importante perché moglie del capo villaggio. L’ho ringraziata:

– Cara “Buri” (vecchia saggia, che per una giovane è un titolo onorevole), mi vergogno a dirlo. Ma tu hai compreso il mistero del Natale meglio di me. Ti ringrazio per quanto mi hai detto.

Si è verificato ancora una volta questo fatto, che ho già sperimentato. Noi che leggiamo il Vangelo da molti anni, non ci commuove più. Invece, per i neofiti che vengono dal paganesimo, questa è davvero la Buona Notizia che attendono da sempre, li solleva nello spirito, dà loro il senso della propria dignità di persone create da Dio e, a poco a poco, i loro figli e nipoti studiano, crescono e non raramente superano anche i musulmani nella società bengalese. Come già sta succedendo. Qui in Italia, quando mi chiedono perché vado così lontano ad annunziare Gesù, racconto questo e altri fatti simili, vedo che sono convincenti e ringrazio il Signore di avermi chiamato ad andare verso le periferie dell’umanità, per portare la Buona Notizia ai popoli ultimi e marginali.

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