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Non pecchiamo più, ci limitiamo a “commettere errori”?

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Aleteia Team - pubblicato il 27/11/13

La nostra società ha paura di chiamare le cose con il loro nome, perché la realtà non la interpelli

di Juan Ávila Estrada

La Sacra Scrittura narra come l'uomo, avendo davanti a sé la creazione, diede un nome a tutti gli animali della terra; insieme a loro diede nome anche a tutte le cose, situazioni e relazioni che andava stabilendo. L'uomo è un essere nominale (dà nome a tutto), ha bisogno di dare un nome a ogni cosa perché attraverso il termine dà consistenza e identità a una realtà e cerca un modo particolare di relazionarsi con essa.

Non è però meno certo che ci sia stato un momento in cui ha compreso che c'erano certi termini che risultavano duri e scandalosi perché lo ponevano di fronte a concetti e realtà che scomodavano la sua coscienza e spezzavano la sua tranquillità, o semplicemente gli facevano sembrare il suo linguaggio grossolano.

Per riuscire a ridurre il problema e sentirsi tranquillo con se stesso, o magari solo per mostrarsi un po' più colto e decoroso, ha scelto di creare i cosiddetti eufemismi, che non sono altro che la “manifestazione delicata o decorosa di idee la cui espressione franca sarebbe dura o suonerebbe male” (Real Academia Española).

All'inizio questi eufemismi cercavano solo di edulcorare un po' quelle parole che potevano suonare aspre o grossolane, come quelle che si riferivano alle parti anatomiche; si è quindi preferito cambiare il nome delle condotte anziché trasformare le realtà stesse che si mettevano in atto in modo inadeguato e delle cose per non dover affrontare la durezza della censura. Ci si sarebbe potuti sentire così più tranquilli con se stessi senza dover modificare il proprio modo di fare; non si trattava più di FARE il bene, ma semplicemente di SENTIRSI bene, visto che non interessava la bontà, ma che la malvagità non apparisse tale.

Con gli eufemismi non si è parlato più di ladri ma di persone che frodano l'erario, non c'è più aborto ma una semplice “interruzione di gravidanza”, l'adulterio è scomparso per far spazio allo “scivolone amoroso”, le prostitute sono diventate “dame di compagnia”, nessuno si vede abbassare lo stipendio perché quella che si mette in pratica è una “svalutazione competitiva dei salari”, non si viene licenziati ma si verifica un processo di “ristrutturazione dell'impresa”, le guerre hanno lasciato il posto alle nobili “missioni di pace”.

Gli eufemismi sono la tipica espressione di una società relativista e manipolatrice che non crede più in principi universali eterni e immodificabili, ma in utilitarismi morali; che è convinta che cambiare i nomi alle cose ne trasformi l'essenza e che quindi la condotta smette di essere riprovevole fino quasi a diventare una virtù; che l'aspetto negativo diventi positivo solo perché un nome buono ha reso possibile questo “miracolo”. La nostra società è eufemistica e in questo modo pretende di porre fine al male e ai pesi sulla coscienza e di sentire che, alla fine, tutto cambia con una parola. L'eufemismo manipola la società, ci rende politicamente scorretti ed evita di darci problemi solo perché si chiama una cosa con il suo nome.

Con l'eufemismo, ciò che importa all'individuo non è fare il bene, ma che si senta bene, perché il soggettivismo ha rotto con l'oggettivismo e vale più il sentimento che la ragione e l'opinione che la verità. L'eufemismo morale rilassa la coscienza fino al lassismo e tende ad addormentarla perché a forza di ripetere sempre gli stessi concetti si perde la vera dimensione delle realtà che affrontiamo. La delicatezza che utilizza, che sembra in genere una sorta di diplomazia, non è sempre innocua e chiede alla fine il proprio conto. Solo quando le cose ricevono il loro vero nome possiamo affrontarle con realismo e cercare per loro una soluzione, ma a questo scopo è necessario essere disposti a far fronte alla scomodità che genera in noi.

L'ultima “perla” eufemistica in voga è chiedere a Dio di perdonare i nostri “errori” visto che l'uomo non vuole più chiamare peccato quello che questo è: PECCATO. Gli errori non richiedono perdono ma scuse, è il peccato che dev'essere chiamato come tale senza alcuna paura perché sia perdonato dal Signore.

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