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Quei nuovi patroni contro i mali di oggi

Vinonuovo.it - pubblicato il 13/01/14

Il vescovo che difendeva le vittime di abusi sessuali. Ma si potrebbero aggiungere anche la vittima di stalking e il patrono dei cervelli in fugadi Gerolamo Fazzini

"Patrono" è parola che sa di vecchio. Eppure a me pare che sia bello, da credenti, pensare ai santi patroni come a uomini e donne di Dio che hanno uno sguardo particolare per determinate categorie di persone. Una via di mezzo tra "sindacalisti del cielo" e "mediatori" specializzati (senza offese, s'intende…).
Se ne parlo qui, è perché in questi giorni è uscita la notizia secondo cui la Chiesa cattolica olandese vorrebbe elevare a patrono delle vittime degli abusi sessuali il vescovo Franz Schraven, bruciato vivo dai giapponesi nel 1937 in Cina, perché si era opposto allo stupro di 200 ragazzine. Ovviamente prima occorre che vada in porto la beatificazione del prelato, tuttora in corso.

La storia di questo vescovo, che "Avvenire" ha proposto nei giorni scorsi, è molto interessante. Franz Schraven nell'ottobre del 1937 era vescovo di Zhengding, 260 km a sud di Pechino. I giapponesi avevano invaso la Cina, rendendosi responsabili di massacri e stupri di massa (il più tristemente famoso è quello di Nanchino del '37). Cinquemila abitanti di Zhengding si rifugiano in vescovado. I soldati giapponesi chiedono a Schraven di consegnare loro 200 ragazze cinesi per farne "donne di conforto", ossia schiave sessuali in bordelli per ufficiali. Ma lui oppone un severo rifiuto: «Non avrete mai quello che chiedete, piuttosto muoio». Per tutta risposta i giapponesi tornano nel vescovado, portando via Schraven e altri 8 sacerdoti: li cospargono di benzina e li bruciano vivi.

Franz Wiertz, che ha curato la richiesta di beatificazione di monsignor Schraven, nei documenti inviati in Vaticano, ha suggerito che sia considerato «come un santo patrono per le vittime di abusi sessuali».
Purtroppo la piaga degli abusi sessuali è terribilmente d'attualità, così come lo stalking, ovvero l'attenzione ossessiva per una persona anche contro la sua volontà: un'attenzione che spesso, quando non ricambiata, sfocia nella violenza.

Santa Scorese è una giovane donna di Bari, uccisa il 15 marzo 1991 proprio dall'uomo che da tempo la stava molestando. È una figura attualissima, non solo per la tragica modalità della sua morte, ma anche per la freschezza e la voglia di vivere che trasudano dai suoi scritti. Poche settimana fa è uscito un nuovo libro su di lei. Niente di più lontano dall'oleografia stantia della martire-masochista: Santa è una che amava la vita: per un po' ha pure sognato il matrimonio e un uomo tutto per sé. Estroversa e dinamica, serena nelle relazioni e capace di iniziativa (così la ritraggono i professori al termine del liceo Classico), si iscrive con entusiasmo a Medicina. È una ragazza del suo tempo: ama la musica, i libri, si appassiona nelle discussioni con gli amici e trova tempo per dedicarsi al volontariato con la Croce rossa.

Il suo percorso spirituale è intenso: cresciuta in una solida famiglia cristiana, frequenta la parrocchia del Redentore a Bari. Conosce Comunione e liberazione, quindi l'esperienza di Madre Teresa attraverso le sue suore di Bari; si avvicina poi al movimento dei Focolari frequentando regolarmente gli incontri. Nel 1983 si consacra alla Madonna e di lì ad alcuni anni, approfondisce la spiritualità delle Missionarie dell'Immacolata-Padre Kolbe. Ma quando decide di entrare nella congregazione sperimenta la resistenza dei genitori.

Il 6 febbraio 1989 subisce un'aggressione da parte del giovane che poi l'ucciderà. Segue un periodo di prova e di solitudine. La famiglia denuncia la situazione ma senza ottenere risultati. Due anni dopo viene uccisa. La sua morte suscita vasto cordoglio e la sua fama di santità si diffonde in breve, tanto che nel 1999 viene introdotta la causa di beatificazione.
Leggere alcuni suoi scritti è come sfogliare certe cronache drammatiche di oggi: «Non posso uscire da sola perché c'è un uomo che mi sta dietro da giugno e qualche settimana fa mi ha aggredita. Non so bene se per violentarmi o uccidermi. È schizofrenico e la madre non vuol farlo curare. Io non ho niente per fermarlo, pur avendo fatto diffide al Commissariato. Non posso camminare da sola per strada perché lui arriva dovunque. Ho solo la mia fede e il mio diario. Non so come e quando finirà questa storia ma ti posso assicurare che è un vero incubo!».

Ecco perché, se ci sarà da scegliere una patrona delle vittime di stalking, Santa è il pole position.
Cambiamo decisamente genere. Non so se rappresenti una vera e propria "categoria sociale", ma quello della madre-cattolica-di-adolescente-ribelle-alla-fede certamente è uno dei tipi antropologici più diffusi all'interno delle nostre comunità cristiane. Ebbene, dopo aver letto un mirabile discorso di Papa Francesco non molto tempo fa su sant'Agostino e sua madre, santa Monica, candido decisamente quest'ultima al ruolo citato poc'anzi. Il ritratto che Bergoglio fa di Monica, della sua premura e dell'ansia materna per la fede del figlio è davvero mirabile.

Da ultimo. Si parla spesso di "cervelli in fuga". Ebbene, perché non si potrebbe incoronare il gesuita Matteo Ricci, imponente figura di missionario-intellettuale? Un anno e mezzo fa, come scrivevo su MissiOnLine fu l'allora sottosegretario agli esteri Staffan de Mistura, a dire che «Ricci dovrebbe rappresentare un faro per quanti decidono di lasciare il nostro Paese per motivi di studio o di lavoro». Aggiungeva: «Rivolgendomi a 150 giovani espatriati italiani di successo ho immaginato in tanti di loro dei piccoli-grandi Matteo Ricci». Del grande gesuita marchigiano De Mistura ha detto che era «un alfiere del dialogo in grado di penetrare nella mentalità di popoli lontani, con la forza della cultura e del rispetto del prossimo, proprio come molti italiani che intraprendono carriere lavorative nei quattro angoli del globo».

Ora, visto che abbiamo già una patrona dei migranti in santa Francesca Cabrini, perché non si potrebbe assegnare a Matteo Ricci il ruolo di patrono dei "cervelli in fuga"?

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