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Divorziati risposati, quali speranze dal Sinodo sulla famiglia?

Divorziati risposati Sinodo sulla famiglia

© Robert Hoetink

Roberta Sciamplicotti - Aleteia Team - pubblicato il 09/12/13

La Chiesa dovrebbe forse prendere atto che i matrimoni – anche quelli cattolici – falliscono?

Dare risposte di speranza e all’altezza dei problemi che la contemporaneità pone sul tappeto. Questo è ciò che molti si aspettano dal Sinodo sulla famiglia in programma per il 2014, che vedrà tra i temi più delicati da affrontare la questione dei divorziati risposati.

Nell’ultimo numero della rivista “Jesus” (dicembre 2013) è apparso un forum dal titolo “La Chiesa e i divorziati. Un dramma cristiano”, che analizza proprio la situazione dei fedeli divorziati risposati e cerca di proporre soluzioni teologiche soddisfacenti sul tema dei fallimenti matrimoniali e sulla possibilità di riammissione alla Eucaristia.

Il colloquio ha visto protagonisti cinque ospiti qualificati: Oliviero Arzuffi, cattolico impegnato nel mondo del volontariato e autore di un piccolo e accorato volume intitolato “Caro Papa Francesco. Lettera di un divorziato” (Oltre Edizioni); don Basilio Petrà, teologo morale che insegna alla Facoltà dell’Italia centrale e in varie università pontificie di Roma; Giannino Piana, teologo morale e collaboratore fisso di “Jesus”; Marinella Perroni, biblista del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo; don Silvano Sirboni, liturgista e pastoralista, oltre che parroco ad Alessandria.

Per le statistiche sociali, si legge nel testo, i divorziati risposati sono un fenomeno crescente che non suscita più scalpore, mentre per il mondo cattolico sono ancora “dei paria, bestie strane e imbarazzanti, che creano problemi pastorali. Fedeli difficili, che ci si affanna a definire figli della Chiesa, quasi come gli altri. Ma che, a norma del diritto canonico, non possono essere assolti dal loro ‘peccato’ e, dunque, restano esclusi dall’Eucaristia, cioè dal momento liturgico che è considerato ‘fonte e culmine’ della vita cristiana”.

I credenti divorziati e risposati, ha affermato Arzuffi, “mettono in atto una duplice reazione. Chi si separa e, poi, divorzia vive uno stato di sofferenza acutissimo, una crisi d’identità che, per un verso, può portare a forme di autodistruzione personale e, per un altro, conduce spessissimo all’abbandono della pratica religiosa tradizionale”, soprattutto perché “da parte della Chiesa c’è una esclusione di fatto oltre che di diritto di queste persone, che è prescritta dalle norme canoniche”, “un ‘no’ su tutto” che ingenera “amarezza e disorientamento”.

Accanto a questo disagio dei divorziati risposati, ce n’è poi un altro di cui non si parla quasi mai, quello dei pastori: “sacerdoti e vescovi che si trovano a dover dare risposte negative, o che non ritengono coerenti con il Vangelo che predicano dai pulpiti la domenica, a un numero sempre crescente di fedeli che sanno in tutta coscienza essere onesti, molti dei quali spesso non hanno responsabilità per la rottura del patto coniugale. E così, dilaniati nell’animo e non sapendo che pesci pigliare, in via privata suggeriscono di agire secondo coscienza, delegando al fedele la responsabilità della scelta”. Anche questo atteggiamento, però, non è corretto per una soluzione del problema, che richiede invece “una riflessione pastorale e teologica complessiva”, senza la quale la Chiesa “continuerà in prese di posizione ipocrite o contraddittorie che allontanano, confondono e dividono”.

Cosa aspettarsi dunque su questo argomento dal Sinodo sulla famiglia del prossimo anno?

La Perroni suggerisce due atteggiamenti di fondo: il primo, che può sembrare paradossale, è l’importanza che la Chiesa di Roma, il papa, chieda “perdono a tutti quelli che per questa disciplina della Chiesa hanno sofferto in modo terribile”; il secondo atteggiamento sarebbe quello di “accettare un maggior pluralismo all’interno della Chiesa, mettendo in pratica l’idea stessa di sinodalità”. “Così come succede sul celibato sacerdotale, che nella stessa Chiesa cattolica, a seconda dei riti (latino oppure orientali) è disciplinato diversamente, allo stesso modo si potrebbe provare a fare riguardo al nodo dei divorziati risposati. Servirebbe anche per mostrare ai membri del popolo di Dio che la Chiesa è una realtà differenziata e plurale, e non un monolite tetragono e centralizzato”.

Don Petrà propone invece tre suggerimenti: “in primo luogo, la Chiesa dovrebbe prendere atto che i matrimoni falliscono”; “è ora di fare i conti con il principio di realtà, anche perché il contesto sociale porta a una maggiore fragilità dei rapporti e la Chiesa non può più chiudere gli occhi di fronte alle sempre più numerose crisi matrimoniali”. “La seconda questione è quella della riflessione teologica: come fronteggiare questa situazione? Quali piste teologiche battere per poter riconoscere, in qualche modo, i fallimenti matrimoniali, aprendo anche delle prospettive di vita per il futuro alle persone coinvolte, quindi anche la possibilità di una riammissione all’Eucaristia e la celebrazione di nuove nozze?”. Il terzo aspetto è poi il livello della cura pastorale.

Ad Arzuffi “basterebbe che i padri sinodali affrontassero senza pregiudiziali – e anche senza sentirsi vincolati e bloccati dall’ansia della ‘continuità’ teologica e giuridica con il passato – questo tema”, in modo da offrire “una soluzione” e “una via di speranza” a chi come lui vive questa situazione “con sofferenza”. “Io e tante migliaia di altri credenti come me vogliamo stare ben dentro la Chiesa, partecipare pienamente e attivamente alla vita ecclesiale, senza sentirci ‘tagliati fuori’, perché, molto spesso, l’esclusione non è diretta e palese, è per lo più ‘ovattata’ con altre motivazioni. Il paradosso più incomprensibile è che questo di noi divorziati risposati sembra essere l’unico peccato imperdonabile agli occhi della Chiesa. Qualcuno scherzosamente mi ha suggerito che, invece di divorziare, avrei potuto ammazzare mia moglie, tanto poi, con una buona confessione, tutto si sarebbe sistemato”.

“Non dimentichiamo che il ‘genio’ del cristianesimo è sempre stato quello di saper incarnare, nel presente e per tutti, il messaggio di misericordia di Gesù di Nazaret – ha concluso –. Occorre proseguire in questa sana e tradizionale ‘conversione continua’, se non vogliamo rischiare dolorose scissioni nel corpo ecclesiale. Divisioni che ora sono annidate nelle singole coscienze, ma che domani potrebbero esplodere in veri e propri scismi”.

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