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La preghiera, un’alleata del cervello a difesa della nostra salute

La preghiera, un’alleata del cervello a difesa della nostra salute

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia Team - pubblicato il 04/12/13

Le ricerche neurobiologiche più recenti provano che credere in Dio aiuta il cervello a farci vivere meglio

Il campo delle neuroscienze, sempre più sviluppato e ramificato, ha ormai affermato con forza il ruolo centrale che ha il cervello non solo nel mantenimento della nostra salute psichica, ma anche di quella fisica. E’ in quest’organo, infatti, che vanno cercati i nostri punti di forza e quelli di debolezza, le cause originarie delle patologie che ci colpiscono ma anche le vie per superarle. E in questo continuo sforzo di conservare l’equilibrio psicofisico, l’esercizio di una fede vissuta attivamente attraverso la preghiera, ma anche attraverso una relazione di aiuto con l’Altro, comprende attività che aiutano il cervello a produrre sostanze che si rivelano necessarie al nostro sistema immunitario.

Aleteia ne ha parlato con uno dei maggiori esperti di medicina integrata in Italia, Enzo Soresi, tisiologo, anatomopatologo, oncologo, già primario di pneumologia al Niguarda di Milano, che dopo aver pubblicato nel 2012 “Guarire con la nuova medicina integrata” del 2012 (Sperling & Kupfer), è in questi giorni impegnato a presentare la quinta edizione del suo popolarissimo “Il cervello anarchico” (De Agostini)

Professore, quali sono le ultime scoperte relative al cervello umano?

Soresi: Le novità della biologia ci dicono che il cervello si costruisce negli ultimi sei mesi di vita gravidica, e nei primi due anni dopo che siamo venuti al mondo. Quindi mentre tutti gli altri organi sono definiti, il cervello è un organo che si definisce in progress. E tutta la definizione del cervello è totalmente interattiva con l’ambiente, quindi capisce che questa costruzione – che vuol dire suicidio neuronale, migrazione neuronale, guaine mieliniche, software motori, software emozionali – sono tutto un mondo che si costruisce in due anni e mezzo, di cui noi non abbiamo consapevolezza, e che per questo si chiama memoria implicita.

Nel mio libro pubblicato l’anno scorso punto su questo dato per dimostrare come i due casi, proprio in base alla struttura dei due cervelli, vanno in maniera diversa. Il primo è una mia amica, fumatrice, 60 anni, alla quale fu diagnosticato un tumore polmonare inoperabile: lei si paralizzò dal terrore, cominciò a piangere, a vomitare, e a quel punto anche le terapie che avevano avuto una magnifica azione imprevista non hanno più avuto alcun effetto, e in due anni e mezzo è morta. Fu la struttura non risolta del suo cervello che le impedì di reagire. L’altro invece è un ragazzo tuttora vivo, un vero mastino, che all’età di 36 anni mi mandò un’email con la diagnosi di un sospetto tumore pleurico. Lo feci venire a Milano, lo avviai a un protocollo internazionale di chemioterapia e chirurgia, gli fu tolto un polmone, ha iniziato la radioterapia seguita da tutta una serie di terapie di supporto biologiche nel tentativo di non far ritornare la malattia. La forza di questo ragazzo è la sua resilienza, che in termini tecnici è la torsione dell’acciaio che ha un certo limite, mentre in termini psicologici è la capacità di convivere con una malattia mortale in maniera adeguata: questo ragazzo in questo è un eroe, tanto che nel mio libro lo chiamo Ulisse. Questi due casi dimostrano quanto sia importante, in presenza di malattie gravi, affiancare tutta una serie di strategie che vanno dalla nutrizione, al supporto psicologico, alla motivazione psico-oncologica, a tutte le terapie omeopatiche che hanno un senso oncologico.

Insomma, per vivere bene bisogna… vivere bene?

Soresi: Le cose importanti sul piano biologico sono il cibo, che è la premessa di tutto, e il fitness, perché l’attività fisica è un'altra chiave di volta del sostegno della nostra biologia. Quando noi facciamo attività fisica noi liberiamo endorfine che sono un bagno di benessere del sistema immunitario. Quindi mens sana in corpore sano è un antico detto assolutamente riproponibile oggi.

Da un punto di vista scientifico, che funzione può avere la fede per il nostro cervello?

