Quale è lo spazio, sociale e simbolico, riservato oggi ai riti di passaggio?
di Raffaella Ferrero Camoletto (sociologa, Università di Torino)
L'attenzione verrà focalizzata su come, al fine di gestire la dimensione di cambiamento insita nel ciclo di vita biologico, le società definiscano le forme e i tempi della maturazione del soggetto, istituendo così delle tappe e delle transizioni che plasmano la vita dell'individuo secondo una sequenza e un ordine socialmente determinati
La trasmissione alle nuove generazioni del bagaglio culturale di una data società o gruppo sociale avviene attraverso il processo noto come socializzazione. Ci interessa però qui focalizzare l'attenzione su un altro aspetto: su come, al fine di gestire la dimensione di cambiamento insita nel ciclo di vita biologico, le società definiscano le forme e i tempi della maturazione del soggetto, istituendo così delle tappe e delle transizioni che plasmano la vita dell'individuo secondo una sequenza e un ordine socialmente determinati. Quale è dunque lo spazio, sociale e simbolico, riservato oggi ai riti di passaggio? Pensando in particolare alle pratiche sociali delle nuove generazioni, possiamo tentare di adottare tale strumento di analisi con un'attenzione ai nuovi processi in atto nell'universo giovanile.
Dal primitivo al moderno
Diventare adulti non è soltanto una questione di sviluppo psicologico e fisiologico, ma anche di attraversamento di soglie simboliche sulla base di specifici riti di passaggio. Pensiamo per esempio alla differenza che intercorre tra pubertà fisiologica e pubertà sociale: tra l'età in cui una ragazza diviene fertile e l'età in cui si ritiene socialmente opportuno che abbia le sue prime esperienze sessuali. Lo scarto tra queste due età, una biologicamente determinata e una socialmente definita, ci dà il segno di quanto ogni società inscriva sui corpi le proprie norme e i propri significati, e di come ritualizzi alcuni momenti di transizione della vita.
Prima di addentrarci nell'esame di vecchie e nuove forme di rito di passaggio, può essere utile partire da una sua definizione. In senso più generale, un rito può essere concepito come un insieme di atti formalizzati, caratterizzati da una configurazione spazio-temporale e dotati di una valenza simbolica, per cui essi significano qualcosa d'altro rispetto alla loro materialità o efficacia tecnica, grazie al ricorso a oggetti, comportamenti, linguaggi e altri codici condivisi da un gruppo sociale (Segalen, 2002). Quindi, oltre a criteri morfologici, le due componenti chiave per poter parlare di rito sono la dimensione collettiva e la dimensione simbolica.
I riti di passaggio si distinguono per il fatto di scandire una transizione da uno stadio a un altro (per es., da bambino o giovane ad adulto) secondo una sequenza di atti socialmente determinati che mirano a ricomporre l'ordine sociale messo in discussione a una nuova tappa del ciclo biologico umano. I riti di passaggio rappresentavano pertanto, nelle società primitive, dei meccanismi di lubrificazione della vita sociale in momenti di tensione dovuti al mutamento di status di alcuni membri della comunità. Gli antropologi hanno scritto pagine ricchissime sulle molteplici forme rituali adottate dalle diverse tribù studiate, ma al di là della varietà etnografica, può essere individuata una struttura sequenziale che si compone di tre fasi o stadi (Van Gennep 1981; Turner 1972):
1) in primo luogo, una fase preliminare di separazione (quasi sempre simbolica, ma in alcuni casi anche fisica) dallo stato precedente;
2) si passa, poi, a una fase intermedia, liminare o di margine, di sospensione o di assenza di status definito (per cui non si è più ciò che si era e non si è ancora ciò che si sarà), durante la quale i soggetti vengono spesso sottoposti a prove iniziatiche e di apprendistato;
3) e una fase finale post-Iiminare di aggregazione in cui i soggetti assumono il nuovo status a pieno titolo (come è spesso simboleggiato dall'adozione di un nuovo nome o dal trasferimento di domicilio) e vengono quindi ricollocati nel gruppo o nella comunità.