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L’aspettativa cristiana di futuro non ha nulla a che vedere con la fine

Ross Douthat warns of future problems caused by low fertility rate – it

© SHUTTERSTOCK.com

Dimensione Speranza - pubblicato il 27/11/13

La Bibbia ci si disvela come il libro delle promesse di Dio e delle speranze dell'uomo

di Jürgen Moltmann

«Nella mia fine è il mio principio». Ho preso il titolo di quest'opera da un verso di T. S. Eliot, «In my end is my beginnig», a significare che dalla speranza cristiana ci viene la forza di risorgere dopo tutti i fallimenti e le sconfitte della nostra vita, la forza di ricominciare quando la colpa ci aveva reso la vita impossibile. Lo Spirito della risurrezione, infatti, viene dallo Spirito che ha risuscitato il Cristo tradito, brutalizzato, abbandonato. Quella risurrezione ad opera di Dio ha tramutato la fine senza sbocchi sulla croce del Golgota nel suo vero inizio. Rendercene consapevoli significa non desistere ma sperare che in ogni fine si celi un nuovo principio. Ma se vogliamo ricominciare dobbiamo essere disposti a liberarci da tutto ciò che ci tormenta e da tutto quel che ci manca. Se ci mettiamo in cerca del nuovo inizio, sarà lui a trovarci.

Alcuni pensano che la Bibbia si muova tra gli orrori dell'apocalisse e che anche “la fine del mondo”, la “soluzione finale” che Dio ha stabilito per tutti i problemi irrisolti nell'esistenza del singolo, nella storia del mondo e nell'intero cosmo, sia di tipo apocalittico. La fantasia apocalittica si è sempre appassionata nel descrivere il giudizio universale di Dio all'ultimo giorno: i buoni in paradiso, i cattivi all'inferno e la terra annientata dal fuoco. Conosciamo anche la battaglia finale tra Dio e Satana, tra Cristo e l'Anticristo, tra i buoni e i cattivi nella valle di Armaghedon, così spesso strumentalizzata da una politica ispirata dallo schema “amico-nemico”.

Immagini apocalittiche, indubbiamente. Ma cristiane? No, perché l'aspettativa cristiana di futuro non ha nulla a che vedere con la fine – della vita, della storia o del mondo – ma piuttosto con l'inizio: l'inizio della vita vera, del regno di Dio, della ricreazione di tutte le cose alla loro riconfigurazione permanente e definitiva. L'antico detto che “le cose ultime sono come le prime” viene dalla saggezza che la speranza racchiude. Del resto la grande promessa che Dio ha fatto risuona proprio nell'ultimo libro della Bibbia, nell'Apocalisse di Giovanni: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (21, 5). Alla luce di questo orizzonte ultimo la Bibbia ci si disvela come il libro delle promesse di Dio e delle speranze dell'uomo, di tutti gli esseri creati, che dalle memorie di questo loro futuro attingono le energie necessarie per il nuovo inizio.

Nel mio libro L'avvento di Dio. Escatologia cristiana ho applicato il principio «nella fine è l'inizio» nei diversi ambiti delle aspettative di futuro personali, politiche e cosmiche. In questa Piccola teologia della speranza vorrei invece concentrarmi sulle esperienze di tipo personale, quelle in cui noi cerchiamo, e poi troviamo, nuovi cominciamenti. Se l'ultimo non è la fine bensì il nuovo inizio, non dovremmo pensare soltanto alla vita che finisce, ma ad una vita che ricomincia. Prima ancora della morte viene la nascita alla vita. Come Hermann Hesse esprimeva nel suo stile poetico, la nascita di un bambino conserva il suo “fascino” anche quando sperimentiamo le finitudini, i fallimenti, le delusioni e le sconfitte della vita. È un fascino che non emana dai nostri desideri e fantasie, ma dalla realtà primigenia. Sempre, quando nella nostra vita ci avviciniamo all'origine, facciamo esperienza di nuovi inizi. Il Dio vivente ci chiama sempre alla vita, quando nasciamo e quando moriamo, quando incominciamo e quando arriviamo alla fine. La sua vicinanza è per tutti e dovunque sempre fonte di vita.

(tratto da Nella fine – l'inizio. Una piccola teologia della speranza, Brescia, 2004, pp, 15-17)

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