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Perché gli animali non risorgeranno?

Cane e farfalla

© DR

Lucandrea Massaro - Aleteia Team - pubblicato il 05/12/13

Intervista a padre Gianluigi Pasquale, docente di teologia fondamentale alla Lateranense

Nuovamente Aleteia torna sulle tematiche religiose legate agli animali, dopo il nostro articolo sulla posizione della Chiesa sulla vivisezione e la sperimentazione animale, ci occupiamo di chiarire al meglio la posizione della Dottrina circa la resurrezione e gli animali. Per farlo abbiamo contattato padre Gianluigi Pasquale, Frate Minore Cappuccino, e docente di teologia fondamentale presso la Pontificia Università Lateranense.

Il Papa si è soffermato di recente sulla dottrina della Resurrezione, riferendosi naturalmente, agli uomini e alle donne che ripongono la loro fiducia in Cristo. Tuttavia torna alla mente anche la domanda che spesso – magari da piccoli al catechismo – si fa al parroco o al catechista: ma il mio cane che fine fa? Qual è il destino degli animali nella Storia della Salvezza?

Gianluigi Pasquale: Dio Padre ha previsto che la creazione dell’Uomo (come dice Tommaso d’Aquino) sia “una uscita da Dio e un ritorno a Dio” (exitus a Deo e redditus ad Deum). Questo binario è garantito da Cristo. La conferma ci viene da San Paolo che dice infatti: “tutto è fatto da Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui”. Tutto il Creato tornerà in Dio, tranne il peccato. L’Uomo, che è immagine e somiglianza, tornerà al Padre, sempre meno immagine e sempre più somiglianza di Dio. Tutto questo è garantito dallo Spirito Santo e avviene con la resurrezione dei corpi. Anche la Creazione e le creature “vivono le doglie del parto, nellattesa di potersi ricongiungere a quel Dio che li ha creati” (San Paolo). Pensiamo anche alle suggestive immagini presenti Cantico delle Creature di San Francesco. Detto in maniera semplificata, i cani e i gatti non risorgeranno come gli uomini, ma grazie agli uomini che li hanno amati, essi saranno reintegrati in quel ritorno al Dio che li ha creati. Gli animali percepiscono di essere creati e lo manifestano col desiderio di tornare a Dio: “tutte le creature lodino il Signore” dicono i Salmi nell’Antico Testamento. La risurrezione della carne spetta solo agli uomini e alle donne, ma tutta la creazione non è destinata alla dispersione, alla dissoluzione senza senso. La Teologia non contempla tuttavia, una reintegrazione del male.

Perché è impensabile, per esempio, che gli animali a cui ci siamo legati durante la vita, risorgano assieme a noi alla fine dei tempi?

Gianluigi Pasquale: Cosa succede subito dopo la nostra morte? Subito dopo la nostra anima (un modo popolare per designare l’Io che noi siamo) vede la Gloria di Dio. Per questo incensiamo i morti. In attesa di ricongiungersi al corpo alla fine dei tempi. Questa “anima” (Costituzione Apostolica «Benedictus Deus» del 1336), è – per così dire – una “spremuta” di corpo e anima è un “Io sostanziale” in cui noi portiamo appresso tutte le relazioni che abbiamo sperimentato nella nostra vita. Quindi anche le relazioni affettive che abbiamo avuto con i nostri animali domestici. L’immortalità dell’anima riguarda me, ma è anche un “noi”, perché è l’insieme delle relazioni intessute durante la nostra vita.

Perché bisogna attendere la resurrezione finale dei morti?

Gianluigi Pasquale: Perché noi continuiamo a fare del bene anche dopo la nostra morte, continuiamo a produrre del bene, come fossero onde del mare che si propagano verso l’eternità.. Purtroppo anche il male si propaga come le onde del mare dopo la nostra morte. Queste onde – ed è questa la dottrina della comunione dei santi – intercettano quelle prodotte dagli altri. Cosicché bisogna attendere il Giudizio Finale di Gesù alla fine dei tempi: ciò che è da considerare un elemento stupendo è che in quel momento la nostra anima si ricongiunge col nostro corpo perché il bene e il male si possono compiere solo con esso. Tutto ciò che ha a che fare col nostro corpo, quindi anche il Creato nel suo insieme, fa parte di quei “filamenti affettivi” di cui abbiamo parlato. Allora aveva ragione San Francesco quando indicava come fratello e sorella il Sole e la Luna, il cane e l’allodola: essi davvero lo sono in Cristo.

Di recente il teologo e biblista Paolo De Benedetti, ma prima di lui anche Andrew Linzey e tanti altri, si sono interrogati sulla possibilità di una “teologia degli animali”. C’è spazio per una riflessione sugli animali nella Chiesa Cattolica?

Gianluigi Pasquale:  Certamente c’è uno spazio, nella Chiesa ci sono almeno quattro punti saldi su questi temi:

  1. la Chiesa Cattolica è sempre stata uno dei primi soggetti a battersi per preservare il Creato. La Creazione è la relazione tra quello che esiste e il suo Creatore, dicendo “io dipendo da Lui”
  2. È necessario prendersi cura della Creazione (Genesi 1, 26-28)
  3. La Chiesa si è ormai accorta (nello scenario della "tarda modernità") che l’Uomo ha chiesto alla Creazione più di quanto essa poteva dare. Come dice Leopardi nella “Ginestra”, la Natura chiede una sorta di riscatto.
  4. La Chiesa si impegna (materialmente tramite la Commissione “Giustizia, Pace ecologia e salvaguardia del creato”) perché l’Uomo renda più abitabile la Casa che Dio gli ha affidato.

La differenza in radice tra l’uomo e l’animale è nel Logos. La capacità di parlare. L’uomo parla dialogando, fin dalla stretta di mano io trasmetto il mio “essere dialogico” all’altro. Nell’animale manca la reciprocità, esso non riesce a interfacciarsi completamente con l’uomo. E qui bisogna distinguere l’actus humanum dall’actus hominis. Anche bere un bicchiere d’acqua per noi è un atto culturale è un atto dell’uomo. Poi ci sono gli atti umani, quelli in cui noi ci esprimiamo in quanto esseri che amano. E qui c’è la somiglianza con Dio. Io posso perdonare chi mi tradisce. Un animale no. Per questo è improprio parlare di resurrezione per essi. Gli animali non hanno quel dispositivo dialogico, se anche potessero risorgere essi non lo vorrebbero, essi desiderano ricongiungersi a Dio in quanto loro Creatore, ma attraverso di noi.

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