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Il gesuita più amato dal papa? Pietro Favre

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Roberta Sciamplicotti - Aleteia Team - pubblicato il 16/12/13

Un libro fa riscoprire il primo compagno di Ignazio di Loyola

Quando padre Antonio Spadaro, S.I., direttore de “La Civiltà Cattolica”, ha chiesto a papa Francesco quale fosse il suo gesuita preferito, si è stupito di sentirsi fare il nome di Pietro Favre, del quale il pontefice cita anche una frase nella sua prima Esortazione apostolica: “Il tempo è il messaggero di Dio”.

Favre nacque in Savoia il 6 aprile 1506 e si spense a Roma il 1° agosto 1546 tra le braccia di Sant'Ignazio di Loyola, del quale era stato il “primo compagno d'ideali e di fatiche”. Ordinato sacerdote il 30 maggio 1534, studiò a Parigi con il fondatore della Compagnia di Gesù e con l'altro futuro santo Francesco Saverio.

Ora un libro, “Pietro Favre. Servitore della consolazione” (Ancora Editrice), curato da padre Spadaro, cerca di far conoscere al grande pubblico la figura di questo gesuita, poco noto e affascinante per “il suo essere stato il primo e il suo essere rimasto nell’ombra”, anche se senza di lui “la Compagnia di Gesù non ci sarebbe”, come scrive padre Spadaro nell'introduzione al testo.

Perché al papa piace particolarmente Pietro Favre? “Il dialogo con tutti, anche i più lontani e gli avversari – sintetizza il direttore della rivista dei gesuiti –; la pietà semplice, una certa ingenuità forse, la disponibilità immediata, il suo attento discernimento interiore, il fatto di essere uomo di grandi e forti decisioni e insieme capace di essere così dolce, dolce…”.

Non è quindi un caso che, proprio per volontà di papa Francesco, la causa di canonizzazione di Pietro Favre giunga ora a compimento, dopo 141 anni dalla sua beatificazione, avvenuta il 5 settembre 1872 ad opera di Pio IX che approvava il culto già reso a lui ab immemorabili nella Savoia e nella Compagnia di Gesù.

Quella di Favre, ricorda padre Spadaro, è “una 'canonizzazione equipollente', utilizzata nei riguardi di figure di particolare rilevanza ecclesiale per le quali è attestato un culto liturgico antico esteso e con ininterrotta fama di santità”.

Nel tempo, soprattutto durante la seconda metà del XVI secolo, la fama di Favre è rimasta vittima di una certa diffidenza verso la dimensione mistica, presente anche nella Compagnia di Gesù – come ha affermato lo stesso papa Francesco – a favore di un volontarismo ascetico, ma la devozione e la considerazione nei suoi confronti non si sono mai perse e risalgono allo stesso Ignazio, che anziché chiedere sacrifici e preghiere di suffragio per lui, come per gli altri defunti, chiese di invocare la sua intercessione. Francesco Saverio aggiunse addirittura il suo nome alle litanie dei Santi che pronunciava: Sancte “Petre Faber, ora pro nobis”. Alla sua morte, in alcuni luoghi anziché Messe di esequie si celebrarono feste di trionfo, e sue lettere e oggetti vennero da subito trattati come reliquie.

Il libro in questione vuole introdurre il lettore al profilo umano e alla visione spirituale del gesuita francese. Il primo intervento è un grande affresco sulla vita di Favre scritto da padre Giuseppe Mellinato nel 1979. Seguono poi contributi su alcuni aspetti specifici: “il suo essere 'pellegrino'; la sua visione di 'riforma' interiore; il suo sacerdozio vissuto in spirito di discernimento; le parole
chiave della sua spiritualità; la sua devozione per gli angeli, fedeli compagni di cammino; la sua sensibilità ecumenica”.

Il segreto dell’azione di Favre, si legge nel testo, sta “nell’interesse che egli ha manifestato nei confronti delle persone, e nella coerenza con cui ha impiegato i suoi talenti per 'aiutare le anime', secondo l’espressione usata da Ignazio”.

In un'epoca segnata da molte sfide, soprattutto la riforma protestante, incarnò una notevole apertura mentale e spirituale. Se alcune sue regole ecumeniche fossero state accolte e messe in pratica al suo tempo, forse la storia religiosa dell’Europa sarebbe stata diversa.

Nel capitolo dedicato alla sensibilità ecumenica di Favre, infatti, padre Rogelio García Mateo, S.I., sottolinea come l'atteggiamento del gesuita nei confronti degli “eretici” di quel tempo fosse improntato al “cercare di avere carità nei loro confronti e di amarli veramente, eliminando dal proprio animo tutte le considerazioni che di solito diminuiscono la stima che si ha di loro”, e al “conquistarli”, “comunicando con loro familiarmente in cose che sono comuni a noi e a loro”, come in seguito ha indicato il Concilio Vaticano II.

Favre includeva poi tutti nella sua preghiera, non soltanto i cristiani, ma anche i musulmani, mostrando quindi una modernità che lo rende un personaggio di grande attualità che può offrire molto alla riflessione del popolo cristiano.

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