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La cultura dello scarto

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Carlo Valerio Bellieni - pubblicato il 17/12/13
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Il bravo medico è colui che non interviene limitandosi a far sparire i sintomi, ma che attacca il male alla radice“Le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti”. Ha detto il Papa Francesco il 5 maggio a Roma. “Questa “cultura dello scarto” tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano”.

Queste parole che ci portano con forza nel mistero della difesa della vita: il bravo medico è colui che non interviene limitandosi a far sparire i sintomi, ma chi attacca il male alla radice: dareste ad un malato di tubercolosi uno sciroppo per la tosse o l’antibiotico che distrugge la malattia? Papa Francesco sta facendo proprio questo: ci mostra il reale nemico che prima ancora di essere questo o quel comportamento è la cultura che respiriamo, appestata da decenni e decenni di quello che Benedetto chiamava con riferimento filosofico “relativismo etico”, e lui, sottolineando l‘aspetto sociologico, “cultura dello scarto”.

Cultura del rifiuto

Non possiamo non notare che questa è la prima generazione che crea rifiuti; finora l’idea stessa di “rifiuto” non esisteva perché tutto veniva riciclato riusato, regalato, trasformato. Cinquant’anni fa non esisteva che si uscisse di casa carichi di sacchi di spazzatura; oggi è la norma, in una società che crea per distruggere, che non è affezionata a quello che produce, ma solo al rendimento, in barba al consumo e allo spreco.  Così è nata l’idea di rifiuto che ben presto è diventata un problema sociale sia per l’inquinamento che provoca sia per la perdita di materiale che viene buttato via spesso ancora efficiente. Ma la “società del rifiuto” che consuma e scarta, finisce per farlo con le stesse persone. E qualcuno, anzi molti, finiscono per essere esclusi, anzi per essere non-persone.  Ma ridurre gli individui ad una visione utilitaristica e considerarli solo come consumatori non è solo un problema morale, ma è un problema anche per la medicina, come spiega il «Journal of Intellectual Disabilities» (2012) parlando di un’illusoria utilità del mondo consumista per chi non è “normodotato” e dunque non “consuma” quello che la pubblicità indica e quello che la “crescita del PIL” richiede.

Un terreno fertile?

La cultura dello scarto (o del rifiuto) rende il mondo invivibile e di questo si rendono conto anche personaggi di estrazione culturale laica. Vediamo qualche esempio. Zygmunt Bauman, sociologo polacco, spiega che accanto a quelli urbani, la società consumistica produce “rifiuti umani”, entrambi assimilati da una presunta inutilità e alla fine anche l’uomo diventa un rifiuto, uno scarto così come disabili, bambini non voluti, poveri… l’uomo non perfetto diventa scarto della società. Ma guardiamo il mondo della cultura: viene da ricordare il film «Asini» (1999) in cui Italo (Claudio Bisio) è un quarantenne milanese che vive alla giornata, e verrà chiamato quasi per caso a fare da insegnante di ginnastica in un convento francescano che raccoglie asini (animali da lavoro sempre più indesiderati e inutilizzati) e che dà rifugio a ragazzi orfani e problematici («asini» anche loro, ma in un altro senso). A contatto con questa realtà insolita, Italo dovrà cercare di dare ai ragazzi un ruolo nella vita (insegnando loro a giocare a rugby), dando un senso anche alla propria: tre “periferie” dell’esistenza che diventano scarti: quella del protagonista, quella degli animali e quella dei bambini, ma che uno sguardo buono sa redimere. Un altro film si basa sull’avversione alla cultura del rifiuto: è «Si può fare» (2008). Ancora Bisio nei panni di Nello, un sindacalista che viene trasferito alla Cooperativa 180, una delle tante sorte per accogliere i pazienti dimessi dai manicomi. Dopo alcuni attriti iniziali con i pazienti, Nello decide di far capire loro il vero spirito di una cooperativa coinvolgendoli maggiormente e viene presa la decisione di abbandonare il lavoro assistenziale e di entrare nel mercato diventando posatori di parquet. Dopo il primo lavoro, fallito per inesperienza, riescono ad ottenere un appalto in un atelier d’alta moda, ma il giorno della scadenza della consegna finisce il legno, e Luca e Gigio (Giovanni Calcagno e Andrea Bosca) decidono così, vista anche la loro abilità artistica, di usare gli scarti per realizzare un pannello raffigurante una stella e coprire così l’intero pavimento. L’idea, oltre a venire molto apprezzata, si fa strada e la cooperativa ottiene sempre più appalti. In entrambi i film, si afferma il principio che nulla e nessuno è «un rifiuto»: né i bambini con disagio sociale o i quadrupedi del film «Asini», né i disabili mentali o i pezzi di legno scartati per il parquet di «Si può fare».

