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Cosa possono e non possono fare i papi?

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George Weigel - Aleteia Team - pubblicato il 15/01/14

I pontefici non sono come i presidenti o i governanti, e la dottrina non è come la politica

Un mio buon amico si riferisce abitualmente al Wall Street Journal come al suo “quotidiano cattolico preferito” – un'idea non priva di fondamento, vista l'apertura delle pagine del Journal alle argomentazioni cattoliche su varie questioni. Il 2 gennaio, però, descrivendo perché papa Francesco è stato ritenuto uno dei “People to Watch” del 2014 ha affermato:

“Dopo aver suscitato aspettative per aver modificato l'approccio all'omosessualità, al divorzio, all'ambiente e ai doveri sociali nei confronti dei poveri, ci si aspetta che il pontefice intraprenda anche una riforma burocratica in Vaticano, così come la possibile espansione del ruolo delle donne nella Chiesa”.

A mio avviso, in questa frase ci sono quattro errori, più un grave interpretazione errata dei “ruoli” ecclesiastici.

Anche se è molto difficile da cogliere per coloro che guardano al cattolicesimo con lenti politiche, i papi non sono come i presidenti o i governanti, e la dottrina non è come la politica, il che vuol dire che il cambiamento di “amministrazione” papale non significa – e non può significare – un cambiamento dei “punti di vista” cattolici. La dottrina per come la intende la Chiesa non è una questione di “punto di vista” di qualcuno, ma di interpretazioni stabilite della realtà delle cose.

E i papi non sono liberi rappresentanti che governano a naso, se mi passate la definizione. Prima del completamento della costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II sulla Chiesa, papa Paolo VI propose di aggiungere a quel documento fondamentale una frase in cui si affermava che il papa rende conto solo al Signore – un tentativo, sospetto, di difendere l'autorità e la libertà d'azione del papa da potenziali invasioni civili o ecclesiastiche. La Commissione Teologica del Concilio, però, respinse l'emendamento proposto da Paolo VI, indicando che il romano pontefice è legato alla Rivelazione stessa, alla struttura fondamentale della Chiesa, ai sacramenti, alle definizioni dei Concili precedenti e ad altri obblighi troppo numerosi per essere menzionati.

Questi altri obblighi includono il fatto di onorare la realtà delle cose costruite nel mondo e in noi. In una conferenza accademica di alcuni anni fa, un famoso filosofo cattolico ha affermato (forse in modo iperbolico) che “se il papa dicesse ‘2+2 = 5’ gli crederei”. Un filosofo cattolico ancor più celebre ha dato la risposta corretta, e ben più cattolica: “Se il Santo Padre dicesse ‘2+2 = 5’ direi pubblicamente 'Forse ho frainteso il significato di ciò che ha detto Sua Santità'. In privato, pregherei per la sua sanità mentale”.

I papi, in altre parole, non sono figure autoritarie, che insegnano ciò che vogliono e come vogliono. Il papa è il guardiano di una tradizione autorevole, di cui egli è il servo, non il padrone. Papa Francesco lo sa bene come chiunque, e lo ha sottolineato ripetendo di essere un “figlio della Chiesa” che crede e insegna ciò che la Chiesa crede e insegna.

L'idea che questo pontificato cambierà l'insegnamento cattolico sulla moralità degli atti omosessuali o sugli effetti della comunione con la Chiesa dei divorziati risposati è quindi un'illusione, anche se la Chiesa può certamente sviluppare il proprio approccio pastorale verso gli omosessuali e i divorziati. Come per l'ambiente e per i poveri, la dottrina sociale cattolica insegna da tempo che siamo custodi della creazione e che gli ultimi dei fratelli del Signore hanno una rivendicazione morale nei confronti della nostra solidarietà e della nostra carità; la dottrina sociale lascia aperto il dibattito sui mezzi pratici specifici con cui le persone di buona volontà, e i governi, esercitano la custodia, la solidarietà e la carità in questione.

E “il ruolo delle donne nella Chiesa”? Varie strutture ecclesiali trarrebbero senz'altro beneficio da un più ampio range di talenti (indipendentemente dal genere) rispetto al gruppo ristretto da cui emergono in genere i leader ecclesiali. In un'intervista rilasciata prima di Natale, papa Francesco ha sottolineato chiaramente il fatto che identificare la leadership nella Chiesa con l'ordinazione è sia una forma di clericalismo che un altro modo di strumentalizzare le donne cattoliche. Occupare una scrivania vaticana, stava suggerendo, non è il culmine del discepolato.

Come per la riforma della Curia: Oremus, come si diceva.

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