Soresi: Tutto passa attraverso il cervello. La cosa interessante è che il cervello è l’unico organo su cui noi possiamo lavorare. Questo certamente è rassicurante, ma è anche un’idea che spaventa per quello che io chiamo effetto nocebo. Per questo la fede, di cui io parlo in senso laico, è “un’ideologia” che può essere un percorso importante, perché mi ci aggancio e mi fa da traino in un momento di difficoltà. Quindi qualsiasi ideologia, che sia religiosa, politica o culturale, può avere un significato, l’ideologia è un evento importante nel momento della presa per mano e dello sviluppo della nostra vita. D’altra parte, però, l’ideologia su un piano biologico può essere anche inibitoria, quando non consente aperture che invece si traducono in una risposta biologica. Ad esempio, se lei osserva un quadro di Francis Bacon che non ha mai visto, è chiaro che lei apre delle novità biologiche nel suo cervello, apre e chiude nuove sinapsi, e tutto questo si traduce in una risposta di neurotrasmettitori che è prodotta dalle cellule della glia, che sono le cellule di sostegno dei neuroni. Questo è il vero senso del cervello, che è un organo fortemente attivo non solo perché pensa, ma perché produce: produce tutti i neurotrasmettitori che ha il sistema immunitario, produce tutte le proteine emozionali che vanno ai recettori e alle membrane cellulari, quindi può produrre nel bene o nel male. La fede è un percorso bello, chiaramente quando è un percorso vero.

Quindi la fede che aiuta è fatta di preghiera, ma anche di relazione con gli altri?

Soresi: Assolutamente sì. È tutto un mondo di empatia e di relazioni che va nutrito perché fa parte della nostra biologia. Questi famosi primi due anni del cervello sono proprio l’espressione dell’interattività col mondo esterno. In questo senso è interessante lo sviluppo della neuroteologia, così come anche della preghiera a distanza. Sono flussi di comunicazione che vanno verso l’individuo e vengono sviluppati per favorire determinate guarigioni. Anche questo è un mondo che esiste ed è molto battuto: a Bologna in oncologia c’è un gruppo di preghiera a distanza che viene seguito e addestrato.

Per parlare di neuroteologia, la branca neuroscientifica che studia il rapporto tra vita cerebrale e fede, ci siamo rivolti ad un esperto, il dott. Sergio Tartaglione, Presidente dell’Ordine dei medici del Molise e fino all’anno scorso Presidente dell’Associazione medici cattolici del Molise.

La neuroteologia di cosa si occupa esattamente?

Tartaglione: Per spiegarglielo le faccio un esempio: se adesso arrivasse qualcuno alle sue spalle e le facesse “bu!”, questo le causerebbe una serie di reazioni psichiche come lo spavento, e anche fisiche, palpitazione, pelle d’oca, ecc. Questo avviene perché come intermediario tra uno stimolo e la reazione psichica e fisica si alza l’adrenalina. Se in generale le neuroscienze vanno a vedere cosa succede nel cervello durante le varie esperienze – se mi innamoro, se detesto una persona e così via – la neuroteologia in particolare studia quello che avviene nel cervello attraverso vari strumenti durante le esperienze religiose. Lo studio del cervello avviene attraverso gli strumenti che utilizziamo solitamente nella clinica: la TAC, la risonanza magnetica, la PEC ecc. Se lei dà un bacio a sua moglie, attraverso le risonanze vediamo che si illumina una zona del cervello: vuol dire che quella è la zona che è interessata da quel sentimento. Allo stesso modo, mentre preghiamo si illuminano determinate aree del cervello. Tra l’altro questo succede sia nei credenti che nei non credenti, quando si parla di fede, ma è certamente nelle prime che queste aree sono più sviluppate.

La fede è uno strumento potente che agisce sul cervello. Dunque, lei direbbe che un credente ha la possibilità di vivere più a lungo e meglio rispetto a un non credente?

Tartaglione: La fede è un supporto che sicuramente muove nelle persone specifiche molecole, per esempio rinforza le difese immunologiche. In molti ospedali ci sono gruppi di preghiera. Questo è interessante perché chi crede, attraverso la fede si dimostra più forte nell’affrontare una malattia. La cosa bella è che hanno costituito gruppi di preghiera pregando per alcune persone, le quali poi risultano avere delle percentuali di guarigione maggiori rispetto alle persone per cui non si era pregato.

L’idea di un effetto fisico prodotto dalla preghiera, da medico cattolico, lo giudica in contrasto con un’idea spirituale della preghiera?

Tartaglione: Assolutamente no. Le ricerche scientifiche di neurotelogia riguardano solo l’effetto fisico. Quello che cambia è l’interpretazione dell’idea della guarigione, da parte di credenti e non credenti. Vale per entrambi, infatti, che di fronte a certi stimoli che chiamiamo suggestivi aumentino le difese immunitarie. Noi credenti siamo convinti che questo avviene grazie all’aiuto di Dio, gli altri credono che questo avvenga solo perché aumentano le nebuloglobuline. Diciamo le stesse cose. Cambia l’interpretazione. Il numero di ricerche nel campo della neuroteologia – molte di essere sono serie e alcune altre meno – è ormai vastissimo.

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