L'“opzione preferenziale per i poveri” della Chiesa sta nel contrappeso al privilegio che il nostro mondo decadente dà ai ricchi e ai potenti
di Mark Gordon
Ho un’amica di nome Trish che spesso mi ferma dopo la Messa per pormi domande su cose che ritiene sconcertanti relativamente alla Scrittura o agli insegnamenti cattolici. Le sue domande spaziano dall’ordinario – “Perché, se Maria è rimasta vergine, la Scrittura si riferisce ai fratelli e alle sorelle di Gesù?” – al sublime – “Come può essere che Gesù fosse sia umano che divino?” Non sono sicuro del motivo per il quale Trish si rivolga a me, ma cerco sempre di ricompensare la sua curiosità fornendo pazientemente risposte più esaurienti possibile.
Qualche settimana fa, a seguito di una serie particolarmente forte di letture domenicali, Trish mi si è avvicinata con questa domanda: “Dio ama i poveri più di quanto ami i ricchi?”. A prima vista sembrerebbe di sì; nella Scrittura ci sono quasi 3.000 versetti che riguardano la giustizia per gli umili, gli oppressi e gli stranieri. Quasi 400 di questi versetti si riferiscono specificatamente ai “poveri”. Nel Deuteronomio (15:11), il Signore ordina al suo popolo “Apri generosamente la mano al tuo fratello povero e bisognoso nel tuo paese”. Il salmista dichiara “Questo povero grida e il Signore lo ascolta” (Salmo 34) ed esorta Dio a difendere “il debole e l’orfano” e a fare giustizia “al misero e al povero” (Salmo 82). L’autore dei Proverbi afferma che “chi opprime il povero offende il suo creatore, chi ha pietà del misero lo onora” (Proverbi 14), e che “il giusto si prende a cuore la causa dei miseri, ma l’empio non intende ragione” (Proverbi 29).
Quando Nostra Signora riceve l’annuncio dell’angelo Gabriele sulla sua imminente maternità, dichiara che Dio “ha rovesciato i potenti dai loro troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”. Nel momento in cui Gesù ha inaugurato il suo ministero pubblico, ha annunciato “Lo Spirito del Signore, l’Eterno, è su di me, perché l’Eterno mi ha unto per recare una buona novella agli umili”. In seguito, il Signore dice a un uomo ricco di vendere tutto ciò che ha e di dare i proventi ai poveri. Quando l’uomo se ne va, Gesù dichiara che “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”. Ancora dopo, il Signore fa della preoccupazione personale dei poveri un test per meritare il Paradiso (Mt 25). Nella sua Lettera, Giacomo riserva le parole più aspre ai ricchi: “E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite” (Giacomo 5).
Questo tema è stato raccolto dai Padri della Chiesa e ha riecheggiato nei secoli. Sant’Agostino, amplificando l’autoidentificazione di Gesù con i poveri in Matteo 25, scrive: “Ricco e povero perciò il Cristo; come Dio, ricco, come uomo, povero. E infatti lo stesso uomo già ricco ascese al cielo, siede alla destra del Padre, eppure quaggiù tuttora povero soffre la fame, la sete, è nudo”. Uno dei primi documenti cristiani, la Didaché, comanda ai neoconvertiti di condividere tutto con il fratello e di non dire “È proprietà privata”. “Se condividete tra voi i beni eterni, a più forte ragione dovete tra voi condividere i beni che periscono”. Secondo San Giovanni Crisostomo, “non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro”. San Tommaso d’Aquino credeva che “tutto ciò che l’uomo possiede di superfluo è dovuto per diritto naturale al sostentamento del povero. Lo stesso Ambrogio così afferma nel Decretum Gratiani: ‘Il pane che negate è dell’affamato; le vesti che ponete via sono dell’ignudo; e il denaro che seppellite è redenzione e libertà del povero’”.