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Costi della politica, tagliare ora sull’onda dello sdegno popolare

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia Team - pubblicato il 17/12/13
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Segatti: l’esercito che lavora nelle istituzioni va subito sfoltito a cominciare da parlamentari e consiglieri regionali. La politica torna un’arte nobile, eliminando abusi scandalosi«Stipendi, consulenze, contributi, incarichi, poltrone d’oro, d’argento… I costi della politica non sono soltanto i rimborsi elettorali ai partiti, aboliti per decreto dal governo venerdì scorso. In quel caso ballavano "solo" (si far per dire) 91 milioni l’anno ma, se si allarga la prospettiva al peso economico diretto e indiretto della politica, si scopre che ammonta a oltre 23 miliardi di euro. Lo certifica la Uil in uno dei suoi periodici rapporti sul tema: 23,2 miliardi, per la precisione, distribuiti tra le spese per il funzionamento degli organi istituzionali, i costi delle società pubbliche, le varie (inevitabili?) consulenze esterne e, acer in fundus, il conto da pagare alla «sovrabbondanza del sistema istituzionale» (Avvenire, 17 dicembre).

«Tutto ciò corrisponde a una somma pari a 757 euro medi annui per contribuente, che pesa l'1,5% del Pil. Secondo quanto scrive la Uil sono più di un milione le persone che vivono di politica indirettamente o direttamente: un vero e proprio esercito "al cui vertice ci sono oltre 144mila tra Parlamentari, Ministri, Amministratori locali» (Il Sussidiario, 17 dicembre).

«In un editoriale dedicato alla situazione politica del Paese, l'agenzia Sir approva il ricorso al decreto voluto dal Governo per accelerare il taglio dei costi dei partiti (abolizione del finanziamento pubblico ndr), parlando di "segnale positivo", avvertendo però che "bisogna fare presto perché la pazienza dell'opinione pubblica è già finita", che "non pochi remano contro" e che "occorre evitare la coazione a non agire''. E' certo, puntualizza il Sir, ''che i partiti servono, che servono partiti democraticamente strutturati, forti, rappresentativi, radicati, ma anche aperti e dunque controllabili dai cittadini. In ogni caso l'accelerazione è un fatto positivo''» (La Repubblica, 16 dicembre).

Sul bisturi con cui sfoltire «subito» i costi della politica ha le idee chiare Paolo Segatti, docente di Sociologia politica all'Università Statale di Milano.

Professor Segatti, quanto è grave il problema dei costi della politica in Italia?

«Intanto le premetto che c'è da fare una distinzione».

Cioè?

«I dati della indagine Uil si riferiscono ai costi degli organi costituzionali e degli enti locali, più in generale al personale impegnato nelle istituzioni. Un'altra voce dei costi della politica si riferisce ai costi delle attività dei partiti che in Italia, con il sistema dei rimborsi, hanno dato luogo ad episodi frequenti di malaffare come si è visto negli ultimi anni».

Allora partiamo dai costi "istituzionali". Dove tagliare?

«Non è più rinviabile il taglio dei parlamentari e del numero di consiglieri regionali. Abbiamo un apparato di rappresentanza troppo esteso e ramificato. Si legge nel rapporto della Uil che per il funzionamento di questi organi, Stato centrale e autonomie, nel 2013 si stanno spendendo oltre 6,1 miliardi di euro, in diminuzione del 4,6 per cento rispetto al 2012. Parliamo comunque di cifre stellari».

Direi che non è migliore la situazione dei costi per i partiti.

«Anche questi sono eccessivi e, come le dicevo, hanno dato vita ad abusi scandalosi che hanno evidenziato più che la forza, le debolezze delle organizzazioni di partito, ormai incapaci di controllare i loro uomini. Come ad esempio, il caso degli organi di direzione politica che non monitorano quello che fanno i tesorieri con il sistema dei rimborsi. Siamo al paradosso».

In questa direzione è un buon passo in avanti l'abolizione del finanziamento pubblico?

«Non sono favorevole ad una abolizione totale del finanziamento pubblico perché la politica ha comunque un costo. Sono favorevole ad un finanziamento pubblico dei partiti, ma regolato e controllato. Mi pare positivo il provvedimento del governo con cui si istituisce un'autorità di controllo sui bilanci dei partiti. Se però salta completamente il finanziamento pubblico, lasciando l'erogazione dei contributi solo ai privati, allora la politica diventerà una attività per ricchi. E sarà peggio».

E lo stipendio dei parlamentari deve restare tale?

«Qui il problema è più complesso. L'anno scorso la Commissione Giovannini non riuscì a fare la comparazione tra gli stipendi dei parlamentari italiani e quelli di alcuni paesi stranieri perché sorse una complicazione».

Quale?

«Il costo dei collaboratori. In molti altri paesi le attività che in Italia svolgono i collaboratori dei parlamentari rientrano in spese sostenute dallo stesso Parlamento. Detto questo, il lordo dell'indennità va sicuramente ridotto, così come quello dei consiglieri regionali. Un discorso diverso meritano i sindaci perché sono una sorta di manager sul territorio, con grandi responsabilità, e il loro stipendio è piuttosto modesto per quello che devono garantire».

Che si parli di costi istituzionali o dei partiti, il percorso verso i tagli quanto è lungo?

«Molto perché bisogna mettere mano alla Costituzione. Ma è meglio muoversi ora, sull'onda dello sdegno popolare, che temporeggiare ancora. Con queste priorità: rimborsi ai partiti, abolizione delle Province, accorpamento di Comuni, riduzione del Senato e del numero di parlamentari».

Intanto, come dice lei, cresce lo sdegno e il pericolo di tensioni nel Paese.

«Io temo che l'onda dello sdegno produca alla fine solo l'abolizione di alcuni costi di tipo B, quindi relativi ai rimborsi per partiti, dimenticando quelli di tipo A relativi alle dimensioni enormi dell’apparato di governo e di rappresentanza, evidenziati nel rapporto Uil. Se la stima del sindacato è reale parliamo di un esercito di un milione di persone che vivono nelle istituzioni grazie alla politica. Altro che casta. La casta non è solo un gruppo di privilegiati, ma è anche un gruppo chiuso e ristretto, nel quale è impossibile entrare».

L'esatto contrario del "sistema Italia".

«Senza dubbio, in Italia abbiamo il problema opposto. C'è certamente la necessità di controllare l’abuso del denaro pubblico, ma c’è anche la necessità di innalzare la soglia di accesso alle attività di rappresentanza e di governo. Il fatto che ci sia troppo personale politico indica che quella che chiamiamo casta non è un gruppo chiuso».

In un'intervista a La Stampa, il Papa ha rilanciato la politica come arte nobile.

«Ma la politica lo è. La politica è il luogo dove si formano le visioni del futuro e noi in questi anni abbiamo sofferto tanto l'assenza di visioni di questo tipo. E non è un caso che siamo impantanati in questa crisi che fatica a farci guardare in prospettiva. Abbiamo perso le speranze e le speranze vengono anche dalla politica. Nel secolo passato un certo tipo di politica forniva speranze omicide. Le parole del Papa ci spronano a pensare ad una politica diversa da quella del passato, ma non appiattita sul presente».

E' un segnale anche nei confronti dei costi della politica?

«Certamente, quelle parole sono un segnale che va proprio in quella direzione».