Infine, come non citare un libro che compie oggi proprio 50 anni e merita di essere riletto’? E’ “La giornata di uno scrutatore” di Italo Calvino. La storia narrata è semplice: è quella di un militante politico mandato a fare lo scrutatore elettorale in un seggio presso l’istituto del Cottolengo di Torino in cui si raccolgono casi di estrema gravità clinica, spesso inguaribili, rifiutati dalla società, seguiti solo dall’istituzione religiosa. “Nel crudele gergo popolare, quel nome era divenuto per traslato epiteto derisorio per dire deficiente, idiota, anche abbreviato secondo l’uso torinese, alle sue due prime sillabe: cutu.”. E lo scrutatore impatta nella realtà della malattia curata con dedizione e grazia tra le mura dell’antica istituzione, e quasi profeticamente lo scrutatore comincia a guardare i malati gravi che lo circondano in quell’improbabile situazione con occhi nuovi: “L’idiota e il cittadino cosciente erano uguali in faccia all’omniscienza e all’eterno, la storia era restituita nelle mani di Dio (…); porre la bellezza troppo in alto nella scala dei valori, non è già il primo passo verso una civiltà disumana che condanna i deformi ad essere gettati da una rupe?” I suoi pensieri si interrompono con una brusca telefonata della fidanzata Lia: è incinta. E da questo momento le domande su cosa è umano passano sulla creatura appena concepita, domande che abbracciano il concepito e il disabile fino a capire che nell’analisi fatta dalla sua ideologia mancava qualcosa: “E pensò: ecco, questo modo di essere è l’amore (…) gli sembrò di aver capito come nello stesso significato della parola amore potessero stare insieme una cosa del genere di quella sua con Lia e la muta visita domenicale al Cottolengo del contadino al figlio”. E in questa riflessione inizia a ribellarsi alla possibilità che Lia vada a Liverpool ad abortire. Anche qui le periferie esistenziali del feto appena concepito e dei disabili si intrecciano e il protagonista si ribella alla società dello scarto che vorrebbe occultare entrambe le situazioni.

Incontrare senza cedere

Sono esempi di chi sente che i limiti dell’ideologia liberista sono angusti, ma spesso non sa trovare un’uscita. Papa Francesco parlando di cultura dello scarto, tende una mano a chi soffre questa asfissia in un mondo che divide le persone in “utili”  ed “inutili”; e proprio perché addita la cause, non cede sulla messa in guardia verso gli effetti infausti qualunque essi siano. E aspetta con pazienza e passione che chi soffre per una societ&agrave
; che emargina, arrivi a lottare contro tutte le emarginazioni, dalla soppressione del concepito allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Mettendo in guardia anche noi dal non essere settoriali: la lotta per la vita deve essere anche per noi la lotta contro ogni emarginazione, non solo contro alcune. Ma individuato il nemico, la cultura dell’usa-e-getta, diventa più facile per tutti indirizzare gli sforzi per un’umanità migliore, più accogliente e meno egoista. Quanto distante è infatti la cultura dello scarto da quella che ha creato l’Europa e favorito il progresso culturale del mondo, ben riassunta nelle parole di San Paolo  che compendiano lo stupore e l’amore verso il creato: “Omnis creatura bona”: Ogni creatura è buona. Dio non sbaglia: per questo nulla e nessuno è un rifiuto.

Articolo pubblicato sul blog di Carlo Bellieni