Sapienti di Babilonia, discepoli di Zarathustra, membri della comunità giudaica degli Esseni o figure simboliche?Sono stati un soggetto amatissimo dall’arte cristiana: basterebbe evocare il Trittico dell’Epifania di Bosch conservato al Prado di Madrid, o la deliziosa storia fantastica che Michel Tournier nel 1980 ha intessuto nel suo romanzo Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Ma dal punto di vista storico-critico i Magi rimangono un enigma. La rilettura religiosa della loro figura è, a mio avviso, molto forte, tanto che l’eventuale nucleo storico, piuttosto esile (erano membri di una carovana di mercanti?), viene trasfigurato ed esaltato dall’evangelista che, tra l’altro, più che in una grotta, sembra introdurli in una sala del trono come una delegazione straniera in visita ufficiale a Cristo.
Il nostro interlocutore ha impostato il discorso in modo corretto. Le figure dei Magi, tanto care alla storia dell’arte cristiana, possono essere assunte a modello di un fenomeno che spesso si ripete nella storia della cristianità, fin dalle sue origini. Al testo evangelico, intenso ma sobrio, si accostano elementi popolari, frutto in alcuni casi di interpretazioni allegoriche, ossia connesse ad altri dati biblici affini o ritenuti analoghi, in altri casi risultato di tradizioni folcloriche e persino leggendarie.
Il significato di base del racconto di Matteo (2,1-12) è, comunque, nitido nel suo insieme. Alcuni personaggi stranieri (provenienti da un generico “oriente”), forse membri di una delle tante carovane commerciali, incontrano la famiglia di Gesù. Due sono le guide simboliche che li conducono al “Bambino e sua madre”: il segno cosmico della stella (potremmo parlare di “Rivelazione naturale”, ma la stella nella Bibbia è anche un simbolo messianico, come si dice in Apocalisse 22,16) e la stessa Rivelazione biblica, offerta proprio dai sacerdoti di Gerusalemme che citano il profeta Michea in un passo messianico riguardante Betlemme che – non lo si dimentichi – era anche la patria di Davide (Mic 5,1).
I Magi, allora, incarnano la prospettiva universalistica della salvezza che lo stesso Gesù affermerà nella sua predicazione pubblica: “Molti verranno da oriente e da occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre” (Mt 8,11-12). E’ infatti evidente l’incomprensione dei sacerdoti gerosolimitani e l’aggressività di Erode nei confronti del Bambino. Su questa base teologica dei tre doni, il numero dei Magi si è orientato verso il tre; sulla base del Salmo 72, che afferma la prosternazione dei sovrani davanti al re-Messia, essi sono diventati re e per di più appartenenti alle cosiddette tre razze; bianca, gialla e nera.
Si sono escogitati nomi vari, con prevalenza di Gaspare, Baldassarre e Melchiorre; sono stati identificati come sapienti di Babilonia oppure come discepoli di Zarathustra e quindi persiani, e da alcuni studiosi persino come membri della comunità giudaica degli Esseni, diffusa anche in Siria e non solo a Qumran sulle rive del Mar Morto; molteplici eventi miracolosi accompagnano il loro ritorno in patria, come è attestato da alcuni Vangeli apocrifi. E’ a questo punto che entrano in scena anche le loro reliquie, attraverso una serie di racconti che mescolano memorie locali e leggende. Nel Milione (cap. 30) Marco Polo ricorda che le tre tombe dei Magi erano presenti in una città persiana, sottolineando che le tre salme sono complete con capelli e barba (“sonvi ancora tutti interi con barba e co’ capegli”).
Ma un’altra tradizione fa risalire la vicenda delle reliquie dei Magi a Elena, la madre dell’imperatore Costantino essa le avrebbe trasferite dall’Oriente a Costantinopoli. Da quella città sant’Eustorgio, vescovo di Milano nella metà del IV secolo, le avrebbe traslate nella sua sede lombarda. Esse furono collocate nella basilica da lui iniziata e cha da lui prese nome. In questa chiesa le reliquie rimasero fino al 1162, allorché Federico Barbarossa, conquistata Milano, le fece trasferire nella cattedrale di Colonia, ove sono tuttora custodite nel Dreikönigenschrein, un reliquiario a forma di tempio in argento dorato con smalti e gemme, approntato da Nicolas de Verdun nel 1181. Nel 1904 il cardinal Ferrari ottenne che a Milano ritornassero piccoli frammenti di quelle reliquie, che rimangono ovviamente del tutto ipotetiche ma che sono il simbolo di una devozione antica e, soprattutto, il segno di un’esperienza spirituale di ricerca e di approdo alla fede. E’ ciò che ha illustrato col suo film Cammina cammina (1983) il regista Ermanno Olmi, pur con un esito finale meno positivo.
Sono stati un soggetto amatissimo dall’arte cristiana: basterebbe evocare il Trittico dell’Epifania di Bosch conservato al Prado di Madrid, o la deliziosa storia fantastica che Michel Tournier nel 1980 ha intessuto nel suo romanzo Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Ma dal punto di vista storico-critico i Magi rimangono un enigma. La rilettura religiosa della loro figura è, a mio avviso, molto forte, tanto che l’eventuale nucleo storico, piuttosto esile (erano membri di una carovana di mercanti?), viene trasfigurato ed esaltato dall’evangelista che, tra l’altro, più che in una grotta, sembra introdurli in una sala del trono come una delegazione straniera in visita ufficiale a Cristo.
[Tratto dal volume di Gianfranco Ravasi, “Questioni di fede. 150 risposte ai perché di chi crede e di chi non crede” (Mondadori)]