La ricca proposta antropologica di Paolo VI per la vita di coppia e per la sessualità a lungo silenziata anche nella pastorale o ridotta a moralismo
“Il questionario è una formula rischiosa. Da una parte è positivo, perché stimola la rilettura di argomenti che possono essere stati trascurati nel tempo; inoltre dà un segnale di maggior coinvolgimento dei laici e può far emergere esperienze positive da portare a conoscenza di tutti. D’altro canto, senza un vero dibattito, rischia di lasciare tanti argomenti delicati senza esiti concreti. Inoltre, può dar voce a un certo relativismo etico al ribasso, che rischia di confondere la verità con la carità”. Così la professoressa Angela Maria Cosentino, bioeticista e delegata al Forum nazionale delle Associazioni familiari per la Confederazione Italiana Centri per la Regolazione Naturale della Fertilità. Con lei abbiamo affrontato alcune delle domande del gruppo 7 del questionario preparatorio al Sinodo per la Famiglia.
Professoressa, qual è secondo lei la reale conoscenza che i cristiani hanno della dottrina della Humanae vitae sulla paternità responsabile?
Cosentino: Scarsa, soprattutto sulla portata profetica del richiamo antropologico di Paolo VI che, nel 1968, come espressione di una Chiesa madre e maestra, allertava sui rischi di manipolare la fertilità con la tecnica. Crollo demografico, aumento di divorzi, aborti e infertilità, oggi, purtroppo, si sono verificati.
L’espressione “paternità responsabile” poi ha assunto un significato negativo: non avere figli. Invece, dovrebbe essere declinata in riferimento sia alla fertilità sia all’infertilità. La coppia, cooperatrice e non arbitro della vita, può realizzare il fine della procreazione responsabile, distanziando, evitando o ricercando una gravidanza, per motivi seri e non egoistici, attraverso una strada – continenza periodica e uso dei giorni infecondi oppure fecondi – che rispetti i valori in gioco nell’esercizio della sessualità: la dignità della persona, dell’amore, della vita e del procreare umano.
La dottrina morale che ne è derivata è stata accettata?
Cosentino: Innanzitutto, è stata spesso ridotta a sterile moralismo – la Chiesa dei “no” – che ha oscurato il “sì” all’amore e alla vita dell’enciclica, di cui il no (alla contraccezione) è solo una conseguenza. La proposta della Chiesa valuta, insieme, l’eticità del fine e quella della strada per raggiungerlo. E in questo senso è scarsamente conosciuta e accettata, soprattutto per l’influenza della cultura che, dal ‘68, ha separato, prima con la contraccezione e poi con la fecondazione artificiale, il significato unitivo da quello procreativo del rapporto coniugale.
Quali sono gli aspetti più problematici che rendono difficile la sua accettazione nella maggior parte delle coppie?
Cosentino: è la comprensione di questa doppia eticità. Le coppie si dicono: “ma sei il fine è lo stesso, perché no alla contraccezione?”. Invece, tante coppie che sono accompagnate nell’apprendimento personalizzato dei metodi naturali sono soddisfatte e ciò le ripaga dell’impegno richiesto per acquisire, nella gradualità – concetto molto pastorale ma poco evocato (cfr. Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio 34, ndr) – uno stile di vita controcorrente e una conoscenza dell’andamento della fertilità, che consente di ricercare, evitare o distanziare la gravidanza, con un’elevata efficacia. Eppure, è calato un silenzio assordante su questi temi, ritenuti, da molti, afferenti alla sfera privata, esito di una mentalità che non riconosce più alcun significato oggettivo alla sessualità in generale e al rapporto sessuale in particolare.
Ma non è che nella Chiesa abbiamo faticato e ancora fatichiamo a trattare con “i corpi” e con la sessualità, perché non gli diamo sufficiente cittadinanza spirituale?
Cosentino: Dopo l’Humanae vitae non è stata sufficientemente valorizzata l’importanza riconosciuta nel Magistero anche dell’aspetto unitivo della vita sessuale che cioè non è finalizzata solo alla procreazione. Ciò ha contribuito a sbilanciare la riflessione che si è soffermata, prevalentemente, sugli aspetti tecnici della questione, oscurando, così, l’impegno a rispettare le esigenze dell’amore coniugale che è un amore pienamente umano, totale, fedele e fecondo (HV, 9).
Nel concreto, cosa si potrebbe fare dal punto di vista pastorale?
Cosentino: Formare i formatori a promuovere incontri di educazione immediata, prossima e remota all’amore e alla vita, rivolti ad adolescenti, giovani e coppie, come indicato dal Direttorio di pastorale; e inoltre, tradurre sul territorio l’appello rivolto da Giovanni Paolo II, dal Vaticano, il 7 dicembre 1996: “È ormai maturo il momento in cui ogni parrocchia e ogni struttura di consulenza e assistenza alla famiglia e alla difesa della vita possano avere a disposizione personale capace di educare i coniugi all’uso dei metodi naturali. E per questa ragione raccomando particolarmente ai Vescovi, ai parroci e ai responsabili della pastorale di accogliere e favorire questo prezioso servizio”. Abbiamo in Italia circa 1000 insegnanti qualificati di metodi naturali: li valorizziamo?