Per la prima volta l’Istat ha disegnato una “mappa” completa di musei, monumenti e aree archeologiche in Italia: ne emergono ampie criticità, sia riguardo alle strutture che ai visitatori
Finora questo mondo ricchissimo era per lo più sconosciuto. La rilevazione Istat, condotta con la collaborazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, le Regioni e le Province autonome, fa luce sulla totalità delle istituzioni culturali, pubbliche e private, attive nel nostro Paese. I dati della ricerca ci raccontano di un’Italia disseminata di strutture museali e monumentali, piccole e grandi, ma che si trovano per lo più in condizione di grande sofferenza economica, una situazione che impedisce anche lo sviluppo di attività didattiche, di promozione e digitalizzazione.
Inoltre, appare chiaro che i visitatori italiani sono assai più distratti nei confronti della cultura rispetto a quelli stranieri, che sono circa 7 su 10. Tra i pochi dati incoraggianti, come spesso ci capita, c’è quello dei tanti volontari, circa 16.000, di supporto ad un personale assunto che, come vedremo più avanti parlando del caso concreto di un ente storico, la Fondazione Mandralisca di Cefalù, si trova a lavorare in condizioni di grande difficoltà e di scarse prospettive. Per analizzare i dati della ricerca, ci siamo rivolti ad una delle studiose che l’hanno condotta, la dottoressa Annalisa Cicerchia, primo ricercatore dell’Istat.
Qual è il significato di questa ricerca, la prima in Italia?
Cicerchia: Fino a questo studio, quando in Italia si parlava, bene o male dei musei, si faceva sempre e solo riferimento ai meno di quattrocento musei statali, gli unici regolarmente sottoposti a monitoraggio. Tutti gli altri, che sono più di dieci volte tanto, non venivano mai presi in considerazione, e non parliamo solo di piccole realtà, ma anche di realtà civiche molto significative. Per la prima volta è stato aperto un sipario su una realtà che ci rende davvero particolari: in Europa abbiamo una situazione comparabile solo con la Germania, dove ci sono circa 6.000 strutture di questo genere. Questa ricerca ci fa capire come funziona da una parte il sistema della memoria, della conservazione del patrimonio, dell’identità, e dall’altra parte capire come funzionano i servizi delle comunità locali. E allora vediamo questa grande diffusione di strutture, grandi ma molte anche piccolissime, che sono nati per la gran parte tra la fine della seconda guerra mondiale e il 2010, e quindi col bisogno del Paese di affermare la propria identità. Inoltre, i numeri di questo report danno l’idea di un mondo nel quale la dimensione del volontariato, la motivazione e la partecipazione, è molto significativa, tant’è che i numeri medi della dotazione del personale sono bassissimi, ma c’è un alto numero di volontari.