Una lettura attenta dell’omelia natalizia del Papa ci fa ricordare la bellezza della tenerezza di Dio, la commozione è amica del cristiano«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce». In questa frase del profeta Isaia (9,1) – ha detto Papa Francesco nella veglia natalizia – c'è tutta la verità del Natale, tutta la verità del cristianesimo, tutta la verità della storia umana. I cattolici praticanti sanno a memoria queste parole, perché le ascoltano ogni anno nella liturgia della Messa di mezzanotte. E si commuovono, perché associano le parole di Isaia al Natale.
Non c'è nulla di male nel commuoversi: al contrario. Criticando – lo aveva già fatto nell'intervista concessa ad Andrea Tornielli – certi spiriti forti che, prendendo a pretesto la durezza dei tempi, vorrebbero rubarci anche la gioia del Natale, nel messaggio «urbi et orbi» del 25 dicembre il Papa ci ha invitato a non resistere alla commozione, ma abbracciarla. «Lasciamo che il nostro cuore si commuova: non abbiamo paura di questo. Non abbiamo paura che il nostro cuore si commuova! Abbiamo bisogno che il nostro cuore si commuova. Lasciamolo riscaldare dalla tenerezza di Dio; abbiamo bisogno delle sue carezze. Le carezze di Dio non fanno ferite: le carezze di Dio ci danno pace e forza. Abbiamo bisogno delle sue carezze. Dio è grande nell’amore».
Per il cristiano la commozione non è un punto di arrivo: è il punto di partenza. Nella notte di Natale Francesco ha ricordato che «non è solo un fatto emotivo, sentimentale; ci commuove perché dice la realtà profonda di ciò che siamo: siamo popolo in cammino, e intorno a noi – e anche dentro di noi – ci sono tenebre e luce».
Tenebre e luce. Possiamo apprezzare il miracolo straordinario della «grande luce» solo se prendiamo sul serio le tenebre. «Lo spirito delle tenebre avvolge il mondo», ha ricordato il Papa con uno dei consueti riferimenti al diavolo. Certo, come ci ricorda la Prima Lettera di san Giovanni, «Dio è luce, e in lui non c’è tenebra alcuna» (1 Gv 1,5). Le tenebre – alla cui origine stanno il diavolo e il peccato – non sono in Dio: sono in noi. Già nella storia del popolo d'Israele, invitato da Dio a camminare nella luce, «si alternano momenti di luce e di tenebra, fedeltà e infedeltà, obbedienza e ribellione; momenti di popolo pellegrino e di popolo errante».
Vale anche per noi. «Anche nella nostra storia personale si alternano momenti luminosi e oscuri, luci e ombre. Se amiamo Dio e i fratelli, camminiamo nella luce, ma se il nostro cuore si chiude, se prevalgono in noi l’orgoglio, la menzogna, la ricerca del proprio interesse, allora scendono le tenebre dentro di noi e intorno a noi». Non dobbiamo cercare troppo lontano le tenebre. Sono intorno a noi e dentro di noi. «Chi odia suo fratello – scrive l’apostolo Giovanni – è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi» (1 Gv 2,11).
Poiché sono nel cuore degli uomini, le tenebre – ha insistito il Pontefice nel messaggio del 25 dicembre – si diffondono nel mondo, provocando guerre, traffici vergognosi come quelli degli esseri umani, dei bambini soldati «derubati della loro infanzia», dei migranti – Francesco ha citato la tragedia di Lampedusa -, odii e inimicizie fra popoli che sembrano invincibili come quelle fra israeliani e palestinesi. Il Papa ha citato la Siria, l'Iraq dove proprio a Natale altri trentacinque cristiani sono stati uccisi, ma anche le guerre dimenticate – «ma tu, o Signore, ha detto, non dimentichi nessuno» – nella Repubblica Centrafricana, nella Repubblica Democratica del Congo, nel Sud Sudan, oltre alle stragi di cristiani che continuano in Nigeria. L'appello del Papa fa riflettere. La Nuova Bussola Quotidiana dà regolarmente spazio alle stragi in Africa, in particolare attraverso gli articoli specialistici di Anna Bono. Continueremo a farlo: ma poche testate fanno altrettanto, e le guerre dimenticate spesso sono sanguinose proprio perché sono dimenticate, perché pochi nella comunità internazionale se ne occupano.
Nell'Angelus di Santo Stefano il Pontefice ha affermato che il ricordo dei martiri «è in piena sintonia col significato profondo del Natale. Nel martirio, infatti, la violenza è vinta dall’amore, la morte dalla vita. La Chiesa vede nel sacrificio dei martiri la loro “nascita al cielo” […]. Gesù trasforma la morte di quanti lo amano in aurora di vita nuova!». Il ricordo dei martiri «viene così, immediatamente, a dissolvere una falsa immagine del Natale: l’immagine fiabesca e sdolcinata, che nel Vangelo non esiste! La liturgia ci riporta al senso autentico dell’Incarnazione, collegando Betlemme al Calvario e ricordandoci che la salvezza divina implica la lotta al peccato, passa attraverso la porta stretta della Croce».
Le tenebre creano ancora oggi situazioni di martirio. Anche ai nostri giorni ci sono «cristiani che subiscono discriminazioni a causa della testimonianza resa a Cristo e al Vangelo. Siamo vicini a questi fratelli e sorelle che, come santo Stefano, vengono accusati ingiustamente e fatti oggetto di violenze di vario tipo. Sono sicuro che, purtroppo, sono più numerosi oggi che nei primi tempi della Chiesa. Ce ne sono tanti! Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o non è pienamente realizzata. Accade però anche in Paesi e ambienti che sulla carta tutelano la libertà e i diritti umani, ma dove di fatto i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni».
Sì, le tenebre sono spesse, sono diffuse, vanno prese sul serio. E tuttavia Natale ci dice che la luce è sempre più forte delle tenebre. Nell'omelia della Notte Santa, Francesco ci ha ricordato che il Bambino di Betlemme «è venuto per liberarci dalle tenebre e donarci la luce. In Lui è apparsa la grazia, la misericordia, la tenerezza del Padre: Gesù è l’Amore fattosi carne». Uno scettico potrebbe obiettare che ogni anno celebriamo il Natale, e ogni anno scopriamo che il regno delle tenebre è sempre più forte. Questo talora avviene, ha detto il Papa, perché non capiamo bene chi è quel Bambino. «Non è soltanto un maestro di sapienza, non è un ideale a cui tendiamo e dal quale sappiamo di essere inesorabilmente lontani, è il senso della vita e della storia che ha posto la sua tenda in mezzo a noi».
Lo hanno capito per primi i più semplici, i pastori. «E sono stati i primi perché vegliavano nella notte, facendo la guardia al loro gregge». Natale per fortuna ci commuove ma, perché la commozione non sia effimera e sentimentale, siamo tutti invitati a vegliare nella notte come i pastori e resistere alle tenebre. «Il Signore ci ripete: "Non temete" (Lc 2,10). E anch’io – ha concluso il Papa – vi ripeto: Non temete! Il nostro Padre è paziente, ci ama, ci dona Gesù per guidarci nel cammino verso la terra promessa. Egli è la luce che rischiara le tenebre. Egli è la nostra pace».